Per sopravvivere la Chiesa deve farsi democratica?
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27 Luglio 2019Il celebre episodio miracoloso della tempesta sedata, o della burrasca sul lago, è raccontato da rutti e tre i Vangeli Sinottici (Matteo, 8,23-27: Marco, 4, 35-41; e Luca, 8,22-25); scegliamo la versione di Marco, in questo caso la più ricca di particolari, pur nell’estrema sobrietà, per non dire concisione, del racconto:
In quello stesso giorno, alla sera, Gesù disse loro: «Passiamo all’altra riva». E lasciata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano delle altre barche con lui. Ed ecco levarsi una gran bufera di vento che gettava le onde nella barca, tanto che questa già si riempiva. Egli stava dormendo sul guanciale a poppa. Essi lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che noi moriamo?» Egli, svegliatosi, sgridò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!» Il vento cessò e si fece gran bonaccia. Egli disse loro: «Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?». Ed essi furono presi da gran timore e si dicevano gli uni gli altri: «Chi è dunque costui, al quale persino il vento e il mare ubbidiscono?»
È senza dubbio il racconto di un miracolo, cioè di un evento scientificamente inspiegabile; e proprio per questo è uno di quei passi evangelici che, di questi tempi, si sente citare sempre più di rado. A un clero che sembra essersi stancato della dimensione soprannaturale, e a dei cristiani "adulti" o "maturi", come amano sovente definirsi, cioè emancipati, secondo la lezione di Bultmann, dalle incrostazioni del mito, che rendono inaccettabile il racconto biblico all’uomo moderno, abituato a servirsi del telefono e dell’elettricità (e oggi, potremmo aggiungere, del computer e della bioingegneria), e tutti protesi nella dimensione sociale, politica ed ecologica, parlare dei miracoli di Gesù procura una certa allergia. Specialmente se, come in questo caso, è difficile, se non addirittura impossibile, ridurli alla dimensione sociale: perché qui Gesù non guarisce un lebbroso, non restituisce la vista a un cieco, ma "semplicemente" salva la barca da un sicuro naufragio, e lo fa rivolgendosi direttamente agli elementi scatenati della natura: il vento e il mare (ossia, per meglio dire, le acque del lago di Tiberiade). Povero Bergoglio, che non può trasformare la moltiplicazione dei pani e dei pesci in una semplice divisione e distribuzione di essi; e povero Kasper, che non può slanciarsi in una delle sue filippiche per il rinnovamento della Chiesa, della liturgia, della pastorale e magari anche della dottrina; e povero Enzo Bianchi, che qui si trova impacciato a spiegare come un semplice profeta, quale Gesù era, secondo lui, qui diviene il signore della natura, che comanda ai venti e alle acque. No, non c’è verso di trasporre il significato del miracolo compiuto da Gesù sul terreno sociale o ambientale; non ci sono margini per adulterare e mistificare il racconto evangelico, forzandone il significato sino a farne un simbolo della teologia della liberazione o dell’accoglienza dei migranti (laddove Bergoglio è riuscito a definire "migranti" perfino gli astronauti del’Apollo 11 che nel 1969, cinquant’anni fa, misero piede sulla Luna); bisogna proprio rassegnarsi a parlare solo della tempesta sul lago, senza allusioni o sottintesi né politici, né sociali, né ecologici, né di qualsiasi altro tipo materiale.
Dunque, nell’episodio della tempesta sedata, ci sono due cose che piacciono poco ai cattolici progressisti: primo, si tratta di un miracolo, e già questo urta la loro sensibilità (dicono e ripetono infatti, sbagliando e mentendo, che il Vangelo sta in piedi anche senza bisogno di miracoli; ma la Resurrezione cos’è?); secondo, è un miracolo nel quale non si ravvisa alcun risvolto sociale, ma semplicemente una sollecitudine nei confronti degli apostoli che si trovano in pericolo di fare naufragio con la loro barca e annegare. Partiamo dal primo punto: si tratta indubbiamente d’un miracolo. Le leggi della natura sono sospese, addirittura sovvertite: la tempesta si placa repentinamente alle parole di Gesù, come per incanto; e un momento prima pareva sul punto di rovesciare la fragile barca dei pescatori. I quali erano gente che conosceva benissimo quello specchio d’acque; gente che conosceva i venti, le correnti, e tutto ciò che riguarda le condizioni materiali della vita in quell’angolo di Galilea; non erano sprovveduti cittadini che si possono spaventare per un po’ di mare mosso, solo per un vento che cresce di forza in maniera inaspettata. Se essi ritenevano che vi fosse un pericolo immediato di fare naufragio, era senza dubbio così: nessuno meglio di loro avrebbe potuto valutare se vi fosse un rischio reale, oppure no. La barca, del resto, aveva già imbarcato una notevole quantità d’acqua, a causa del forte rollio; e il peso di tutta quell’acqua contribuiva a tenderla ingovernabile. Perciò, quando essi decidono di svegliare il Maestro per dirgli, angosciati, «Maestro, non t’importa che noi moriamo?», la loro non è la paura esagerata e irragionevole dell’inesperto, ma la piena coscienza della gravità della situazione da parte di chi sa valutare perfettamente come stanno in realtà le cose.
