Il tempo dell’Anticristo è arrivato
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30 Luglio 2019Lo scopo della teologia è quello di aiutare le anime, seguendo la via razionale, a conservare e a rafforzare la fede. Ora, per svolgere il suo compito, essa deve avere ben chiaro lo scopo: condurre le anime verso Dio passando per la via dell’intelligenza, insieme a quella della fede. Perciò la teologia deve aiutare le anime a rinascere in Dio e non creare una nuova fede che nasca con l’uomo: la prospettiva deve essere Dio, e precisamente il Cristo della croce, della sofferenza e della redenzione, non l’uomo con le sue aspirazioni. La vera teologia adegua gli uomini alla ricerca di Dio e non Dio alla ricerca degli uomini.
È illuminante la riflessione di Pavel N. Evdokimov a questo proposito (in: P. Evdokimov, La vita trasfigurata in Cristo. Prospettive di morale ortodossa, Roma, Lipa Edizioni, 2001, pp. 204-206):
La fede intelligente è un atto da adulto e non quello di un bambino. La Chiesa si costituisce per la seconda nascita dallo Spirito e non per la prima nascita dagli uomini. Ora, solo una Chiesa reclutata tra bambini può prestare orecchio alle "nouvelle théologie" e cadere così nell’infantilismo religioso. L’opposizione stancante di "fede" e "religione" predicata dalla teologia della secolarizzazione e della "morte di Dio" fa tabula rasa della tradizione in tutto ciò che ha di positivo, nella sua dottrina della divinizzazione dell’uomo e nel suo accento messo sulla "nuova creatura". Essa è resa nuova per la morte e la risurrezione di Cristo che hanno cambiato le condizioni ontologiche dell’esistenza umana. Ci si domanda se, da una parte all’altra, si tratti dello stesso Dio, dello stesso vangelo, dello stesso mistero di Cristo servo sofferente. Si produce una pericolosa marxizzazione della coscienza cristiana che pone una alternativa: la fedeltà alla Parola di Dio, ai desideri della sua volontà, o la fedeltà ai desideri degli uomini che inaugura un "millenarismo della sinistra" e si radica molto più nell’antico Testamento che nel Nuovo. È sintomatico che le correnti una nuova teologia si rifacciano al pensiero profondo di Friedrich Bonhoeffer. Ora, questo teologo luterano, ammirevole per certi aspetti, constata alla fine tragica e quanto mai prematura della sua vita: "Ho notato sempre più in che misura tutto ciò che penso e provo sua ispirato più dall’Antico testamento, l’ho letto di più in questi ultimi mesi del Nuovo…". Le correnti progressiste si impegnano nella lotta politica, economica e sociale, ispirandosi giustamente ai profeti del’Antico Testamento e facendo della "contestazione permanente" il "mito" di un’azione rivoluzionaria e violenta. Ora, la sola vera rivoluzione non può che venire dalla "metanoia" evangelica centrata sull’uomo dell’ottavo giorno per il quale "tutto è nuovo" perché "Cristo ha messo su tutte le cose il segno della sua croce".
Senza dimenticare le esigenze della giustizia, l’organizzazione della Città umana in Isaia (40-53) è subordinata alla visione del Servo sofferente e della presenza di Dio tra gli uomini. Il mondo, tale quale è, è radicalmente contestato nel Vangelo, il mondo capitalista così come il mondo marxista, in nome dell’al di là di questo stesso mondo. L’uomo lavora quaggiù e costruisce la storia attraverso il cammino terreno e tutti i suoi valori, non per una Città ideale immanente, ma per una "nuova terra", nuova Città del Regno di Dio. La strategia dell’uomo deve partecipare alla strategia di Dio. In questa strategia trascendente, il vangelo non promette nessuna riuscita materiale. E infatti ogni epoca nella storia si compie con uno scacco, ma questi scacchi sono grandi riuscite perché spostano l’asse della storia e la conducono fuori dai suoi quadri verso l’al di là della sua trasfigurazione. È Cristo che contesta questo mondo ed è perciò che la Pentecoste dà il via alle sue energie salvatrici. Cristo contesta la morte con la sua morte e discende agli inferi per uscirne come "da una stanza nuziale"; egli contesta i suoi carnefici offrendo loro il perdono e la risurrezione. Egli offre a tutti non una vita opulenta, ma la filiazione divina e l’immortalità che comincia quaggiù.
