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Chissà cosa direbbe il nonno…

Ci accade sempre più spesso, di fronte allo spettacolo delle novità che sbocciano in continuazione sui sentieri fioriti della società post-moderna di chiederci istintivamente: Chissà cosa ne penserebbe il nonno, chissà cosa direbbe… Cari psicanalisti, risparmiatevi la diagnosi scontata: sindrome da attaccamento infantile, desiderio di regresso pre-fetale, paura del confronto con le sfide della vita adulta. Pensate quel che vi pare e piace; pontificate su tutto e su tutti e regalate diagnosi e sentenze a destra e a manca. Noi sappiamo una cosa soltanto: che il nonno era un persona umile, ma eccezionale; caso non infrequente due generazioni fa. Era, soprattutto, un uomo pieno di buon senso. Onesto fino alla pignoleria, lavoratore fino allo stacanovismo, specchiato fino alla trasparenza. Non lo stiamo idealizzando, lo stiamo descrivendo. Aveva studiato solo fino alla sesta elementare, il che allora era considerato già molto, ma aveva un’intelligenza pronta e intuitiva, al punto che tutti si rivolgevano a lui per sottoporgli i loro problemi. Era una persona sobria e severa, ma al tempo stesso aveva un animo pieno di delicatezza: quando si accorse, con dolore, che un suo dipendente rubava dalla cassa, attese che la rivendita di pane fosse chiusa e non ci fosse nessuno in giro, poi lo affrontò: quello ammise la sua colpa e fu licenziato in tronco. A quattr’occhi, per non rovinargli la reputazione. La reputazione era qualcosa, allora. Un uomo tacciato di furto non avrebbe più trovato lavoro, anche senza bisogno di tribunali e di sentenze: il giudizio morale era più che sufficiente.

Dunque, ci piacerebbe sentire le parole di buon senso del nonno su questa o quella cosa che capitano oggi, e che la quasi totalità delle persone, almeno in apparenza, accoglie come se fossero normalissime e perfettamente naturali. Il cosiddetto matrimonio omosessuale, per esempio. Una doppia enormità: perché l’omosessualità non esiste, essendo la sessualità una faccenda che riguarda precisamente il maschile e il femminile (il resto, semmai, è erotismo); e perché il matrimonio, essendo rivolto alla nascita della prole, per sua stessa natura e come dice la parola (matri munus, dono della madre) non può essere che quello fra uomo e donna. L’omofobia non c’entra; c’entra il buon senso. Chiamare matrimonio l’unione legale di un uomo con un altro uomo, o di due donne, è semplicemente un non senso, dettato da una ideologia che pretende di riscrivere perfino le leggi di natura, la logica e la storia. In nessuna società, evoluta o primitiva, c’è mai stata una cosa del genere; al massimo, presso alcune (poche) popolazioni tribali, come i Sioux delle Grandi Praterie nordamericane, veniva eccezionalmente tollerata una sorta di convivenza di fatto fra due uomini, uno dei quali faceva apertamente la donna, vestiva da donna e si comportava in tutto e per tutto come una donna. Una cosa sostanzialmente diversa da quella che ci si presenta oggi, con sempre maggiore frequenza, e dove si stenta a capire chi è il "maschio" e chi la "femmina" (ma già questo linguaggio è, lo sappiamo, politicamente scorretto, perché non si dovrebbe parlare dei due sessi come di realtà fisse e immutabili, secondo gli ideologi del gender). Ora si è sposato il cantante Tiziano Ferro: con un uomo; e il giornale Vanity Fair non esista a plaudire alla realizzazione di una bella "favola". Si è sposata anche l’attrice Eva Grimaldi: con una donna; testimone di nozze, il suo ex fidanzato Gabriel Garko: un altro bel sogno che si realizza. Sarebbe interessante capire perché, in un momento storico in cui nessuno ha più voglia di sposarsi, ma quasi tutte le coppie vanno a convivere (semmai si sposano dopo anni di convivenza, e con tanto di figli ormai grandicelli), gli omosessuali sono afferrati da questa incontenibile frenesia di convolare a giuste nozze, e sia pure contentandosi, per adesso – ma forse ancora per poco – di farlo in municipio e non in chiesa, come non pochi di loro caldamente vorrebbero, giacché non vedono alcuna contraddizione fra una cosa del genere e la fede cattolica.

