Se li (ri)conosci, li eviti
31 Luglio 2019Dobbiamo imparare un po’ di durezza
31 Luglio 2019Ciò che impedisce all’Italia di essere un Paese normale, anzi, di essere un grande Paese, perché tale potrebbe essere a tutti gli effetti, è la presenza di due zoccoli duri, di due aree impenetrabili a qualsiasi riforma, di due zone grigie che formano quasi uno, anzi due, Stati a sé, ove vigono leggi proprie, e quelle leggi, guarda caso, sono irreparabilmente in conflitto con quelle del Paese, per la semplice ragione che scaturiscono da interessi inconciliabili con quelli generali. Pertanto, finché quelle due zone grigie continueranno a esistere e a prosperare, l’Italia dovrà contentarsi d’essere uno Stato di seconda o terza fila, mortificato sul piano internazionale e scarsamente vitale sul piano interno, incapace perfino di assicurare un minimo di ordine pubblico e di trattenere i giovani laureati, che invece se ne vanno a migliaia all’estero, verso centri di ricerca e contratti di lavoro assai più remunerativi. A lungo andare, si può prevedere la morte per un Paese che non riesce a debellare due piante parassite così robuste, che gli sottraggono un po’alla volta la sua linfa vitale. Prediamo il caso delle tasse: sono follemente alte, sia sul lavoro dipendente, sia su quello autonomo. Tasse così alte ammazzano l’impresa e stroncano il commercio e l’artigianato; scoraggiano gli imprenditori e li spingono a spostare in borsa i loro capitali, o magari a trasferire le loro imprese all’estero, sede legale inclusa (la Fiat insegna). E mano a mano che le fabbriche se ne vanno e le attività artigianali e commerciali falliscono, vengono sostituite da forze provenienti dall’esterno: le multinazionali prendono il posto delle grandi aziende e gli immigrati cinesi, o altri soggetti stranieri, prendono il posto dei piccoli commercianti e degli artigiani. Sia le une che gli altri non investono un centesimo sulla nostra economia: prendono e basta. La nostra economia offre loro tutti i vantaggi come mercato e come fornitrice di manodopera, ma non ne ricava alcun beneficio. I prezzi più bassi per il consumatore? Ma a lungo andare la scomparsa delle aziende e dei piccoli commercianti italiani impoverisce sempre più il nostro quadro sociale. La soluzione sarebbe abbassare le tasse, in modo da ridare fiato al commercio e all’artigianato e da far tornare, o invogliare a rimanere, i medi e grandi imprenditori. Tuttavia, abbassare significativamente le tasse vuol dire scontrarsi con uno di quei due muri dei quali abbiano detto: impresa quasi impossibile. Le tasse non sono alte per un errore di calcolo, ma perché servono a finanziare una contro-economia sommersa che si chiama corruzione, spreco, clientelismo, mafia, appalti truccati, lobby di partito, e un esercito di pubblici impiegati fannulloni, incapaci e assenteisti. È un esercito pesante, che equivale a un grosso bacino elettorale e che può spostare gli equilibri politici del Paese: un serbatoio di malcostume pressoché intoccabile. Chi lo tocca muore, alla lettera.
E quello delle tasse è solo un esempio. Peraltro, tutte le disfunzioni di un Paese al collasso, come il nostro, si tengono l’una con l’altra, si spiegano l’una con l’altra e si alimentano reciprocamente: dalle grandi opere fonte di sprechi, al business dei rifiuti urbani, a quello dei rom e degli immigrati africani e asiatici ora fanaticamente sponsorizzato anche dalla chiesa di Bergoglio, oltre che dai grandi finanzieri pirati come George Soros. La lentezza della giustizia è un altro fattore che scoraggia l’impresa e provoca la fuga dei capitali. Se per dirimere una causa di mancato pagamento un imprenditore onesto deve aspettare sei, otto anni, a chi mai verrà in mente di fare impresa in Italia, se può investire il suo denaro in altro modo? E tutti questi fattori, sommati e moltiplicati, stanno letteralmente strangolando le forze sane, che esistono e sono molte, nonostante tutto: a cominciare dalla famiglia e dal risparmio privato. C’è anzi da stupirsi che un Paese di 60 milioni d’abitanti sia riuscito a sopravvivere così a lungo al drenaggio costante di linfa vitale da parte delle forze parassitarie che lo affliggono; probabilmente qualsiasi altro Paese al mondo, delle stesse dimensioni e con gli stessi problemi, sarebbe già imploso. Tuttavia, questo è il destino che ci si prepara: alla lunga, non lo potremo evitare, come un organismo non può che soccombere al cancro, se nulla viene fatto per arginare il diffondersi delle cellule impazzite.
