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Quanto del paganesimo è passato nel cristianesimo?

Abbiamo visto, a suo tempo, come l’avvento del cristianesimo abbia comportato, nel mondo tardo antico, una demonizzazione degli dei pagani; abbiamo anche visto quale fosse la posizione di sant’Agostino riguardo alla questione delle due città, e quali aspetti morali del paganesimo siano stati spazzati via dalla nuova religione di Cristo, operando una vasta bonifica delle passioni inferiori e più selvagge, il sadismo, la lussuria sfrenata, le quali, nel clima della tarda romanità, erano penetrate assai a fondo nella mentalità e nel costume romano della decadenza e avevano raggiunto livelli di diffusione impressionanti, toccando forse il vertice con l’ecatombe di gladiatori offerta per il divertimento del popolaccio (cfr. i precedenti articoli: Come gli dèi del paganesimo diventarono demoni, pubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 04/03/18; Terrore e voluttà, le basi malefiche del paganesimo, il 15/10/17; e Le due città, sul sito di Arianna Editrice il 18/12/14 e poi su quello dell’Accademia Nuova Italia il 24/10/17). Ci resta da capire come e cosa del paganesimo sia effettivamente passato nella cultura cristiana e sia stato perciò tramandato a lungo, nel corso dei secoli, cioè almeno fino alla ‘rinascenza’ dei secoli dal XIV al XVI. Fermo restando che forse anche il concetto di rinascita del mondo classico va rimessa in discussione: perché è noto che studiosi come Jean Seznec (1905-1983) sostengono, al contrario, che molti aspetti della cultura classica si sono conservati sostanzialmente integri lungo tutto l’arco della civiltà cristiana medievale, per cui nel Rinascimento non ci sarebbe stata una vera e propria rinascita, ma, tutt’al più, una maggiore enfasi nella loro valorizzazione. Seznec, nel sostenere la tesi di una sostanziale continuità fra cultura pagana e cultura cristiana, aveva in mente soprattutto gli aspetti scientifici e culturali, prima fra tutte la scienza dell’astrologia, veicolo, a sua volta, della sopravvivenza della credenza negli dèi pagani, sia pure nella forma degradata di demoni che agiscono per il male degli uomini — come gli spiriti delle tenebre della religione persiana – e non più di esseri "celesti" che agiscono sia per il bene che per il male sotto la direzione di un dio supremo, Zeus, che nel tardo paganesimo era stato sostituito dalla divinità solare, Helios, anche nella forma del Sole Invitto.

Riteniamo degno d’interesse riportare una pagina di questo storico della letteratura e dell’arte che tanto ha contribuito al dibattito sul tema in questione, affinché il lettore possa farsi un’idea della sua tesi (da: J. Seznec, La sopravvivenza degli antichi dèi. Saggio sul ruolo della tradizione mitologica nella cultura e nell’arte rinascimentali; titolo originale: La survivance des dieux antiques. Essai sur le rôle de la tradition mythologique dans l’humanisme et dans l’art de la Renaissance, Paris, Flammarion, 1980; traduzione dal francese di Giovanni NIccoi e Paola Gonnelli Niccoli, Torino, Bollati Boringhieri, 1981 e 1990, pp. 37-39):

Questa è la situazione che il cristianesimo nascente si trova di fronte. Intollerante verso tutti i culti pagani, esso, a maggior ragione, lo è verso la sua forma più recente e tenace, la fede nell’onnipotenza delle divinità astrali e del loro re Elios. Già l’apostolo Paolo rivolge parole di aspra rampogna ai destinatari della "Lettera ai galati" (4,9 sg.) perché celebrano "i giorni e i mesi, gli anni e le stagioni", e così servono "i deboli e miserabili elementi rendendosene schiavi. Più tardi — richiamandosi d’altronde a Filone d’Alessandria — gli apologisti condannano il peccato e la vergogna di divinizzare il mondo fisico e adorare la creazione invece del Creatore. Ma soprattutto empia e pericolosa per la morale appare ad essi la fede nell’onnipotenza degli astri in quanto negazione della libertà umana e causa di un fatalismo scoraggiante (vedi per esempio sant’Agostino, "De Civitate Dei" 5.1-7). Sembrerebbe dunque che tra cristianesimo e astrologia vi fossero soltanto incomprensione e ostilità. Di fatto, le cose andarono diversamente. Innanzitutto, la stessa dottrina cristiana racchiude elementi astrologici: troppo forte era stata l’influenza delle religioni ellenistiche e orientali, e troppo stretto il legame con la filosofia e la scienza "profane", perché essa potesse liberarsene del tutto. Così non soltanto permangono gli appellativi mitologici della settimana, malgrado alcune proteste e alcuni timidi tentativi per sostituire loro una terminologia cristiana; ma la stessa Chiesa ufficiale romana, verso la metà del quarto secolo, fissa la data di nascita di Cristo al 25 dicembre, cioè a quello che per i pagani era il genetliaco del Sole in quanto, da quel giorno, un nuovo sole comincia un nuovo ciclo di un anno. Già Aureliano, aveva fatto del Sol invictus, il dio protettore dell’impero; Costantino, il primo degli imperatori cristiani, avrà su una colonna di porfido, a Costantinopoli, la propria effigie in veste di Dio del sole.

