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Perché quest’insistenza ossessiva su gay e migranti?

Due temi, fra tutti gi altri, spiccano in maniera evidente, nella propaganda dei media controllati dalle oligarchie globaliste: l’omosessualità, presentata come la cosa più naturale del mondo, nonché come un sacrosanto diritto della persona, e le migrazioni afro-asiatiche verso l’Europa (e latino-americane verso gli Stati Uniti), presentate come un fatto assolutamente spontaneo e naturale e come una necessità di vita o di morte per i migranti stessi. Sia l’uno che l’altro sono stati recepiti dall’opinione pubblica occidentale, almeno in apparenza, in termini sostanzialmente favorevoli, pur se covano sacche di malumore; nel complesso, però, sono molte le persone che ritengono giusta sia l’una che l’altra cosa: sia la legalizzazione dell’omosessualità e l’istituzionalizzazione dei cosiddetti matrimoni gay, sia il movimento migratorio dall’Africa e dall’Asia verso l’Europa, presentato come un diritto assoluto da parte dei migranti e come un dovere di accoglienza da parte degli europei. Siamo certi che, solo vent’anni fa, la maggior parte degli europei la pensava diversamente su entrambi i temi; e infatti le oligarchie globaliste non osavano ancora presentare i loro obiettivi con la spregiudicata e brutale franchezza con cui agiscono oggi, mettendo letteralmente la società di fronte al fatto compiuto. Se non vi piace così, tanto peggio per voi; dovrete farvene una ragione, perché indietro non si torna. Ormai le unioni gay sono diventate un "fattore di civiltà" del tutto irrinunciabile, e il diritto di qualsiasi migrante a stabilirsi in Europa è un altro caposaldo sulla via della civiltà. Siamo sinceri: qualcuno avrebbe anche solo immaginato, venti anni fa, che un primo ministro di uno Stato europeo — il Lussemburgo, in questo caso — si sarebbe recato in visita ufficiale in Vaticano e si avrebbe presentato, come se fosse sua moglie, cioè, volevamo dire, come suo marito, un uomo che vive con lui e che si è unito a lui in una forma di convivenza sessuale legalmente riconosciuta? Qualcuno si sarebbe immaginato il papa, il segretario di Stato e i monsignori della Santa Sede stringer la mano a quel "marito" e dire, con il più largo e inclusivo dei sorrisi: Tanto piacere. Come sta? Siamo felici di conoscerla! Sarebbe sembrata una forma assai discutibile di fantasia erotico-politica, quasi una perversione dell’immaginazione. E se qualcuno ci avesse detto, venti anni fa, che gli immigrati regolari e irregolari, in Italia, sarebbero stati milioni, e che grazie al loro tasso incremento demografico ci avrebbero letteralmente soppiantati e sostituiti; e che già oggi, girando per certe strade e certi quartieri di quasi tutte le città italiane, ed entrando nelle scuole elementari di quasi tutta l’Italia, si ha l’impressione di trovarsi non a Genova, a Bologna, a Pesaro o a Benevento, bensì a Baghdad, o Dacca, o Asmara, o Lagos? E invece è tutto realmente accaduto e sta accadendo, con la benedizione dello Stato e della "chiesa" del santo papa Francesco, maestro insuperabile di umiltà, accoglienza e solidarietà. Rimettere in discussione tali "conquiste" sarebbe semplicemente inconcepibile; e infatti quei soggetti e quelle forze politiche che avanzano delle riserve in proposito sono oggetto di una campagna di criminalizzazione senza precedenti; sono qualificati come sovranisti, populisti, fascisti, omofobi, intolleranti, barbari e incivili.

Che cosa è successo, dunque, in meno di venti anni, per far mutare così radicalmente le convinzioni di una fetta significativa della società? In pratica, abbiamo assistito — o meglio non abbiamo assistito, perché la cosa si è svolta sotto il nostro naso, ma noi non ce ne siano accorti per niente — a una brillantissima applicazione del principio della "finestra di Overton": cuocere a fuoco lento l’opinione pubblica presentandole,in maniera graduale, insistente, e perlopiù abilmente dissimulata, delle idee e dei comportamenti che essa, inizialmente, trova inaccettabili, immorali, disgustosi. È una tecnica di vendita: in fin dei conti si tratta di lavorare metodicamente l’immaginario delle persone, bombardandole con dosi sempre più massicce di propaganda ideologica, sovente dissimulata e mimetizzata all’intermo di contenitori teoricamente neutri dal punto di vista ideologico, come la pubblicità. La pubblicità, come è noto, agisce sull’immaginario soprattutto a livello subconscio, sicché le persone subiscono il suo influsso, ma senza rendersene pienamente conto, o senza rendersene conto affatto. Ed ecco che, dopo aver visto decine e centinaia di spot nei quali si suggerisce che gay è bello e che i migranti sono una risorsa e giammai una minaccia alla stabilità del corpo sociale, le persone, chissà come mai, finiscono per pensarla proprio così, per esprimere simili opinioni e per trovare giusto e naturale che così avvenga. Se a ciò si aggiunge l’opera parallela e convergente del cinema, della letteratura, della musica leggera, del teatro, del fumetto, dei giochi elettronici, della scuola, della politica, della magistratura, dello sport e della chiesa, si avrà un quadro abbastanza completo sul perché la gente, nel corso degli ultimi venti anni, abbia finito per rendersi docilissima ai piani strategici delle oligarchie finanziarie che controllano, appunto, l’immaginario collettivo.