Più di ogni altra cosa, però, ci piacerebbe sentire il parere del nonno, che nella vita ha avuto una donna sola, la nonna, che gli ha dato quattro figlie ed è stata la fedele e silenziosa compagna di tutta la sua esistenza (sono morti, infatti, a pochi giorni di distanza, il nonno dopo la nonna, perché senza dubbio non aveva più voglia di vivere senza di lei.) e zero grilli per la testa. Nella loro vita ci sono state due cose soltanto, la famiglia e il lavoro. Dunque vorremmo chiedere al nonno: che ne pensi di tutte queste cose, sior Chechi?; perché il nonno si chiamava Francesco e noi abbiamo ricevuto il suo nome; e tutti quanti, nella cerchia del vicinato e in quella delle sue conoscenze, lo chiamavano, affettuosamente ma anche rispettosamente, sior Chechi. E ci sembra di vederlo, con la sua aria pensosa, scuotere il capo, come raccogliendo pensieri e sentimenti, ed esprimere la sua opinione senza nemmeno bisogno di proferir parola: solo così, con quello scuotere della testa, convinto, deciso, come davanti a una cosa impossibile, assolutamente impossibile; a una cosa che non sta né in cielo né in terra, e della quale non si può nemmeno discutere, ma solo prenderne atto, come si prende atto della grandine che distrugge il raccolto, della guerra e della follia umana. Con profonda pietà, perché il nonno era una persona buona, ma anche senza alcun cedimento alle mode e al quieto vivere: con quella franchezza che lo ha sempre accompagnato in tutte le sue scelte e in ogni suo discorso. Il nonno era uno che ti guardava dritto negli occhi, poi si raccoglieva per riflettere, ponderava le cose e poi parlava con sincerità, senza giri di frase, senza astuzie oratorie: diceva pane al pane e vino al vino. No, non abbiamo dubbi su come la penserebbe, il sior Chechi, anche sulla faccenda dei matrimoni omosessuali. Il nonno era nato l’ultimo anno dell’Ottocento; ma anche ai nostri tempi, diciamo fino a cinque o sei anni fa, in quanti avrebbero immaginato che sarebbe arrivata una cosa come il matrimonio omosessuale, e quell’altra cosa, ancor più raccapricciante, come l’adozione di bambini da parte delle coppie omofile? O la pratica della fecondazione eterologa a vantaggio delle coppie lesbiche? O quella dell’utero in affitto a vantaggio delle coppie di gay maschi? Il nonno, inoltre, era cattolico: tutt’atro che fanatico; ma sicuramente, schiettamente cattolico. Ogni sabato, coi suoi piedi piatti, si recava alla libreria delle suore paoline e acquistava il settimanale Famiglia Cristiana, che allora era cristiano per davvero e che parlava soprattutto di argomenti religiosi e non principalmente di politica, come fa oggi. Cosa penserebbe il nonno de, gesuita James Martin, che invoca il pieno e gioioso riconoscimento delle unioni gay da parte della Chiesa? O dell’arcivescovo di Torino, che ha fatto partire un corso di affettività per coppie omofile? Cosa penserebbe il nonno dell’orrido affresco realizzato nel duomo di Terni, vera e propria santificazione della sodomia voluto e pagato dall’allora vescovo della città, Vincenzo Paglia? O di quello di Genova, il quale ha sconfessato e formalmente proibito le preghiere di riparazione, nella sua diocesi, per il Gay Pride? E cosa penserebbe del fatto che Bergoglio riceve con grandi feste e onori coppie d’invertiti d’ambo i sessi? O del fatto che il primo ministro gay del Lussemburgo, Xavier Bettel, nell’aprile 2017, è stato ricevuto ufficialmente in Vaticano, insieme al suo compagno (perché adesso, è logico, gli statisti gay fanno le visite di Stato all’estero con il consorte al seguito, come un tempo si usava con le first ladies)? Che cosa avrà detto costui al (sedicente) Santo Padre: Le presento mio marito? Oppure: le presento mia moglie?; e che cosa avrà risposto il signore argentino vestito di bianco, se non: Tanto piacere?