Questo però non è un destino scritto nelle stelle. È solo questione di volontà politica: se ci fosse quella, il destino dell’Italia non sarebbe segnato. Ora, il destino di un Paese, anzi di un grande Paese, come il nostro, dipende essenzialmente da due fattori: un’amministrazione sana e una voglia di fare impresa. Tutto il resto è il contorno; ma sono questi i due fattori decisivi per la stabilità e il benessere di una nazione. Quindi, torniamo sempre allo stesso problema: alla mancanza di una classe dirigente degna di questo nome. Le radici del problema risalgono al 1943-45 e al modo in cui l’Italia ha combattuto (male) e perso (malissimo) la sua occasione, nella Seconda guerra mondiale. Dopo l’8 settembre del 1943 l’Italia non ha più avuto una sua classe dirigente, ma una classe dirigente subalterna, cioè una classe dirigente per modo di dire. I politici, i finanzieri, gli amministratori italiani, nonché gran parte degli editori, dei produttori cinematografici, dei proprietari dei giornali e delle televisioni, e naturalmente la pletora degli intellettuali parassiti, tutti costoro sono stati costantemente al servizio dei poteri che hanno vinto la Seconda guerra mondiale: gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, Israele; e, al di là degli Stati, che in fondo vogliono dir poco, la grande finanza internazionale, specie i Rotschild e le grandi banche ebree americane. Tutte queste forze, più l’asse franco-tedesco sorto nell’Unione Europea più recentemente, sono interessate a che l’Italia resti un piccolo Paese, che non conta quasi nulla sul piano internazionale e che si può trattare come una entità trascurabile; perciò sono interessate ad alimentare tutte le disfunzioni interne e la rocciosa impermeabilità delle zone grigie delle quali parlavamo. Se l’Italia, infatti, riuscisse a eliminare quelle zone grigie e a far funzionare il sistema Paese, diverrebbe competitiva e quindi sarebbe un avversario pericoloso per gli altri Stati; questo lo sa molto bene soprattutto la nostra vicina, la Francia, che da sempre briga per alimentare ogni nostro fattore di debolezza. Qualcuno si ricorda ancora la dottrina Miterrand, che offriva l’ombrello politico a decine di terroristi e pluriassassini, come Cesare Battisti, rimasta un auge fino ai tempi di Sarkozy? E qualcuno si è scordato che l’assalto dei migranti è divenuto pressante da quando i cugini francesi hanno voluto distruggere il regime di Gheddafi, trasformando la Libia in un caos, e seguitando a mantenerla nella più completa instabilità, tramite il sostegno al generale Haftar? In quel caso, ciò che faceva gola ai "cugini" era il petrolio libico; ma l’ondata dei migranti, destabilizzando i governi italiani dal 2011 in poi, ha contribuito sensibilmente a mantenere il nostro Paese in uno stato di perpetuo affanno, dal quale non si è più ripreso; mentre fino all’ultimo governo Berlusconi e prima dell’arrivo di Monti, l’uomo della BCE (e dei Rockefeller), le carte che l’Italia aveva in mano, anche sul piano internazionale, erano tutt’altro che cattive.