La cosa forse più misteriosa, in tutto questo episodio, è il sonno di Gesù. Durante la burrasca che si era scatenata sul lago, Gesù dormiva profondamente. Come è possibile dormire su una piccola barca d pescatori, con le onde che la sballottano come un guscio di noce? D’altra parte, la tempesta stessa ha qualcosa di sorprendente. Per quanto sia noto che, negli specchi d’acqua interni circondati dalle montagne, delle correnti atmosferiche improvvise possono abbattersi in maniera inaspettata, è difficile credere che degli esperi pescatori come Pietro, Andrea e gli altri, abituati a vivere su quelle acque e conoscitori di tutti i loro segreti, si siano lasciati sorprendere a quel modo. Il lago non è grandissimo: ha una superficie di 166 kmq. e una circonferenza di 53 km., quindi è poco più grande del nostro lago di Como (che ha una superficie di 145 kmq.); e Gesù voleva passare da Cafarnao, sulla riva settentrionale, a Gerasa su quella orientale (ove l’indomani, probabilmente, compì il miracolo della liberazione dell’indemoniato; cfr. il nostro articolo: L’episodio dell’indemoniato di Gerasa, pietra d’inciampo dei cattolici modernisti, pubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 23/01/18); si trattava quindi di attraversarne la sezione nord-orientale, magari tenendosi abbastanza sotto costa invece di spingersi verso il suo centro (si tenga presente che la superficie del lago si trova in fondo a una depressione tettonica, a oltre 200 metri sotto la superficie del vicino Mediterraneo). Certo, il racconto evangelico precisa che Gesù prese questa decisione di sera, cosa un po’ strana, a meno che vi fossero le condizioni ideali, dal punto di vista atmosferico, per salpare le ancore col sole già al tramonto. Si ha comunque l’impressione che tanto la traversata, quanto il sonno di Gesù, siano la premessa necessaria perché si manifestasse ai discepoli la potenza di Dio; e anche perché la loro fede venisse messa alla prova. Quando il vento si levò improvviso e le onde del piccolo mare divennero sempre più alte, essi ebbero paura: videro la morte vicina e ormai quasi certa, come si evince dalle loro parole: Maestro, non t’importa che noi moriamo? E intanto Gesù, per tutto quel tempo, aveva dormito tranquillamente, a poppa, con la testa posata su un guanciale! Certo, doveva essere estremamente stanco, perché aveva predicato a lungo e intrattenuto una grande folla; ma nessun uomo, per quanto affranto dalla stanchezza, conserva il sonno in mezzo a una tempesta, specie se si torva a bordo d’un piccolo legno. Che si sia trattato di una prova, e che i discepoli non l’abbiano superata, lo si ricava dalle parole stesse di Gesù: Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede? La paura è figlia della mancanza di fede; chi ha la fede, non si spaventa. Essi erano in compagnia di Gesù; Lui dormiva a bordo della loro stessa barca: la sua Presenza avrebbe dovuto rassicurarli e trasmettere loro il coraggio necessario; invece, si erano spaventati a morte. Lo avevano svegliato perché ormai si vedevano perduti; si erano rivolti a Lui non con la fede del credente, ma col terrore di chi sente sul collo il fiato della tremenda nemica, la morte (e chi non la considera tale, affermando che si tratta di un evento perfettamente naturale, o mente a se stesso, oppure si sforza di esorcizzare i suoi sentimenti più profondi con un razionalismo falsamente distaccato, senza avere però il coraggio di guardarli sino in fondo). Il che ci riporta alla domanda fondamentale: E voi, chi dite che io sia? (Mt. 16,15; Mc. 8,29; Lc. 9,20). È molto dubbio che gli apostoli avessero compreso per davvero la natura del loro Maestro; perfino san Pietro, che rispose: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente (Mt. 16,16; Mc. 8,29; Lc. 9,20). Non avevano capito per davvero nemmeno alla vigilia della Passione; né capirono durante i toccanti discorsi che Gesù rivolse loro durante l’Ultima Cena. Solo dopo la Morte e la Resurrezione cominciarono a capire; e solo dopo le apparizioni nel cenacolo e l’evento della Pentecoste, le loro mento ed i loro cuori si aprirono veramente al mistero ineffabile della divina Incarnazione di Gesù Cristo. Se avessero capito qualcosa, non avrebbero avuto una paura così grande, quella sera, sul lago di Tiberiade. Quello spavento, quel terrore della morte, indicano chiaramente che essi avevano compreso solo a metà, e forse anche meno, il mistero sublime del quale erano entrati a far parte, essendo stati scelti uno per uno, amorevolmente, dal Maestro in Persona. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda (Gv. 15,16).