Così, anche tra i cristiani l’astrologia trova i suoi sostenitori e i suoi fedeli; gli stessi avversari le fanno importanti concessioni. Tertulliano, non senza imbarazzo, ammette che l’astrologia sia stata veritiera fino all’annunzio dell’evangelo, dopo il quale invece è diventata lecita soltanto la scienza che "osserva le stelle di Cristo, non di Saturno e di Marte e di chiunque appartenga allo stesso genere di morti". Da parte sua Origene, e con lui la maggior parte dei credenti, forti dell’autorità delle Scritture, limitano sì ma non rinnegano la fede nel potere degli astri: certo, le stelle non possono esercitare la loro influenza e costringe gli uomini al peccato CONTRO la volontà di Dio; nondimeno esse hanno il valore di SEGNI attraverso cui la divinità, mitemente ammonitrice o minacciosa, rende noti in anticipo i suoi disegni. Anche Lattanzio ("Divinae Institutiones", PL 6, coll. 336 sg.) e sant’Agostino ("De Civitate Dei" 5.7), pur convinti che il libero arbitrio dell’uomo e la grazia di Dio possano prevalere, non mettono in dubbio il potere dei demoni operante negli astri. Infine "se, come insegna la dottrina della predestinazione, la salvezza o la dannazione del’uomo dipendono unicamente dall’eterno volere di Dio, molti vedono nell’immutabile decreto dei corpi celesti, determinante la stessa vita morale, soltanto un’espressione diversa di questa fede o, almeno, riservano all’onnipotenza divina l’annunzio mediante gli astri della sua decisine inflessibile. (Boll, Bezold e Gundel, "Storia dell’astrologia", 1931, pp. 44 sg.).D’altronde anche quando danno dell’astrologia questa interpretazione limitativa e perfino quando la condannano, gli apologisti e i Padri conservano intatta la sua radice profonda: la credenza nei demoni. L’esistenza di angeli malvagi è per tutti loro, come per la Chiesa, un articolo di fede; ma con questi demoni biblici essi accomunano e confondono, in un’unica schiera, anche gli dei della mitologia pagana. Sacrificano ai demoni e non a Dio", diceva san Paolo parlando dei gentili; e per secoli ancora i predicatori continueranno ad andare per le campagne a scacciare i demoni Giove, Mercurio ecc. che vi si sono attardati. Ora è appunto attraverso gli astri e l’astrologia che spesso agiscono i demoni. Un tempo essi, per tentare e perdere gli uomini, hanno insegnato loro l’arte astromantica, e anche adesso, sparsi per l’aria ("aerea animalia"), si servono dei corpi celesti per esercitare il loro funesto dominio. Naturalmente, sant’Agostino, che discute questa dottrina dei demoni nel suo "De Genesi" (3.10.4 sg.) condanna con violenza estrema "le fallaci profezie e le empie aberrazioni degli astrologi ("Confessiones", 7,9). E respinge nel modo più categorico l’esistenza di demoni benefici, ammessa per esempio dal "mago" Apuleio e in genere in tutta la speculazione pagana tardo antica. Tuttavia, anch’egli come Apuleio, della cui dottrina ci dà una particolareggiata esposizione nel "Civitate Dei" (1.9), riconosce alle maligne potenze del cielo una realtà corporea e con ciò stesso vanifica l’efficacia della propria polemica, offrendo anzi, suo malgrado, alla mistica astrale una giustificazione e un solido punto d’appoggio.