Resta da chiedersi, naturalmente, perché le oligarchie perseguono questa linea e soprattutto perché hanno puntato tutte le loro carte, o quasi tutte, su questi due temi. In fondo, ne avevano e ne hanno sottomano anche altri, che sembrano perfettamente in linea con questi e, in generale, con la visione cultura progressista e globalista; tanto per citarne un paio, il femminismo e l’ambientalismo (stiamo parlando di cavalli di battaglia e cioè di contenitori, non di contenuti; altra cosa è poi vedere se le oligarchie sono davvero interessate ai diritti delle donne e alla tutela dell’ambiente). La risposta ha a che fare con lo scopo generale di tutta la strategia delle oligarchie occulte, che è quella di creare il caos, di scatenare le forze distruttive e autodistruttive, per poi presentarsi a riscuotere il profitto, in termini di accresciuto asservimento dei popoli e di astronomica moltiplicazione degli utili provenienti dalla speculazione finanziaria. Ebbene, se lo scopo è quello di diffondere la maggiore destrutturazione che sia possibile, l’omosessualismo (con la sua appendice del transessualismo) e il migrazionismo sono di gran lunga gli strumenti più idonei. In entrambi i casi, ciò che viene colpito a morte è l’elemento decisivo per la stabilità, sia individuale che sociale: la coscienza della propria identità. Se si riesce a instillare nel maschio il dubbio di essere potenzialmente una femmina, e nella femmina quello di poter essere, o di voler essere, un maschio, si distrugge la coscienza della propria identità di genere, che è sempre stata un caposaldo della propria identità complessiva. Se si comincia a dubitare di quello, allora si può veramente dubitare di tutto. Quanto al migrazionismo, è il senso della propria identità culturale che viene colpito al cuore dall’incessante propaganda a favore dell’invasione e della sostituzione di popoli travestita da accoglienza e solidarietà nei conforti di un fenomeno del tutto spontaneo e perciò "naturale", come appunto le migrazioni, mentre invece, ben lungi dall’essere tale, è al 90% un fenomeno indotto, studiato a tavolino e incoraggiato e favorito in tutte le maniere possibili. Favorendo il meticciato, incoraggiando i matrimoni misti, invogliando le coppie europee ad adottare bambini africani o asiatici (si pensi, di nuovo, a certe pubblicità televisive, non solo di test per la gravidanza, ma di qualsiasi altra merce, dalla pastasciutta alle automobili), e proclamando che la mescolanza delle culture e delle razze è la cosa più bella al mondo, si allenta e infine si distrugge la coscienza della propria identità culturale, etnica e civile. Bisogna stare attenti a non farsi ingannare dalla strategia oligarchica. L’obiettivo apparente della incessante propaganda ideologica, diretta e indiretta, da essa sponsorizzata, è minimale: ottenere il rispetto delle minoranze e delle diversità, dare un pieno riconoscimento alla loro esistenza e alla loro dignità umana. L’obiettivo reale è quello di servirsi dell’obiettivo apparente per non dare nell’occhio e trarre inganno il pubblico in buona fede, e intanto perseguire uno scopo molto, ma molto più vasto e ambizioso: sovvertire la morale e la politica – la morale in quanto ricerca del bene dell’individuo, e la politica in quanto ricerca del bene comune – e mettere in una posizione di subordinazione e di auto-colpevolizzazione (le due cose vanno sempre insieme) la maggioranza delle persone, suggerendo loro che la minoranza, per esempio gli omosessuali e le persone di colore, hanno sempre sofferto a causa dei pregiudizi, dell’ignoranza, della stupidità e dell’ipocrisia mostrati da esse, e che quindi ora devono accettare di essere in qualche modo subordinate, quale atto di riparazione, nei confronti di costoro. Così, l’eterosessuale deve sentirsi inferiore all’omosessuale (non diceva forse, il professor Umberto Veronesi, che l’amore gay è molto più nobile di quell’altro, perché in esso non c’è il fine egoistico della procreazione?), come l’europeo deve sentirsi inferiore (e colpevole) di fronte all’africano. E sentirsi inferiore vuol dire nutrire un desiderio di espiazione e di riscatto, cioè, in pratica, esser capace di adattarsi a qualunque forma di masochismo. Ma se un uomo dubita di essere una donna e una donna di essere un uomo, sarà impossibile, per loro, creare una famiglia, oppure, se lo faranno, si porteranno dietro le premesse del più totale fallimento; e allo stesso modo, se un italiano finisce per credere che per essere italiano (o francese, o tedesco, eccetera) basti avere nel portafogli un documento su quale c’è scritto: CITTADINANZA ITALIANA, e che chiunque può ottenerlo in maniera automatica, anche un marocchino di stretta osservanza islamica, o un indiano sikh, o un congolese semi-animista, nessuno dei quali nutra un sincero affetto e un autetico rispetto per la civiltà italiana, per il popolo italiano, per la storia e l’arte italiane, ma si mette a sbuffare, per esempio, se i suoi figli, a scuola, devono studiare la Divina Commedia, nella quale l’islamofobo Dante pone Maometto all’inferno (così come pone all’inferno, ma questo è l’altro discorso, le anime degli omosessuali), ebbene, in tal caso svanisce nel vago e magari nel ridicolo ogni senso di appartenenza, di identità e di legane con le proprie radici. Si diventa allora degli sradicati: e dominare una massa di sradicati, per le oligarchie, è certo cosa assai più auspicabile che non avere a che fare con dei popoli e con delle persone i quali siano ben coscienti di ciò che sono, di ciò che sono stati, di ciò che vogliono seguitare ad essere.

