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Se li (ri)conosci, li eviti

C’è una cosa che accomuna don Pietro Beretta, che dedica la santa Messa alla signorina Carola Rackete, eroina dell’immigrazionismo e del disprezzo delle leggi italiane; e don Paolo Farinella, quello che non dice la santa Messa di Natale per rispetto verso il dramma dei migranti; e don Fabio Corazzina, che va sempre in televisione a predicare il dovere dell’accoglienza dei migranti; e tutti costoro con personaggi assai più noti, come il signor Vincenzo Paglia (non possiamo, in tutta coscienza, chiamarlo monsignore), il signor Bassetti, il signor Kasper, il signor Bianchi, il signor Sosa, il signor Spadaro, il signor Marx (non Karl, il filosofo, bensì Reinhard, il sedicente cardinale), fino al capo di tutta la bella combriccola, il signore argentino che non avrebbe mai dovuto essere eletto papa, ma che è stato eletto papa, si veste da papa, va in giro con le credenziali di un papa, parla ex cathedra (e in moltissime altre circostanze) come se fosse papa, chiede l’otto per mille in qualità di papa, fa commissariare gli ordini religiosi che non gli piacciono e ne fa incamerare i beni, come un (cattivo) papa, e tutto questo mentre l’altro papa, il suo predecessore, è vivo e vegeto dopo oltre sei anni dall’abdicazione, e si veste di bianco pure lui, tanto che a vederli vicini ci si può chiedere chi sia il papa e chi l’antipapa. C’è un tratto che li accomuna tutti quanti, ed è l’aspetto fisico. Sissignori: l’aspetto fisico. Bisogna rivalutare il tanto (scioccamente) deriso e denigrato professor Cesare Lombroso: il quale, se ebbe un momento di celebrità europea e mondiale, non è stato perché gli europei e il resto dell’umanità abbiano attraversato una fase di acuta demenza collettiva, ma forse perché diceva cose intelligenti.

L’aspetto fisico delle persone parla, dice molte cose di esse: e questo già sul piano meramente antropologico. È vero che a volte la prima impressione si rivela errata: ma ciò dipende dal fatto che ci eravamo fatti condizionare dalla nostra ideologia. La nostra prima impressione, a pelle, non sbaglia quasi mai. A pelle, si sente se una persona è bella o brutta dentro. È vero che l’abito non fa il monaco; ma è anche vero che il nostro io traspare dal nostro viso, dal nostro sguardo, dal nostro modo di porci anche sul piano fisico. Noi possiamo mentire, ma il nostro io profondo no: basta lasciarsi guidare dall’istinto, che ci mette in guardia e che non sbaglia quasi mai. Il cristiano aggiunge a questa prima vista, una seconda vista, quella spirituale. Insomma non ci vuol molto a capire che Gerolamo Savonarola e Alessandro VI Borgia sono uomini fatti d’una pasta lievemente diversa. Avete mai guardato con attenzione un ritratto, un qualsiasi ritratto, di Martin Lutero? E dite, sinceramente, in camera caritatis, che non ci senta e non ci ascolti nessuno: pare o non pare un perfetto suino? Un uomo carnale della specie più bassa, più grossolana, più triviale? Non ha forse la faccia di quel tipo d’uomo che effettivamente era: un collerico, un violento, un lussurioso e un beone? E, oltre a questo: non trasuda la sua espressione, da tutti i pori del viso, un immenso compiacimento di sé? Le biografie ci dicono che, da giovane, era un uomo tormentato da terribili dubbi esistenziali. Sarà: del resto, pare avesse ucciso un uomo, e che si fosse fatto monaco per questo, cioè per sfuggire alla giustizia; e se un omicidio non pesa sulla coscienza, allora non sappiamo cosa si debba considerare un peso. Sia come sia, quel che vediamo nei suoi ritratti è il grugno tronfio e compiaciuto dell’uomo che si piace, che gode di se stesso, che sta perfettamente a suo agio in compagnia delle proprie passioni. Non vi è in lui la minima traccia dell’uomo interiore di cui parla san Paolo, e che è, o dovrebbe essere, il tratto