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Bisogna epurare gli avvelenatori dei pozzi

Immaginiamoci una carovana che deve attraversare il deserto. L’acqua è razionata, ma l’itinerario sfrutta la presenza di alcune minuscole oasi ove ci sono delle pozze d’acqua, modestissime, ma sufficienti per il fabbisogno di uomini e animali. Se una sola di quelle pozze dovesse rivelarsi prosciugata, o in qualsiasi modo inutilizzabile, sarebbe un problema gravissimo; se ciò dovesse ripetersi per due o tre di esse successivamente, sarebbe una tragedia. Nondimeno la traversata è necessaria, e il solo itinerario possibile è proprio quello: consci dei rischi, ma forti della loro esperienza, il capo della carovana e i cammellieri non hanno esitazioni e si addentrano sempre più nella sconfinata distesa di sabbia, orientandosi con il sole e, di notte, con le stelle che brillano nitide e fredde su quel paesaggio lunare. E ora supponiamo che in quella carovana ci siano dei traditori: degli uomini spregevoli i quali, per denaro, e a rischio della loro stessa sopravvivenza, si sono impegnati a far sì che essa non arrivi mai a destinazione, ma si perda per sempre fra le dune. Con l’aiuto di alcuni uomini che accompagnano a distanza, non visti, la marcia degli uomini e dei dromedari, e che li precedono di qualche ora nei luoghi di sosta, fanno in modo che l’acqua dei pozzi venga sistematicamente avvelenata. Vi gettano delle sostanze tossiche o, in mancanza d’altro, delle carogne di animali: così per una volta, per due volte, per tre volte, la carovana raggiunge le oasi solo per trovare l’acqua inutilizzabile. Le prospettive si fanno sempre più nere; uomini e bestie avanzano con pena, le labbra secche e screpolate, le gole riarse, la pelle spaccata e ulcerosa, la mente annebbiata. Il capo della carovana, uomo freddo e realistico, si rende conto che, se anche il prossimo pozzo sarà nelle stesse condizioni dei precedenti, quella sarà la fine certa per tutti. Ma egli è anche un uomo razionale e padrone di sé e ha compreso, fin dalla prima volta, che qualcuno ha deciso di perderli: qualcuno che sta nell’ombra vuole la loro morte. Da quel momento, ha cominciato a tener d’occhio tutti quanti; e ai due o tre compagni più fedeli ha rivelato i suoi sospetti, esortandoli a stare in guardia, specialmente la notte, quando tutti dormono. Durante l’ultimo bivacco prima di raggiungere il quarto pozzo, silenzioso come un ladro e leggero come un’ombra, esce dal campo e si reca da solo, bene armato, fino all’oasi distante alcune ore di marcia; quindi si apposta dietro un tronco del palmeto, dopo aver fatto coricare il suo dromedario in un avvallamento del terreno. Ed ecco, poco prima dell’alba, giungere un uomo che scende dalla sua cavalcatura, si accosta all’acqua, beve a sazietà, riempie i suoi otri e poi fa l’atto di gettare nella pozza il contenuto di un corno che tiene appeso al collo. In quell’istante, il capo della carovana comprende di aver trovato, nello stesso tempo, il bandolo del mistero e il colpevole del più nero tradimento: con una smorfia amara di soddisfazione, imbracciando il fucile, esce dal suo riparo e si pianta dinanzi a quel miserabile, che resta paralizzato per la sorpresa e il terrore. Ecco, qui finisce la nostra storiella.

E adesso vogliamo domandare: che cosa dovrà fare, il capo della carovana, di quel traditore, dopo avergli estorto i nomi dei complici, dei mandanti, e il motivo di quell’infamia? Lo vorremo chiedere soprattutto ai signori e signorini progressisti, pacifisti, buonisti, vegani, ambientalisti, ecologisti, garantisti, umanitari, filantropi, solidali, inclusivi, accoglienti, eccetera: che cosa si deve fare di quelle canaglie? Quale punizione si dovrà infliggere loro? E, soprattutto: bisognerà portarseli dietro per il resto del viaggio, dividere con loro le esigue scorte di viveri e d’acqua, sorvegliarli giorno e notte perché non fuggano o non tentino di assassinare i loro custodi, al solo scopo di condurli in un luogo dove potranno essere giudicati secondo le leggi e con tutte le garanzie possibili? Oppure la loro colpevolezza, provata oltre ogni dubbio, e del resto da loro stessi confessata, è già più che sufficiente per decretare la loro esecuzione immediata? La loro estrema malvagità, la loro infedeltà, la loro perfida ingratitudine, la totale mancanza di senso morale che hanno dimostrato, unita al pericolo che tuttora rappresentano, anche solo potenzialmente, non sono più che sufficienti a decidere che non venga usata nei loro confronti alcuna clemenza, che non si mostri alcuna debolezza? E attenzione, signori buonisti: che cosa fareste voi, se un assassino, se un rapinatore violento e crudele, salisse a bordo della vostra barca, durante una regata solitaria? Che cosa fareste se ve lo trovaste in casa, una casa isolata, che dista ore di strada dalla più vicina stazione di polizia? Se, dopo averlo sorpreso, vi trovaste con un’arma in mano; e se vedeste sul suo volto un sinistro sorriso mentre, sfrontato, passa lo sguardo sui vostri familiari, su vostra moglie e i vostri figli: che cosa fareste, in quel caso?