La fede in Gesù, Figlio di Dio, comprende ogni aspetto della vita. I cattolici progressisti e i modernisti travestiti da cattolici si preoccupano ossessivamente delle condizioni materiali dell’esistenza, della giustizia sociale, della distribuzione dei beni economici e finanziari, delle libertà politiche, dei diritti civili; e ancora, per soprammercato, dell’inquinamento, del supposto mutamento climatico, della preservazione delle foreste tropicali, e chi più ne ha, più ne metta. Inutile dire che molte di queste cose, anzi tutte, per la maniera in cui sono affrontate e per la particolare prospettiva adottata, che è cattolica sono di nome, ma nella sostanza è modernista, cioè storicista e laicista, finiscono per essere usate come dei cavali di Troia per operare, dall’interno del cattolicesimo, una sua mutazione genetica. Un po’ alla volta, la preoccupazione per le cose materiali, per quanto in sé legittima, soppianta completamente la tensione spirituale, la preghiera e l’ascesi, e fa passare in seconda linea, o scordare addirittura, la vita di grazia, senza la quale non si dà vita eterna, ma solo eterna perdizione. In altre parole, imboccando questa via si perde di vista l’essenza del Vangelo: che non è un messaggio politico o sociale. Gesù non parla di queste cose, incessantemente, come un disco rotto, come fa Bergoglio coi migranti, fino all’assurdo, sostenendo che anche Gesù era un migrante e che lo erano perfino gli astronauti giunti sulla Luna nel 1969; anzi, per dir le cose come stanno, Gesù non parla affatto dei problemi economici e sociali, tanto meno di quelli politici. E sappiamo che il problema politico più scottante e all’ordine del giorno era il dominio romano sulla Giudea, che di lì a pochi anni avrebbe indotto il partito nazionalista degli zeloti a scatenare una sanguinosa e disperata guerra contro gli occupanti, guerra che si sarebbe conclusa – come profetizzato da Gesù — col saccheggio di Gerusalemme e la distruzione del suo Tempio. E questo non perché a Gesù siano indifferenti le condizioni materiali di vita delle persone, ma perché il suo Vangelo si rivolge alla dimensione totale dell’uomo e non a una sola dimensione, come quella economico-sociale. Riguardo alle necessità materiali dell’esistenza, Gesù ha sempre insegnato che non bisogna preoccuparsene oltre i limiti del giusto, perché Dio vede e provvede: fa testo il discorso di Matteo, 6,25-34:
Per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro? E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un’ora sola alla sua vita? E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, in tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani verrà gettata nel fuoco, non farà assai più per voi, gente di poca fede? Non affannatevi dunque dicendo: Cosa mangeremo? cosa berremo? cosa indosseremo? Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena.
Si poteva esser più chiari? Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. E questo vale anche per la tempesta sul lago: l’intervento di Gesù, che placa il vento e le acque, significa che tutto nell’ordine della natura è nelle sue mani, anche la nostra vita. Gesù vuole che ci occupiamo in primo luogo della nostra anima: tutto il resto dipende da ciò…
Fonte dell'immagine in evidenza: Immagine di pubblico dominio (Raffaello)