caratteristico del cristiano: quell’ombra di pensosità, di malinconia se vogliamo, che deriva dall’incessante scavo interiore, dalla ricerca di qualcosa che non si trova, o che si trova solo in minima parte, in questo mondo. L’uomo interiore è proiettato al di là: è il volto dei santi, di san Pio da Pietrelcina, di san Leopoldo Mandic, di san Filippo Neri, di san Francesco d’Assisi, di santa Chiara, di santa Caterina, di santa Teresa d’Avila. Non è necessariamente un volto tormentato, nel senso usuale della parola: nel volto dolce e quasi infantile di santa Teresina di Lisieux non vi è quel tratto austero e distaccato, ma da esso traspare la perfetta letizia dell’abbandono totale in Cristo. Ecco: qualcosa del genere ci si aspetta di vedere, non solo — è ovvio – sul volto dei santi, ma anche nell’espressione dei sacerdoti, dei vescovi, e anche dei comuni credenti; un qualcosa che indichi la presenza dell’uomo nuovo.

L’uomo nuovo affiora quando l’uomo vecchio si dilegua; e l’uomo vecchio si dilegua quando si libera dalle passioni, dalla schiavitù delle cose terrene, non solo quelle cattive, ma anche, in una certa misura, quelle buone: perché essere incatenati alle passioni è sempre una resa al mondo, e il modo, così com’è — beninteso dopo il Peccato originale — non è come dovrebbe essere, è un mondo capovolto, è il mondo che Cristo è venuto a contestare, per usare l’espressione del filosofo russo Pavel Evdokimov. E se il mondo non è come dovrebbe essere, neppure gli uomini sono come dovrebbero essere. Il cristiano, questo, lo sente istintivamente; ed è da ciò che scaturiscono quella particolare pensosità, quella luce nello sguardo che significa: Io vado cercando la mia patria, ma so che la mia patria non è qui; è altrove. Il cristiano sa, sente, di essere straniero in patria: sa che il mondo terreno non è la sua patria; sa che i suoi genitori, per quanto buoni, non sono i suoi veri genitori; sa che gli amici, per quanto fidati, non sono i suoi migliori amici; sa che la sua vita non comincia e non finisce in questo grumo di atomi, di speranze deluse, di gioie troppo brevi e sempre avvelenate dal fiato dell’incertezza: sa che tutto è diretto e proiettato verso l’Assoluto, verso il punto da cui hanno origine e termine tutte le cose, cioè Dio. Ebbene: nulla di tutto ciò compare sul volto dei personaggi che abbiamo nominato all’inizio. Sono facce vecchie, espressioni vecchie, sguardi già visti: a noi, che abbiamo passato i sessanta, ricordano come gocce d’acqua gli sguardi e i volti del ’68. Perfino l’abbigliamento e la capigliatura, come nel caso di don Corazzina, con le sue magliette a righe e il suo bel cesto di capelli crespi, ma soprattutto col suo sguardo fisso, che sembra ascoltare l’altro, ma non ascolta nessuno, perché lui sa già tutto, ha capito tutto, ha la risposta per tutto, e non alla luce del Vangelo, come dice a parole, ma alla luce della sua ideologia politica, che non sappiamo come lui la chiami, ma che, vista e giudicata dal’esterno, è fin troppo chiara: una ideologia tutta umana, fatta e sostanziata di pensieri umani e di umane aspettative: l’ambientalismo, l’egualitarismo, i diritti civili, e così via. E questo sarebbe il Vangelo? Niente affatto: è solo uno zibaldone d’ideologie morte o moribonde, che hanno fallito tutte, dalla prima all’ultima, perché hanno il torto di considerare l’uomo così com’è; e offrire all’uomo solamente l’uomo, lo diceva già Aristotele, significa tradirlo. Ecco, questo essi vogliono fare: offrire agli uomini delle ricette umane, delle risposte umane ai problemi umani: ma questo non è cristianesimo, anzi è il tradimento del cristianesimo. Perché il cristianesimo è quella fede che dice all’uomo: non così, non da te, non da solo; perché solo unito alla vite, che è Cristo, potrai dare frutto, mentre da solo non puoi fare niente (cfr. Giovanni, 15. 1-8).