Ebbene: la storia che abbiamo immaginato è un apologo che rappresenta, metaforicamente, la situazione della nostra società. Da anni essa vaga nel deserto, il deserto della modernità, sfruttando, per sopravvivere, quel poco di linfa vitale che ancora sopravvive, qua e là, nonostante il diffondersi di una cultura di morte che provoca, a sua volta, comportamenti pubblici e privati contrari alla vita, al bene, alla famiglia, alla religione. Da anni essa riesce a scongiurare l’estrema catastrofe, non per merito proprio, ma perché non è riuscita ancora a distruggere le ultime pozze d’acqua fresca, gli ultimi nuclei di bene, di amore per la vita e di timor di Dio, che hanno potuto resistere qua e là, grazie al coraggio e alla fede di alcuni uomini e donne eroici, impavidi, che non si sono uniformati all’andazzo generale, ma sono rimasti saldi e incrollabili nei loro principi. Pure, alcuni uomini estremamente malvagi hanno individuato questi ultimi angoli di pace, queste ultime fonti d’acqua limpida, queste famiglie, questi individui che brillano, con la loro vita e con le opere, talvolta con i loro scritti, come dei fari nella notte buia e tempestosa, e hanno deciso di eliminarli. Hanno giurato a se stessi di riuscirvi, in qualunque modo e a qualsiasi prezzo: se necessario, anche facendo approvare dal parlamento delle leggi che proscrivano quelli che denunciano il male; anche facendo cacciare dalla Chiesa di Cristo quelli che non si piegano al rovesciamento della dottrina e della morale; anche strappando i bambini innocenti ai loro genitori per darli in affido a persone ciniche e spietate, bramose di "rieducarli" secondo i loro perversi principi, al preciso scopo di distruggere quel che resta della famiglia naturale formata da un uomo, una donna e dai figli nati dal loro amore, e non procurati con forme di procreazione immorali o, peggio ancora, affittando l’utero di qualche donna bisognosa e disperata. Inoltre, i loro teorici non si stancano di inondare la scuola, il cinema, la televisione, la narrativa, il teatro, la musica leggera, il fumetto, le gallerie d’arte e ogni forma di spettacolo e manifestazione, per propagandare la loro cultura di morte, inneggiante al vizio, alla perversione, al disprezzo di ogni valore positivo, e spingere soprattutto i giovani nel vortice velenoso di una trasgressione distruttiva e fine a se stessa, di un nichilismo le cui ultime espressioni non possono essere che la malattia, la follia e il suicidio. Ebbene, domandiamo a tutti i buonisti di cui sopra: che cosa si dovrà fare di queste persone che predicano il male, che insegnano il disordine, che stanno avvelenando gli ultimi pozzi d’acqua pura? Persone le quali, si badi, nel loro ambiente e in tutti i luoghi della cultura dominante, trovano quasi soltanto applausi, premi, riconoscimenti, successo, denaro, carriera, e folle strabocchevoli pronte a idolatrarli? Bisognerà usare verso di loro tutti i riguardi possibili, o bisognerà schiacciarli con il tacco della scarpa, come serpenti velenosi, quali in realtà sono?

Dobbiamo persuadercene: per anni abbiamo tollerato gli avvelenatori dei pozzi, quelli che hanno seminato la confusione, quelli che hanno dato i peggiori esempi, quelli che hanno ucciso la speranza. Il baccanale diabolico è giunto a tal segno, che questo scenario da tregenda si sta svolgendo ora dentro la Chiesa cattolica, dopo aver permeato tutta la società civile. Certo, esistono gli indizi, e a volte anche le prove, che tutto ciò non viene da tendenze spontanee e naturali; che sotto il pontificato di Paolo VI, in modo particolare, la massoneria ecclesiastica è riuscita a piazzare ovunque i suoi uomini in posizioni chiave, e che ha dedicato grandissimo studio per stravolgere i corsi di formazione nei seminari e per infettare di mille sottili eresie le facoltà teologiche. Ma il lassismo indecente, la concupiscenza eretta a sistema e glorificata, il vizio e il peccato derubricati e promossi a cose buone e giuste, addirittura gradite a Dio e degne di essere santificante mediante i Sacramenti, tutto questo sfacelo, questa rovina della sola voce che si alzava pura contro la marea di fango delle passioni disordinate, non può venire che dal più profondo dell’inferno. Pervertiti e posseduti i pastori, al Maligno non resta che avventarsi, come un leone ruggente, sul gregge rimasto delle pecorelle indifeso e incustodito. E la malvagità dei falsi pastori, e in generale di tutti i cattivi maestri e le pessime guide che stanno trascinando dietro a sé la società moderna, come il pifferaio di Hamelin con gli abitanti di quella città, verso l’abisso dal quale non si può più risalire, è giunta a un punto di così atroce perfidia, da voler avvelenare anche i pozzi del futuro, da voler prosciugare anche le sorgenti che potrebbero dissetare i nostri figli e i nostri nipoti, dopo che noi non ci saremo più. Il loro progetto è fare ovunque terra bruciata, moralmente e spiritualmente, oltre che materialmente: creare un mondo infernale, dominato da una oligarchia occulta asservita al demonio, la quale solo nell’angoscia e nella disperazione può esercitare impunemente il suo potere e il suo sfruttamento. Queste guide vendute al nemico, questo pastori che tradiscono il gregge, non odiano solo il presente, ma anche il futuro. Per questo, da anni, predicano e praticano l’aborto, l’eutanasia, la sodomia istituzionalizzata e perfino i matrimoni contro natura: per essere certi che la nostra società, un poco alla volta, si estingua; che la vita sia soffocata e ridotta ai minii termini, anche in senso economico e sociale, affinché essi possano spadroneggiare sui pochi gruppi e individui, desolati e confusi, che sopravvivranno.