È venuto il tempo di precisare quali siano i due zoccoli duri dei quali abbiamo parlato, e che è indispensabile prendere d’assalto e, se possibile, demolire fino all’ultimo mattone. Uno è in alto, l’atro in basso. Il primo controlla i centri vitali e i nodi sensibili della vita nazionale, ed è costituito da persone con uno stipendio superiore ai 6.000 euro come minimo, ma che arrivano a due o tre milioni di euro annui, pagati di tasca nostra, dalla pubblica amministrazione. Il secondo è formato dalla massa dei pubblici impiegati e funzionari, ma soprattutto dagli insegnanti, la maggior pare dei quali sono statalisti, centralisti, assistenzialisti, antifederalisti, internazionalisti, immigrazionisti: in una sola parola, sono di sinistra. Fanno i comunisti, ma coi soldi dello Stato; pagati dallo Stato, molti di essi predicano l’odio dello Stato e il disprezzo degli uomini che lo servono. Il commento di quella professoressa di scuola media superiore a proposito del carabiniere ucciso da due teppisti e drogati americani, venuti a Roma in cerca di sballo, Uno di meno, e chiaramente con lo sguardo poco intelligente; non ne sentiremo la mancanza, è solo la punta dell’iceberg. È almeno dal 1968 che i professori incitano gli studenti a detestare lo Stato, a calpestare la legge, a considerare come nemici i tutori dell’ordine; come minimo, li esortano a indossare una maglietta rossa e a recarsi al porto più vicino per contestare le decisioni del razzista ministro dell’Interno, che non vuol far sbarcare altri clandestini. Oppure li esortano a marinare la scuola, come Greta, tutte le volte che hanno voglia di fare un po’ di caciara per la salvaguardia del clima (?) e per dimostrare un po’ di sensibilità verso il mondo di domani. Essendo di sinistra, progressisti e aspiranti rivoluzionari, hanno anche una cultura anti-impresa e, quando parlano di economia ai loro studenti, lo fanno come se qualsiasi imprenditore fosse un bieco sfruttatore del popolo. Dobbiamo alla loro nefasta influenza se l’Italia è l’unico, fra i grandi Paesi occidentali, a essere sprovvisto di una mentalità imprenditoriale; da noi, gli imprenditori devono affrontare una difficoltà supplementare, che non c’è in Francia, Germania, Regno Unito, ecc.: la diffidenza, l’ostilità e il sordo boicottaggio da parte della massa della popolazione, effetto dei cattivi insegnamenti dei professori ex comunisti e oggi cattolici di sinistra, i quali odiano chi è ricco e non si chiedono mai se la ricchezza, dopotutto, non possa anche essere il frutto di lavoro onesto, tanto lavoro, di idee innovative e di coraggio imprenditoriale. Non se lo possono chiedere: perché, se lo facessero, dovrebbero mettere in discussione il loro dogma fondamentale, che i poveri sono tutti buoni e bravi, che sono tutti vittime innocenti dello sfruttamento, che sono moralmente migliori dei capitalisti, e così via. Del resto, nella loro rozzezza intellettuale, non si prendono più di tanto la briga di distinguere fra il turbo-capitalismo, il capitalismo di rapina, la speculazione finanziaria internazionale che funziona come un immenso sistema di usura mondiale, e il capitalismo sano, quello fatto, nel 99% dei casi, da gente venuta dalla gavetta, abituata ai sacrifici e alla vita dura, gente che senza raccomandazioni né aiuti d’alcun genere, ma solo con e proprie forze e la propria buona volontà, è riuscita a metter su un’azienda, a far partire un ristorante o un albergo, a produrre cucine o frigoriferi, a fabbricare scarpe o vestiti, con tanto entusiasmo e tanta dedizione. Che ne sanno, loro che hanno lo stipendio assicurato a fine mese, comunque vada l’economia del Paese (mentre l’operaio, se la fabbrica privata va male, rischia di perdere il posto di lavoro), e che lo prendono proprio grazie al fatto che ci sono degli imprenditori, grandi e piccoli, che mandano avanti l’economia, e senza i quali non ci sarebbero neanche i loro stipendi.
Del coro dei cattivi maestri fanno parte anche i vescovi, pure loro gente dai seimila euro al mese in su (extra esclusi, come l’auto privata fornita di autista, un bel palazzo come curia episcopale, eccetera) i quali non si stancano di incitare i fedeli a disobbedire alle leggi dello Stato, a contestare il governo in carica e a considerarsi tutti dei cattivi cristiani se non si batteranno con le unghie e coi denti per garantire il diritto allo sbarco di qualsiasi nuova ondata di falsi profughi e falsi naufraghi. E la Caritas, dove la mettiamo? Ora che i fedeli si son rotti le scatole e non pagano più l’otto per mille, è quasi l’ultima risorsa per la chiesa di Bergoglio: figuriamoci se si lascia scappar facilmente il business dei migranti. Basta guardare la pubblicità dell’otto per mille: pare che quei sodi vadano tutti a sostegno degli africani; mentre la verità è che vanno soprattutto per tenere in piedi il costoso baraccone dell’episcopato modernista e ultra politicizzato. Ci sono poi i sindaci, prevalentemente di sinistra, che si spacciano per campioni della società multietnica, e si offrono di "ospitare" decine di migranti in attesa di ottenere lo status di rifugiati, ovviamente per nobilissime ragioni umanitarie, ma anche, guarda un po’, per unire l’utile all’ideale, e quindi fornire occasioni economiche a piccoli albergatori fuori mercato, cooperative di accoglienza, funzionari comunali di ogni tipo, e tutto l’indotto che prospera su tali situazioni, compresi i coltivatori che mettono i clandestini a raccoglier pomodori per due euro all’ora. E poi stuoli di psicologi, sociologi, assistenti sociali, traduttori, piccoli artigiani per i lavori d’installazione e manutenzione dei centri di accoglienza, elettricisti, ristoratori, fornitori dei servizi più vari, dai telefonini (ve lo immaginate, un falso profugo senza il telefonino e gli auricolari per la musica?; non sia mai: non siamo mica ai tempi dei lager nazisti!) agli idraulici per installare i bagni, le docce, eccetera. Ecco: questo è lo zoccolo duro che si è cristallizzato in basso. Riuscire a intaccarlo, vorrebbe dire cambiare la mentalità degli italiani nel giro di un paio di generazioni, e così preparare anche l’avvento di una futura classe dirigente degna di questo nome.