Tutti gli atti di giustizia e di rinnovamento sociale non hanno un valore assoluto in loro stessi, essi non sono veri che in Cristo in quanto testimoniano l’Amore del Padre. Essi sono destinati quaggiù a trovare la loro dimensione eterna: l’Oggi di Dio nell’oggi degli uomini che non si manifesta che al momento della loro trascendenza verso il "tutt’altro". Ora, l’annuncio della "Morte di Dio" apre il ricorso alla violenza che desidera appropriarsi dell’Amore di Dio secondo le vedute umane e dichiara che esso non sarebbe accessibile se in attraverso la politica e la mediazione del prossimo. Il rapporto diretto con Dio è messo in questione, la preghiera e la contemplazione sono rese inutili perché è nella rivoluzione violenta, condizionata da essa, che il rapporto ridiverrebbe accessibile, è attraverso il mezzo della politica che Dio risusciterebbe!
Di fronte a queste aberrazioni, bisogna dire con i Padri che l’amore come "sacramento del fratello" significa l’accoglienza dell’altro per, in e con Cristo presente nella mia anima e che solo permette di riconoscersi "fratelli". I teologi della violenza mancano di radici evangeliche, misconoscono che Cristo chiama al superamento delle passioni che assalgono. Se la soluzione chirurgica si impone in un caso concreto, bisogna favorire la lucida coscienza che essa rischia sempre di scatenare le potenze demoniache.
Avevamo già parlato di Pavel Evdokimov a proposito di una sua opera "minore", La donna e la salvezza del mondo (cfr. l’articolo L’uomo è chiamato ad agire, la donna ad essere: così i due sessi si completano a vicenda, pubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 06/01/18), un libro notevole, che fa del pensatore russo un vero e proprio contraltare a Simone de Beauvoir e allo stesso Sartre, del quale mette giustamente in luce l’assenza sistematica di conclusioni, dovuta, a sua volta, all’assenza della categoria del mistero, come è proprio di ogni filosofia brutalmente materialistica. Nella pagina che abbiamo qui riportato, Evdokimov si mostra non meno acuto a proposito della teologia contemporanea e della sua deriva verso l’Antico Testamento e la Morte di Dio, cogliendo con chiarezza il trait d’union fra le due posizioni. Un teologo cristiano che si dice più interessato, o più affascinato, dall’Antico Testamento che dal Nuovo, è un ex teologo cristiano: di fatto, è un teologo cripto-giudeo e potenzialmente ateo. L’Antico Testamento, per il cristiano, trae tutto il suo valore alla luce del Nuovo: è la sua preparazione, descrive la marcia di avvicinamento degli uomini al Mistero più grande, l’Incarnazione di Cristo, e la progressiva rivelazione di Dio ad essi. Non ha senso indugiare sull’Antico più che sul Nuovo, come non ha senso preferire il preambolo alla cosa in sé. La cosa in sé è Cristo, che riempie di significato tutto quanto, la storia, l’attesa, le sofferenze, la speranza. D’altra parte, una preferenza per l’Antico Testamento tradisce anche un progressivo allentamento del legame con Cristo, e, in prospettiva, con Dio stesso, dato che Cristo, sempre per il cristiano (per il modernista, è un altro paio di maniche) è Dio. La Bibbia è come un’immensa, meravigliosa cattedrale, nella quale tutte le linee, le prospettive, le architetture convergono verso un solo punto focale: Cristo. Leggere e meditare la Bibbia, per un cristiano, è leggere e meditare sul Mistero del’Incarnazione, della Passione, Morte e Resurrezione del Signore Gesù. La Bibbia è la Parola rivolta da Dio agli uomini, e quella Parola culmina in una promessa: la promessa che Dio si sarebbe fatto uomo. Leggere e meditare la Bibbia significa confrontarsi con questa promessa che si è realizzata e che ha riscattato l’intero corso della storia umana. Il cristiano è l’uomo nuovo, frutto della promessa realizzata e operante; chi si ferma o si sofferma sull’Antica Alleanza non gode di quella pienezza, non si pasce di quel compimento; per lui, è come se Cristo non fosse venuto e non fosse morto e risorto. Come dice Evdokimov, tutta la fede cristiana ruota intorno alla teologia del Servo sofferente: ma se così non è, se i teologi contemporanei amano soffermarsi su altre cose, sulla lotta alla povertà, sull’inclusione degli invertiti, sul perdono dei peccatori senza che costoro si pentano e facciano solenne proponimento di cambiar vita, si vanifica il Vangelo, ci si allontana da Gesù. Non è questo che Gesù ha insegnato: né con la sua Parola, né con l’esempio della sua vita mediante l’Incarnazione.