La sopravvivenza della cultura astrologica fu dovuta anche al fatto che essa si era radicata talmente in profondità nella cultura profana (Seznec dice "laica", ma il vocabolo ci sembra anacronistico), perché fosse possibile estirparla. Di fatto, essendo l’astrologia inseparabile dall’astronomia, qualunque studioso del cielo stellato veniva anche dotato di una robusta formazione astrologica e ciò spiega come questa scienza, ché tale era per gli antichi, sopravvisse per tutti i secoli della civiltà cristiana medievale. Dante, fra gli altri, era convinto che le stelle esercitano una naturale disposizione sulle facoltà umane, anche se non fino al punto da contrapporsi alla grazia divina o da annullare la facoltà del libero arbitrio da parte dell’uomo. Si pensi a ciò che dice della propria capacità poetica in Inferno, XXVI, 19-24; Allor mi dolsi, e ora mi ridoglio / quando drizzo la mente a ciò ch’io vidi, /e più lo ‘ngegno affreno ch’i’ non soglio, / perché non corra che virtù nol guidi; / sì che, se stella bona o miglior cosa / m’ ha dato ‘l ben, ch’io stessi nol m’invidi. E la credenza nell’astrologia si associava naturalmente alla magia e alla fede nell’esistenza degli spiriti, che, nel cristianesimo, non potevano essere che spiriti cattivi, dato che quelli buoni non sono soggetti alle predizioni dell’astrologo o alla volontà del mago, né esercitano alcun potere sugli uomini, se non in pieno accordo con la volontà di Dio. E gli spiriti cattivi erano già lì, nelle sfere celesti, belli e pronti, per così dire: erano gli dèi del paganesimo, messi in rotta dalla venuta di Cristo. Dice infatti san Paolo nella Lettera agli Efesini (6, 11-12): Rivestitevi dell’armatura di Dio, per poter resistere alle insidie del diavolo. La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti. Ma se questa era la visione adottata dalla Chiesa e accettata dal popolo, la stessa cosa non può dirsi per le classi colte, per gli intellettuali, i quali, nel cima di ritorno alla cultura classica promosso dall’umanesimo, erano portati a vedere negli dèi astrali quanto meno le espressioni della Natura primigenia, della forza vitale del mondo. Era inevitabile che valorizzare al massimo la cultura pagana portasse con sé anche un certo grado di fascinazione nei confronti del paganesimo, o almeno di quel clima spirituale che trasudava dalle sue scienze esoteriche, l’astrologia, l’alchimia e la magia, tutte fra loro più o meno collegate. Quando il Rinascimento rimise l’uomo pienamente al centro del cosmo, alcuni intellettuali oltrepassarono il limite, peraltro instabile, che aveva caratterizzato il rapporto fra cultura cristiana e cultura classica nel Medioevo (si pensi alla condanna al rogo di Cecco d’Ascoli, nel 1327, che quel limite non aveva ben misurato) e, pur senza dichiararlo apertamente, tornarono a una visione del mondo sostanzialmente pagana, che vedeva nella natura e nelle forze cosmiche il centro motore della realtà. Il passo che separa un’astrologia cristiana, che presuppone la Provvidenza divina, da un’astrologia pagana, che cerca le ragioni delle azioni umane negli influssi astrali e nella sua stessa volontà, ponendo Dio fra parentesi, è relativamente breve, e non furono in pochi a compierlo. Così, in un certo senso l’astrologia fu il cavallo di Troia con cui il paganesimo, cacciato mille anni prima, si prese la rivincita e tornò a insediarsi nella coscienza degli uomini, inducendoli ad adorare le creature invece del Creatore. La Chiesa vide il pericolo, ma troppo tardi; durante la Riforma cattolica vi fu persino un tentativo di sostituire, nelle carte celesti, i nomi e le figure delle divinità pagane con quelli della storia sacra, ma fu alquanto velleitario e venne presto abbandonato.

Sarebbe totalmente sbagliato considerare la questione esclusivamente in un’ottica storica, come se non ci riguardasse il presente. Al contrario, vi sono forti segnali che non solo la visione naturalistica e panteista sta tornando a far capolino nella cultura contemporanea, ma che sta compiendo il passaggio dalle classi colte alle classi popolari, realizzando ciò che nemmeno il pieno Rinascimento aveva osato tentare: la conquista del vasto pubblico, e quindi dell’intera società. Oggi i concetti fondamentali del New Age, per fare un esempio, mescolati a elementi dello Yoga, del tantrismo, della teosofia, dell’antroposofia, della Cabala ebraica, dello spiritismo, della credenza nella trasmigrazione delle anime, sono stati divulgati fra una cerchia vastissima di persone e godono di una popolarità che supera, e di molto, quella del cattolicesimo tradizionale. E non basta: ora è la Chiesa stessa, partendo dal suo vertice, a relativizzare l’insegnamento cristiano (Dio non è cattolico, dice il signor Bergoglio) e a valorizzare al massimo, portandole ad esempi di virtù e di saggezza, le culture naturalistiche, animiste, sciamaniche dei popoli primitivi. Il futuro sinodo dell’Amazzonia già si annuncia come un "superamento" del cristianesimo (è una voce autorevole come quella del cardinale Müller a denunciarlo, dopo la pubblicazione del documento preparatorio Instrumentum laboris) in chiave naturalista e panteista. E lo stesso Bergoglio, nell’intervista a La Stampa del 9 agosto 2019, si è diffuso sulla minaccia alla biodiversità, ha parlato dei problemi ambientali e climatici e non ha speso una parola né per Dio, né, meno ancora, per Gesù Cristo. Che dire? Le anime dei filosofi pagani, che assistettero con rabbia impotente al trionfo del cristianesimo ai tempi del tardo Impero romano, possono godersi la rivincita più maliziosa e sottile. Ci son voluti duemila anni, ma il Vangelo si sta paganizzando, e per opera del clero stesso. E col paganesimo, tornano a trionfare le più torbide passioni, quelle denunciate da san Paolo nell’Epistola ai Romani, la lussuria, l’avidità, l’idolatria, sempre con l’avallo e la benedizione del clero "cattolico". Chi l’avrebbe detto?

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Jorgen Hendriksen su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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