Povero nonno: e cosa volete che avrebbe detto, lui? Siamo contenti che non sia vissuto così a lungo da vedere queste cose: lo avrebbero ferito nel profondo. E non ci si venga a dire che è impossibile sapere cosa penserebbero, della società presente, le persone vissute due generazioni addietro; e che nulla vieta di pensare che anch’esse si sarebbero adattate, e che, proprio sulla base del loro sano buon senso, non sarebbero scese in guerra contro il mondo, ma avrebbero fatto buon viso a ciò che non può essere evitato. Questo, e non il nostro, è un ragionamento scorretto. Noi sappiamo che i principi delle persone come il nonno erano poggiati sulla roccia, non erano negoziabili; perciò sappiamo, con assoluta certezza, quel che avrebbero pensato e come avrebbero reagito, se fossero vissuti abbastanza da vedere quel che ora vediamo noi. Noi sappiamo che tutta la loro vita, sorretta da una profonda fede in Dio, era impostata sul senso del dovere e non sulla ricerca del piacere: perciò siamo in grado di sapere che non approverebbero in alcun modo le degenerazioni e le follie che ora vengono fatte passare per "naturale sviluppo" della società moderna. Certo, ogni nuova generazione assiste a dei cambiamenti; ma nel nostro caso, si è trattato di un rivoluzione radicale, con l’aggravante che nessuno l’ha dichiarata, anzi con la pretesa di aver "solo" portato a compimento cose che erano già implicite nella società di due o più generazioni fa: come questa mala razza di falsi teologi, falsi vescovi e falsi preti, i quali ci vengono a dire che Gesù stesso, Dio perdoni loro quest’ultima bestemmia, approverebbe cose come il matrimonio omosessuale e l’adozione di bambini da parte delle coppie omosessuali, per non parlare di cose ormai pressoché acquisite e tranquillamente metabolizzate dalla coscienza dei sedicenti cattolici, come il divorzio, l’aborto e, non di rado, anche l’eutanasia. Noi sappiamo cosa ne penserebbe il cappellano che ci impartiva le lezioni di catechismo (il benemerito Catechismo di san Pio X: quello a domande e risposte secche, precise), e cosa ne penserebbe l’arciprete che diceva la Messa grande, alla domenica, davanti alla chiesa gremita di folla. Quelli erano ministri del clero con tutti gli attributi: erano uomini che pensavano, prima ancora di parlare, con dei sì, sì, e no, no. Erano persone tutte d’un pezzo: non scherzavano sulle cose sacre, non prendevano in giro i fedeli; credevano fermamente nelle cose che erano state insegnate loro e che, a loro volta, insegnavano agli altri. Non ce li immaginiamo proprio, né l’uno, né l’altro, adattarsi e fare buon viso a cattivo gioco, come ora fanno, con tanta facilità e disinvoltura, la maggioranza dei sacerdoti. Si vede che la spina dorsale, con l’avanzare delle nuove generazioni, si è fatta sempre più flessibile, più duttile, più pieghevole. Del resto, è cosa nota ed è il segreto di Pulcinella: il "papa" misericordioso è in realtà uno spietato tiranno che non dialoga con alcuno, e chi non è allineato, lo silura senza tanti complimenti. Nei casi più gravi d’insubordinazione, scattano il commissariamento, la sospensione a divinis e perfino la scomunica. Insubordinazione a lui, al jefe maximo, ben s’intende; non a Gesù Cristo, ma tutto al contrario: ad essere perseguitati sono quei sacerdoti che vogliono restar fedeli all’autentico Vangelo e alla vera Chiesa cattolica.

Il confronto inevitabile che scaturisce fra la società odierna e quella dei nostri nonni è semplicemente insostenibile. Siamo progrediti scientificamente e tecnologicamente, ma non solo abbiamo perso i valori cardinali della vita umana, ci siamo persi per strada anche il buon senso. E quando una società smarrisce il buon senso, vuol dire che si è messa su un binario morto. Dove ci porteranno il proliferare dei matrimoni omosessuali, degli aborti, dell’eutanasia? Non è tanto difficile capirlo, specie se queste nuove mode si sommano agli effetti della pratica dell’accoglienza indiscriminata da parte di quantità illimitate di africani, cioè, detto in parole più semplici, alla decisione, tutta e solo politica, anzi ideologica, di lasciarci invadere fisicamente e di lasciarci sostituire biologicamente. Il nostro destino sarà quello di sparire, con tutta la nostra civiltà, i nostri valori, la nostra fede religiosa. E sarà un peccato, perché il nostro mondo, così come le generazioni passate ce lo avevano custodito e tramandato, a prezzo di durissimi sacrifici, era pieno di cose belle, buone e vere. Al suo posto abbiamo costruito un mondo di plastica, un mondo fasullo, basato sulle cose e sulle macchine, sul denaro e sull’apparenza: cioè sul vuoto, sul nulla. Ci stiamo estinguendo perché non crediamo più a nulla e non siamo più nulla; e perché il vuoto che noi abbiamo creato chiama, per una legge fisica, il "pieno" dei lontani che stanno arrivando, a frotte, per riempirlo. Lo si vede anche fisicamente. I giardini, che una volta erano pieni di bambini, di mamme e bambinaie, per diversi anni sono rimasti pressoché vuoti e abbandonati, con le piccole giostre e le altalene che si coprivamo di ruggine; ora sono di nuovo pieni, ma di bambini stranieri e mamme straniere. E le vie del centro, che la sera, fino a qualche anno fa, erano piene di gente, di amici, di bar aperti fino a tardi, ora sono semideserte, e la maggior parte delle persone che s’incontrano sono straniere, parlano nella loro lingua, vestono alla loro maniera, si muovono come se fossero a casa propria. Appartengono a un’altra civiltà, che non ha alcun punto di contatto con la nostra; e della nostra non rispettano nulla, non apprezzano altro che il frigorifero pieno, cioè i vantaggi materiali che essa offre, rispetto al loro precedente tenore di vita. Povero nonno, se potesse vedere cosa siamo diventati: meglio, mille volte meglio che non ci sia, e che perciò non veda e che non oda, perché ne soffrirebbe troppo. Non è per questi stranieri che lui e tutti quelli come lui hanno costruito le case, avviato delle attività imprenditoriali, creato benessere e posti di lavoro, ma per i loro figli, nipoti e bisnipoti. E questo non è razzismo, è semplice buon senso e istinto naturale: quello delle vecchie, sane famiglie di allora. Ed ecco perché, dietro tanto sfacelo, s’intravede un disegno ben preciso: c’è qualcuno che vuol distruggere la famiglia, perché solo così potrà avere il controllo su tutto e tutti…

Fonte dell'immagine in evidenza: Photo by Mike Chai from Pexels

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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