C’è poi un’altra ragione per cui i poteri oligarchici hanno deciso di puntare su questi due fattori come dei grimaldelli per scardinare la nostra società. La pratica dell’omosessualità e la mescolanza con folle innumerevoli della più varia provenienza, non solo indeboliscono il senso della propria identità, sessuale nel primo caso, culturale nel secondo; entrambe, ma specialmente la prima, da un lato forniscono una specie di ebbrezza dovuta al superamento di un limite, all’infrazione di un tabù, per cui stimolano la caratteristica euforia propria della trasgressione, dall’altro generano, a livello subconscio, un profondo e logorante senso di colpa, una vergogna inconfessabile, ma tenace e invincibile. Limitandoci alla pratica omosessuale, possiamo dire che vi è una intrinseca fierezza, per l’uomo, nel sentirsi maschio e comportarsi da maschio, e quindi nel desiderare la femmina e sentirsi attratto dalle femmine. Vi è anche un intenso piacere, nella donna, nel sentirsi tale, nel contemplare la propria femminilità e quindi nel desiderare di piacere al maschio. La pratica omosessuale abolisce questa fierezza e distrugge questa intima soddisfazione. Per l’uomo, essa corrisponde a una umiliazione delle sue qualità virili; per la donna, a una mortificazione della propria femminilità: l’uno e l’altra introiettano un profondo auto-disprezzo, perché avvertono, sia pure a livello subconscio, che il loro stile di vita li abbassa e li degrada e fa di loro i peggiori nemici di se stessi. Parliamo, naturalmente, di quanti indulgono all’omosessualità per vizio, che senza dubbio sono oggi la maggioranza, e non della piccola minoranza che effettivamente ha delle tendenze sessuali anormali; anche per questi ultimi, peraltro, una cosa è cercare la soluzione al loro problema con degli interventi, anche psicologici, per ritrovare il giusto orientamento sessuale, e una cosa ben diversa è affermare una aggressiva fierezza omosessuale. L’espressione gay pride, infatti, significa orgoglio omosessuale: ma di che scossa dovrebbero essere orgogliose, di cosa dovrebbero menar vanto, quelle persone? Si ha l’impressione, davanti agli eccessi, anche volutamente disgustosi, di certe sfilate dei Gay Pride, che quelle persone vogliano esorcizzare i loro profondi sensi di colpa con una sovraesposizione del proprio vizio e con una provocatoria ostentazione della loro inversione. Se così non fosse, che bisogno avrebbero di fare ricorso a certe repellenti sceneggiate? Vogliono offendere il senso della normalità e del decoro; ma perché lo fanno, se non perché sentono di essere in fallo? Un discorso in parte simile si può fare per la mescolanza disordinata di popoli e culture e per la promiscuità, anche sessuale, che ne deriva. Oggi, naturalmente, la cultura politically correct ci ha indottrinati in maniera tale da farci apparire come mostruose e aberranti le legislazioni che stabilivano una separazione e che ponevano un limite in quel senso, come le leggi razziali italiane del 1938 o l’Apartheid sudafricana. Anche in quel caso, come in molti altri, pesa come un macigno sulle nostre coscienze lo spettro dell’Olocausto, benché, in effetti, esso non c’entri affatto. Mediante un vero ricatto, hanno voluto suggerirci che esso è l’esito necessario di qualsiasi politica tendente a disciplinare o limitare la mescolanza razziale. Ma siamo proprio sicuri che l’idea di porre un limite a tale mescolanza sia, in sé, sbagliata e immorale? Erano dunque dei nazisti ante litteram i democratici ateniesi, i quali trattavano da stranieri privi di diritti politici tutti i meteci, anche quelli provenienti, non diciamo da un altro continente, ma dalle poleis più vicine, come Tebe o Corinto?

Fonte dell'immagine in evidenza: Photo by Mike Chai from Pexels

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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