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È giusto condannare le stragi, ma i problemi restano

Le due stragi avvenute negli Stati Unti fra la sera di sabato e le prime ore del mattino del 4 agosto 2019, ora italiana, rispettivamente a El Paso, Texas, e a Dayton, Ohio, hanno riportato bruscamente di attualità il tema dell’intolleranza, del razzismo, del suprematismo, che già da qualche mese ha coinvolto l’opinione pubblica mondiale. Scommettiamo dieci a uno che la stragrande maggioranza delle persone, in Europa, non aveva mai sentito palare del suprematismo bianco e che ne ignora del tutto le origini, la storia, le motivazioni. Da noi, i grandi gruppi finanziari che controllano tv e giornali fanno informazione a questo modo: sbattono in faccia al pubblico questo o quel fatto, magari gonfiandolo ad arte, e introducono nel vocabolario nuove espressioni, corrispondenti a nuovi concetti, senza prendersi la briga di spiegare che parole sono e da chi e come vengono adoperate. Così è stato per il "sovranismo"; e così è stato, prima ancora, per il termine "profugo", usato dai giornalisti politicamente corretti in assoluta malafede, sapendo benissimo che più di nove migranti su dieci non sono affatto profughi e inon hanno alcun diritto all’accoglienza per motivi umanitari. Adesso anche il presidente Trump, messo moralmente sotto accusa per aver creato, o contribuito a creare, il clima da cui scaturiscono il razzismo e le stragi razziste, ha ritenuti di doversi liberare da quei sospetti dichiarando che l’assassino di El Paso (l’altro, quello di Dayton, pare che col suprematismo non c’entri nulla) era consumato dall’odio razzista, e affermando che con una sola voce la nostra nazione deve condannare il bigottismo, il razzismo e il suprematismo bianco, invocando inoltre la pena di morte per gli autori delle stragi. E non c’è dubbio che una strage dettata dall’odio razziale sia uno dei crimini peggiori che possano venir posti in essere; un crimine che non solo colpisce le vittime designate e, spesso, anche delle persone presenti per puro caso sulla scena degli attentati, ma colpisce, in senso morale, la società nel suo insieme, facendo scricchiolare le stesse fondamenta della civile convivenza.

Ciò detto, ed era doveroso, resta la scomoda, scomodissima domanda: ciò che aveva provocato l’esasperazione, il furore e la sanguinaria reazione degli attentatori; ciò che mette in allarme i suprematisti e anche tutti quei pacifici cittadini, rispettosi della legge, i quali, pur non essendo suprematisti, condividono la sostanza delle paure di costoro, e cioè una invasione incontrollata fatta passare per immigrazione e una progressiva, inarrestabile sostituzione di popolazione, era frutto d’immaginazione, erano solo fantasie deliranti partorite da menti malvagie, da cuori avvelenati dall’odio? Poniamoci francamente la questione: non è forse in atto una invasione dei Paesi del Nord della Terra da parte dei popoli del Sud, mascherata da migrazione e da emergenza umanitaria? Ed è del tutto campata in aria l’idea che, andando avanti di questo passo, e stante il tasso di crescita demografica dei nuovi arrivati, gli Stati Uniti, entro pochi decenni, saranno sommersi da una maggioranza di latinos e altri stranieri, e l’Europa da una maggioranza di africani e asiatici di religione islamica? E davvero non abbiano il diritto di chiedere, di sapere, se questi movimenti di popolazione si siano originati in maniera spontanea, o se non vi sia, dietro di essi, la regia occulta del grande potere finanziario, il cui interesse è quello di trasformare il mondo in una società aperta, dove merci e persone vengono spostati a piacere (suo) e in qualsiasi quantità; dove i confini devono essere abbattuti, gli Stati devono essere ridotti ad espressioni geografiche, e i popoli si devono mescolare, affrettando la scomparsa della civiltà bianca (americana ed europea) e favorendo l’avvento di una società meticcia, priva d’identità, perché priva di radici, di valori condivisi, di una storia comune e di comuni tradizioni? Già il solo fatto di porre queste domande, lo sappiano, ci pone in una zona pericolosa, in una situazione irta di difficoltà e potenziali pericoli. Con che diritto, con quale intenzione le facciamo? Stiamo forse cercando di accreditare le tesi del suprematismo; stiamo forse versando altra benzina sul fuoco dell’intolleranza, delle incomprensioni, degli scontri sociali e razziali che funestano la società in questi ultimi tempi?