Per lo zoccolo duro che sta in alto, il discorso è diverso Qui si tratta di poche decine di migliaia di persone, non di milioni. Innanzitutto i manager pubblici, poi i magistrati, che insieme formano la super-casta; poi i medici, i dentisti, i farmacisti; poi i professori universitari, che forniscono "esperti" strapagati ad ogni ramo della pubblica amministrazione, e che lavorano sovente in chiarissimo confitto d’interessi. Prendiamo il caso dei giudici: abbiamo visto di cosa erano capaci i giudici dei minori, insieme alle amministrazioni comunali, in tema di affido dei bambini provenienti da famiglie difficili, a soggetti affidatari (a pagamento: l’idealismo va bene, ma pecunia non olet). La maggioranza dei magistrati è di sinistra: lo mostrano le loro sentenze, quasi sempre troppo miti per i delinquenti, e perfino risibili se si tratta di migranti. Lo mostrano anche, a contrario, le sentenze come quella del g.i.p. di Agrigento che ha rimesso in libertà la signorina Carlo Rackete, dopo che costei ha fatto quel che ha fatto, violando le leggi, entrando in un porto senza autorizzazione e addirittura speronando in maniera molto pericolosa un motoscafo della Guardia di Finanza: ma tutto ciò per la signora Alessandra Vella non conta nulla, la capitana ha agito per salvare delle vite e tale fine prioritario fa scomparire ogni ipotesi di reato. Sono queste le sentenze che fanno arrabbiare gli italiani: li fanno arrabbiare moltissimo, e sempre più spesso. Tutte le Alessandra Vella della magistratura buonista e progressista non sanno di stare soffiando sul fuoco d’un incendio che potrebbe divampare con effetti imprevedibili. La gente è stanca e non ne può più. Si chiede che ci stiano a fare i magistrati di un certo tipo, e quale "bene comune" in effetti perseguano. La gente si chiede anche se sia accettabile che un processo, in Italia, duri anni e anni, e ciò nonostante che, nel nostro Paese (o magari appunto per quello) il numero di avvocati sia altissimo rispetto agli altri Paesi europei: quattro volte più della Francia e due più della Germania (che ha venti milioni di abitanti in più). Anche la magistratura è in gran pare di sinistra, anche se non dovrebbe avere alcun colore politico: tanto è vero che quando si tratta di aprire un’inchiesta su un politico di destra, bastano i più labili indizi per scatenare contro di lui una campagna di colpevolezza senza precedenti (a Berlusconi, nel luglio del 1997, fu recapitato platealmente un avviso di garanzia per concorso in organizzazione mafiosa mentre stava presiedendo una riunione internazionale che si occupava del problema della mafia), ma se si tratta di un personaggio della sinistra, neppure gli indizi più inquietanti, vedi il caso Bibbiano, varranno a far partire un’inchiesta, per anni e anni.
Queste sono le due zone grigie che devono essere attaccate ed eliminate. Finché i professori non la smetteranno di usare la cattedra per far propaganda ideologica di sinistra, anche di bassissimo livello, come ha fatto la professoressa Eliana Frontini parlando del vicebrigadiere assassinato sul lavoro, Mario Cerciello Rega (uno che nel tempo libero andava a far volontariato, servendo alla mensa dei poveri: giù il cappello, cari professori progressisti) e finché i magistrati non la smetteranno di emettere sentenze politiche, a tutela dei soggetti di sinistra o dei pretesi "deboli" e a scorno dei cittadini miti, per bene e vittime della violenza altrui, l’Italia non uscirà mai dallo stato comatoso nel quale rischia di morire per soffocamento. La diagnosi è questa; ora bisogna pensare alla terapia. Pensiamoci in fretta, però; non resta ancora molto tempo a disposizione, prima che la nave affondi senza speranza…
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