Ma chi sei tu per giudicare?, ci obietterà qualcuno, sull’esempio "illustre" del signor Bergoglio, il quale dice di non avere il diritto giudicare gli altri. Lui, la persona più ingiusta e superba che ci sia al mondo, talmente ingiusta da far commissariare i Francescani dell’Immacolata senza mai spiegare ad alcuno le ragioni del suo gesto, e talmente superba da non abbassarsi a rispondere ai rispettosi e legittimi dubia di quattro cardinali, quando gli fa comodo per ragioni ideologiche, allora si accorge di non poter giudicare nessuno. Ebbene: noi non giudichiamo le persone in se stesse, ma giudichiamo quel che fanno e che dicono, in rapporto a ciò che dovrebbero, come sacerdoti, fare o dire; e colleghiamo le loro azioni (o le loro omissioni) e le loro parole al loro aspetto esteriore. E il loro aspetto esteriore ha un tratto comune: il compiacimento. Ciascuno di loro è compiaciuto di sé. Quando don Corazzina va in televisione, si comporta come se ciò gli fosse dovuto, come se fosse la cosa più naturale al mondo che la televisione, e specialmente la televisione di sinistra, quella che porta avanti una certa linea ideologica, lo chiama così spesso a distribuire a tutti quanti, e ai credenti in primis, le sue ineffabili perle di saggezza; e le distribuisce, quelle perle, con una sicumera, con una intransigenza, con una intolleranza che ricordano, appunto, volti e slogan già visti e giù uditi cinquant’anni fa, così come abbiamo già visto quelle magliette casual e quelle teste capellute nei cortei e nelle scuole in tumulto del ’68. Che tristezza, mio Dio, che infinita tristezza. E mai che si facciano una domanda, costoro: come mai siamo così corteggiati dai mass-media? Come mai la Tv di Stato invita don Corazzina, come mai Il Fatto Quotidiano ospita don Farinella, come mai certi vescovi progressisti sono così spesso ospiti nel salotto di Corrado Augias, a parlar male della Chiesa preconciliare e a spingere perché le riforme conciliari siano portate avanti, più avanti, sempre più avanti, senza timidezze, magari fino a creare una "chiesa" del tutto nuova, che non ha più nulla a che fare con il Corpo Mistico di Gesù Cristo? Macché: approfittano del microfono che hanno in mano e si lanciano in sproloqui interminabili e apodittici; possono parlare faccia a faccia col ministro dell’Interno, dargli del tu, attaccarlo da pari a pari, e non si chiedono: ma io chi sono?, che ci faccio qui?, perché mi è stata data tanta visibilità? Non si ricordano cosa dice Gesù nel Vangelo: Sarete perseguitati, come hanno perseguitato me; sarete calunniati, insultati, uccisi; il mondo vi odierà, perché prima di voi ha odiato me. Niente affatto: essi hanno tutta l’aria di starci benissimo, nel mondo. E perché non dovrebbero starci bene, visto che il mondo offre loro così frequenti occasioni di gratificazione del loro ego? Essere invitati, avere una rubrica fissa, avere un volto noto a milioni di persone: quale gratificazione per l’ego! Già, ma il cristiano non dovrebbe pensare così, non dovrebbe sentire così. Dovrebbe, al contrario, sentir puzza di bruciato ogni volta che il mondo lo loda, lo applaude, gli costruisce ponti doro. Vuol dire che è un cristiano addomesticato. Ma essi coltivano l’illusione di essere, al contrario, dei rivoluzionari; di essere i sacerdoti dei poveri; di essere i portatori della giustizia sociale. Sarà. Ma non trovano strano che i mass-media se li coccolino come tanti beniamini, come tanti portafortuna; e