Il fatto di porre domande su temi che hanno fornito la base ideologica a chi si è macchiato di crimini, è già di per stesso un atto sbagliato, pericoloso, reprensibile? La società dovrebbe autocensurarsi automaticamente su tutti quegli argomenti che si prestano a fornire una giustificazione per la violenza? È inutile girarci intorno: sappiano tutti molto bene che esiste un precedente ad alta tensione, quello di ciò che hanno subito gli ebrei da parte del regime nazista e che ormai la maggioranza degli storici ha accettato di chiamare Olocausto, prendendo per buona un’espressione tipicamente religiosa e storicamente poco pertinente, coniata dagli ebrei stessi. Possiamo porre la cosa in questi termini: posto che la persecuzione degli ebrei da parte dei nazisti fu una barbarie, è nondimeno lecito chiedersi quali ragioni abbiano spinto i nazisti a decidere una linea d’azione così dura nei confronti degli ebrei? In altre parole: si può essere persuasi che gli ebrei non meritavano di essere perseguitati a quel modo, e tuttavia che i nazisti avevano, o almeno credevano di avere, delle valide ragioni per considerarli come dei pericolosi agenti nemici infiltrati nei tessuti vitali della patria tedesca per danneggiarla e impoverirla dall’interno, ma in collegamento con i loro potenti fratelli di fede, i grandi finanzieri degli Stati Uniti? Secondo noi, sì: si può e anzi si deve deplorare la sorte toccata agli ebrei tedeschi sotto il nazismo, ma si può anche, anzi si deve, in nome del sano metodo storico, non limitarsi a deplorare che i nazisti abbiano agito come hanno agito, ma anche lumeggiare per quali ragioni essi abbiano concepito e messo in opera quelle azioni. Per odiarsi, bisogna essere in due: c’è chi odia e chi è odiato; ma spesso, anzi di solito, chi è odiato, è odiato perché odia a sua volta, oppure perché si è reso odioso, oppure ancora perché esistevano le condizioni sufficienti affinché chi odia ritenga di essere gravemente minacciato e quindi coltivi il suo odio per un riflesso difensivo. Pertanto, non ci si può limitare a prendere atto che c’è stato un odio e che quell’odio ha prodotto delle sofferenze, ha fatto delle vittime; bisogna anche cercar di capire come e perché quell’odio sia nato. E questo per tentar di comprendere sia le ragioni delle vittime, sia di quelle dei carnefici, secondo il sano metodo storico. Il che non significa in alcun modo giustificare i carnefici e offrir loro un alibi morale; niente affatto: significa solo cercar di comprendere. La storia non è un tribunale che assolve o che condanna, ma è il tentativo di comprendere gli eventi del passato e, fin dove ciò sia possibile, di spiegarli; ove non sia possibile, di rimuovere almeno le false spiegazioni affinché in un secondo tempo altri studiosi, più pazienti o più fortunati, riescano là dove i primi hanno dovuto rinunciare. E si badi che il problema non riguarda solo il destino degli ebrei nella Germania nazista, ma è molto più vasto: riguarda i valori per i quali combatterono le forze dell’Asse nel quadro del Tripartito, i valori europei e spirituali che, mescolati a disvalori e autentiche aberrazioni criminali, animarono, nondimeno, milioni di giovani europei, e li spinsero a lottare fino all’ultimo, cioè fino alla caduta di Berlino, per difendere la loro idea di Europa; e si tratta della liceità, per i posteri, di discutere su quei valori, anche se essi sono stati contaminati da un’ideologia necrofila, come fu, nel complesso, quella nazista, ma che non si risolvevano totalmente in essa, altrimenti non si spiega come mai tanti giovani idealisti, belgi, olandesi, scandinavi, francesi, russi, balcanici e anche italiani, finirono per conviverne alcuni aspetti e scelsero di combattere con essa, oltretutto quando già si profilava la sconfitta dell’Asse e dunque tale scelta non poteva scaturire da ragioni di tipo opportunistico. È noto infatti che, alla fine della Seconda guerra mondiale, le SS reclutate fra i non tedeschi erano assai più numerose delle SS tedesche di "pura razza ariana". E dunque, è divenuto indecente e impossibile parlare della lotta contro il nichilismo, in saecula saeculorum, dopo che a condurre tale lotta sono stati il nazismo e il fascismo? (cfr. il nostro articolo: Il crollo del Terzo Reich attesta l’impossibilità di superare il nichilismo?, pubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 17/11/17.)