Evdokimov osserva giustamente che, a partire dalla nouvelle théologie, si delinea un millenarismo della sinistra, intento a sostituire alla volontà del Padre i desideri degli uomini; e giustamente egli dice che una simile teologia è una teologia da bambini, perché consiste nel porre al centro i desideri umani e non ciò che Dio ci chiama a essere. Come bambocci viziati, i nuovi teologi pretendono che Dio si adegui al loro modo di pensare e di sentire. E siccome nel loro modo di pensare, tipicamente infantile, la povertà e lo sfruttamento sono qualcosa d’intollerabile, che non dovrebbe esistere, eccoli partire a lancia in resta per distruggere la povertà e abolire lo sfruttamento. E non si accorgono che stanno inseguendo una pretesa assurda: quella di realizzare il Regno di Dio nelle condizioni presenti, per mezzo dell’uomo carnale e non dell’uomo spirituale, nella Città terrena dominata dall’egoismo e non nella Città celeste creata dall’amore di Dio. Mezzi marxisti e mezzi nietzschiani, essi pretendono che l’aldilà si realizzi nell’al di qua; e non vedono che ciò è impossibile, perché tutto ciò che viene fatto nell’al di qua soffre dei limiti della carne, è imperfetto perché dominato dalla concupiscenza; e non vedono che la loro pretesa, in fondo, è quella di far da soli, di ricreare il paradiso in terra, ma con le loro mani: in altre parole, sono seguaci della teologia di Bonhoeffer, bisogna fare come se Dio non ci fosse. Ma questo non è più cristianesimo: è ateismo malamente camuffato da cristianesimo maturo e progressista. Poveri progressisti: non sono altro che bambini viziati. Le correnti progressiste si impegnano nella lotta politica, economica e sociale, ispirandosi giustamente ai profeti del’Antico Testamento. Ma i profeti dell’Antico Testamento, per il cristiano, hanno un senso nella misura in cui annunciano Cristo, preparano l’umanità alla venuta del Signore Gesù; altrimenti, voler realizzare le profezie dell’Antico Testamento senza fare riferimento a Cristo, senza attendere la redenzione da Cristo, ma anzi cercando di redimersi da soli, significa apostatare dal cristianesimo e creare una nuova religione, un ibrido sincretico di Antico Testamento e di volontarismo umanistico e progressista. Un po’ Mosè e un po’ Karl Marx: due ebrei; il primo è figura di Cristo, e guida gli ebrei fuori dalla schiavitù dell’Egitto come Cristo guida gli uomini fuori dalla schiavitù del peccato; il secondo è colui che vuole mandare per sempre Dio in soffitta, dopo aver definito la fede in Lui come l’oppio dei popoli, e pretende che gli uomini si emancipino da soli, e da soli costruiscano un nuovo Eden, senza ingiustizie, né povertà, né alcun male. E infatti i cattolici progressisti, imbevuti direttamente o indirettamente di spirito marxista, disprezzano l’ascesi e snobbano la contemplazione, la spiritualità e la preghiera, che giudicano qualcosa di vecchio, di anacronistico, come la veste talare che prima del Concilio indossavano tutti i sacerdoti; credono solo nel fare, nell’agire; vorrebbero cambiare il mondo, rifarlo di sana pianta, e sono convinti, convintissimi, che sia possibile eliminare ogni imperfezione dalla società, che si possa trasformare la storia nella marcia trionfale dell’uomo. È evidente che tutti costoro non sono più cattolici, e neppure genericamente cristiani: ma chi glielo spiega a questi preti di strada, a questi vescovi amici della teologia della liberazione, a questi laici che si sono investiti della sacra missione di svecchiare la Chiesa, magari contribuendo all’abolizione del celibato ecclesiastico, aprendo al sacerdozio femminile e anche, chi sono io per giudicare?, all’istituzione del matrimonio fra persone dello stesso sesso?
Evdokimov vede e denuncia in anticipo, con lucidità impressionante, la deriva apostatica che la Chiesa sta vivendo in questi ultimi anni: la pretesa di costruire la Città ideale nell’immanenza, invece di adoperarsi per realizzare una nuova città per il Regno di Dio. Non si versa il vino nuovo in otri vecchi, ammonisce Gesù. Invece, è proprio quel che stanno facendo i nuovi teologi, i vescovi progressisti e i preti di strada: vogliono realizzare un mondo nuovo con materiali vecchi, cioè con le forze dell’uomo. Ma l’uomo vecchio è l’uomo carnale, e l’uomo carnale non può che aggiungere alla storia sempre nuove passioni disordinate ed egoistiche, dominate dalla concupiscenza. La sola possibilità di costruite una nuova Città, per l’uomo, consiste nel farsi ispirare e guidare dal volere di Dio: e ciò implica l’accettazione della condizione umana, così come essa è attualmente, però nella prospettiva della sua trasfigurazione spirituale, che inizia qui, ma non si realizza qui, perché non appartiene alle cose di quaggiù. Quando un cristiano si scorda questo, cessa di essere cristiano: si sveglia un mattino e non è più cristiano, anche se crede ancora di esserlo. Tale è la condizione dei cristiani "adulti" e "maturi", che pur avendo spesso Gesù Cristo sulla bocca, hanno scordato l’essenza del messaggio di Lui: (Gv 15,4-5): Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla…
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