Ma che cosa vorremmo proporre di fare, in ultima analisi? Cari amici democratici e progressisti, rassicuratevi: non intendiamo proporre né plotoni d’esecuzione, né tribunali rivoluzionari, né sante ghigliottine (quelle cose, semmai, sono nel vostro stile, non nel nostro: e la storia lo insegna ad abundantiam); e neppure roghi di libri o censure sui film e sugli spettacoli teatrali, o veli e burqa per le donne, o la pena di morte per gl’invertiti sessuali (cose che appartengono a una civiltà molto diversa dalla nostra, e con la quale la nostra non ha niente da spartire, checché ne dicano i campioni del multicultralismo e del dialogo interreligioso spinto fino all’oblio di sé e all’autocensura della propria identità). Ciò che proponiamo è una semplice, limpida, onesta presa di coscienza; una assunzione di consapevolezza della situazione in cui ci troviamo. Le risposte che ciascuno di noi riterrà di dare, e che la società vorrà dare nel suo complesso, scaturiranno in maniera naturale e spontanea da tale presa di coscienza. Per fare un esempio: fino a che punto una società economicamente in affanno, con milioni di persone già cadute in povertà e con altri milioni di futuri poveri, può continuare a pagare somme astronomiche per le prestazioni dei cattivi maestri? Fino a quando i cantanti rock che predicano il nichilismo, i conduttori televisivi che seminano la confusione, i ministri e i vescovi che inoculano il veleno della rassegnazione, della disfatta e della resa alle forze malefiche che ci assalgono da ogni parte, meritano che la società seguiti a pagar loro le ricompense a molti zeri che attualmente ricevono e che sono un insulto per tutti i padri e le madri di famiglia che tirano avanti con mille sacrifici, oppressi dai debiti e dalle ristrettezze, per mandare i figli a scuola e all’università, sapendo che poi conseguiranno una laurea inutile, e probabilmente dovranno andare a cerarsi un lavoro all’estero? Perché mai il signor Fazio dovrebbe seguitare a percepire qualcosa come nove milioni di euro in quattro anni, intrattenendoci a Che tempo che fa coi suoi amici d’ideologia e distribuirci sermoni sui poveri e sugli ultimi della Terra, quando in Italia ci sono oggi, secondo le cifre ufficiali, cinque milioni di persone che versano in povertà assoluta? E perché mai dovremmo tollerare che un cardinale come Maradiaga, beniamino di Bergoglio e campione della chiesa in uscita e dei preti di strada, ci rintroni gli orecchi tutti i giorni con le sue prediche e i suoi discorsi a favore dei migranti che "fuggono da guerra e fame", mentre lui percepisce uno stipendio mensile di 35.000 euro? E le star della musica leggera, le supermodelle, i campioni sportivi più famosi e onnipresenti sulle pagine di gossip: è etico, è tollerabile che seguitino a intascare ricompense a molti zeri, mentre le persone normali devono stringere la cinghia ogni giorno di più? E comunque, al di là del discorso economico: fino a quando presteremo orecchio, fino a quando concederemo stima e considerazione ai predicatori del nulla, a filosofi da strapazzo, a sociologi e psicologi un tanto il chilo, i quali, coalizzati, ci spiegano quanto è bella una società dove ciascuno è libero di fare quel che gli pare, dove i genitori non devono mai sgridare i figli, dove la legge non deve punire con severità i delinquenti, perché, poverini, bisogna dar loro modo di reinserirsi, anche ai più pericolosi, anche ai responsabili dei delitti più inumani? Fino a quando sopporteremo questa inversione di valori, questo capovolgimento del merito e del demerito, del giusto e dell’ingiusto, del vero e del falso, del bene e del male? Quando diremo basta?

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Christian Lue su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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