E ora torniamo alle recenti stragi degli Stati Uniti d’America (e di altri luoghi del mondo, come la Nuova Zelanda: attentati di Christchurch del 15 marzo 2019) e al loro legame con i movimenti e le ideologie di matrice razzista, che trovano il terreno di coltura in una immigrazione sempre più incontrollata. Si pensi al problema del "muro" lungo la frontiera fra Stati Unti e Messico, sulle sponde del Rio Grande e attraverso centinaia di chilometri di deserto, tema che è stato uno dei cavalli di battaglia del candidato Trump durante le presidenziali; e si pensi alla formazione di vere e proprie colonne di migranti che attraversano a piedi, con donne e bambini, tutta l’America Centrale per tentar di passare abusivamente la frontiera degli USA. Sono davvero movimenti del tutto spontanei? Non c’è per caso qualcuno che li incoraggia, che li instrada, che li finanzia, proprio come le O.N.G. nel Mediterraneo, a loro volta finanziate da speculatori come George Soros, olrtre che da alcune conferenze episcopali di vari Paesi, specie quella tedesca, incoraggiano e instradano oggettivamente i migranti africani bramosi di passare il Mediterraneo per sbarcare in Italia e giungere, così, in Europa? E non c’è, fra quelle masse di migranti, sia nel caso dei latino-americani diretti verso gli Stati Uniti, sia in quello degli africani e degli asiatici diretti verso l’Europa, una massiccia infiltrazione della criminalità organizzata, specie nel settore della droga, criminalità peraltro direttamente interessata anche al viaggio di tutte quelle persone e che ne trae guadagni dell’ordine di milioni e milioni di dollari o di euro? Non accade, pertanto, che quanti si spendono per un’accoglienza indiscriminata, e la favoriscono in ogni modo, non solo negli Sati Uniti e in Europa, ma andando perfino incontro a queste masse di migranti e raccogliendole, per esempio, davanti ai porti della Libia, dietro segnalazione telefonica degli stessi scafisti, siano oggettivamente dei collaboratori di tali organizzazioni criminali, finalizzate allo sfruttamento della carne umana? E non è forse vero che se qualche migrante latinoamericano muore di sete nel deserto dell’Arizona, o se qualche barcone di migranti africani naufraga nel Mediterraneo, le vittime sono da imputarsi anche alla spericolata azione di quelle persone, forse bene intenzionate, ma del tutto incapaci di valutare i costi umani e i risvolti politici, e soprattutto responsabili d’incoraggiare le partenze, pur sapendo che ogni partenza comporta l’incertezza del viaggio e il concreto pericolo della morte per chi lo affronta?

Ebbene noi sosteniamo non solo che è assolutamente lecito discutere e cercar di capire anche le ragioni, non dei suprematisti, ma di quelli che pensano, come lo pensano anche i suprematisti, che gli Stati Uniti e l’Europa siano oggi vittime di un disegno mirante a distruggere le loro culture e a sostituire le loro popolazioni, ma che spesso gli attentati e le stragi messi in atto dai suprematisti siano in realtà pilotati e strumentalizzati da forze estranee, come i servizi segreti di svariati Paesi, specialmente degli Stati Uniti e di Israele, al fine palese di screditare ogni pensiero divergente dal politicamente corretto, cioè ogni pensiero critico nei confronti dell’immigrazione selvaggia, e al fine occulto di indebolire e distruggere le compagni sociali dell’Occidente per favorire una mescolanza razziale e una perdita di identità e di radici che rendano i futuri abitanti di quelle società più malleabili all’imposizione di pratiche economiche sempre più predatorie e sfruttatrici. Esattamente come è lecito e storicamente corretto cercar di capire, nell’Europa fra le due guerre, quali fossero non tanto le ragioni dei nazisti o dei fascisti, ma di tutti quegli europei, ed erano decine di milioni, i quali detestavano il disordine politico, morale e materiale in cui era piombato il loro continente e pensavano, come i nazisti e i fascisti, ma anche senza essere tali, che fossero assolutamente necessari una svolta, una grande pulizia e un ritorno all’ordine e ai valori della tradizione. Ora, è proprio questo che si vuole impedire. Si vuole stabilire, da parte di tutto il sistema dell’informazione e della cultura politicamente corrette, un’equazione fra il razzismo, il fascismo, il suprematismo, gli attentati generati dall’odio razziale, e la libertà di critica nei confronti delle attuali politiche migrazioniste, buoniste e falsamente solidaristiche. Poiché viviamo all’interno di sistemi politici formalmente democratici, non è possibile mettere semplicemente fuori legge le opinioni divergenti da quelle del potere. Per giungere a ciò vi è bisogno di un pretesto, di una provocazione, di uno stato di pericolo nei confronti dell’ordine pubblico, che valgano a giustificare misure repressive non solo nei confronti della libertà d’azione, ma anche della libertà di pensiero e di parola dei cittadini. Ecco allora che le stragi, come quella di El Paso del 4 agosto scorso, o come quella di Christuchrch di qualche mese fa (e nella quale lo zampino del Mossad è praticamente dimostrato) giungono quanto mai opportune per fornire ai governi un simile pretesto, e imprimere per legge una stretta nei confronti della libertà di opinione. Così facendo i governi occidentali, infiltrati dalla massoneria nonché proni ai voleri della grande finanza speculativa, che è la vera regista di tutta l’operazione, riescono, per il momento, a zittire il dibattito, ma ovviamente non possono far sparire il problema. Possono, per esempio, censurare i fatti di cronaca nera legati alla immigrazione clandestina, ma non eliminare il crescente malessere che serpeggia fra i loro popoli…

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Christian Lue su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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