che tanti intellettuali notoriamente irreligiosi e anticristiani, e fautori di progetti e di riforme di stampo nettamente contrario alla morale cattolica, li guardino con tanta simpatia, con tanta tenerezza, con tanto amore? Possibile che ciò sia dovuto solo al fatto che sono belli, bravi e simpatici? Che sono preti eroici, come don Puglisi, o preti dotti, come monsignor Livi, o preti santi, come Giovanni Bosco? Davvero hanno un’opinione così alta di se stessi? Davvero pensano di meritare tutte le attenzioni che ricevono, e di meritarle disinteressatamente da parte di chi gliele concede? Davvero pensano che non ci siano penne migliori sul mercato giornalistico, o discorsi più intelligenti nei salotti televisivi, di quelli che fanno loro? Se è così, è proprio vero che il diavolo li ha presi all’amo: all’amo della loro presunzione, del loro orgoglio, del loro ego.

Il cristiano è chiamato alla santità; ma il mondo non ne vuol sapere della santità. La santità è obbrobrio per il modo; non chiameranno mai un vero santo in televisione, semmai gli dedicheranno un programma dopo che è morto. Quelli che il mondo apprezza, quelli che invita, quelli che liscia ed accarezza, sono quelli che il mondo pensa di utilizzare contro la santità. È una manovra, neanche tanto nascosto: tutti sanno che le organizzazioni non governative che vanno con le navi a raccogliere i migranti davanti ai porti della Libia sono finanziate da uomini come George Soros; lo stesso che finanzia partiti come quello radicale, portatori di una ideologia totalmente e irreversibilmente anticristiana (checché ne dicano Paglia e Bergoglio, parlando rispettivamente di Pannella e della Bonino; anzi, proprio perché lo dicono Paglia e Bergoglio). E allora, cari preti di strada, che civettate e fate il gioco dei contestatori duri e puri, senza macchia e senza paura, fatevi due domande, qualche volta, per piacere. Guardatevi allo specchio. Pensate che le televisioni e i giornali mainstream vi cerchino perché siete più belli, più bravi e più intelligenti degli altri? O perché siete più santi? Non vedete che il vostro ego vi ha portato fuori strada? In televisione, semmai, dovreste parlare dell’anima, della Grazia, del peccato, della vita eterna: non sono mica favole per vecchiette, ma la sostanza delle fede che voi rappresentate o che dovreste rappresentare. Voi dovreste aiutare la fede della gente, e anche, sissignori, delle vecchiette, che non di rado sono persone migliori di voi e di noi. Caro don Corazzina, tutto nel tuo aspetto parla dell’ego: le tue magliette, le tua barbetta, i tuoi capelli un po’ troppo lunghi per un prete. Un prete non dovrebbe sfoggiare un suo particolare look, ma essere il più anonimo possibile. Un prete è alter Christus; e Cristo non andava a caccia di applausi. Quando un potente come Erode lo interrogò, e forse da lui dipendeva la sua salvezza, Egli non rispose neppure una parola. Pilato era l’assassino di Giovanni battista; e le televisioni e i giornali che cercano i preti come te sono quelli che sostengono l’aborto, l’eutanasia e i peggiori esperimenti genetici: sono assassini in grande stile, o fautori dell’assassinio in grande stile. Non ti scotta la poltrona, non ti brucia nelle mani quel microfono, don Corazzina? A noi sì, se fossimo al tuo posto. Fai un po’ i conti con la tua coscienza. Ma soprattutto falli con Gesù.

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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