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L’uomo è schiavo; ma di che cosa?

L’antropologia delle filosofie ateistiche è, in linea di massima, ottimistica: se non c’è alcun Dio al di sopra dell’uomo, allora vuol dire che l’uomo è misura di tutte le cose; e se è misura di tutte le cose, ciò significa che ha in se stesso, purché le sappia individuare e sfruttare nella maniera più idonea, le risorse per prendere in mano il proprio destino e per fare della sua vita ciò che vuole. Certo, a margine di questo filone ottimista c’è anche un filone pessimista, secondo il quale l’uomo è gettato allo sbaraglio in un mondo incomprensibile, nel quale non ha chiesto di entrare e che non possiede i mezzi per padroneggiare. Questo filone pessimista conduce direttamente al nichilismo di Leopardi, Schopenhauer, Eduard von Hartmann; mentre l’altro filone, quello principale, si fonda sull’esaltazione del progresso e perciò si configura come progressista, un grande contenitore nel quale trovano spazio il razionalismo materialista, il criticismo, l’illuminismo, l’idealismo, il positivismo e il neopositivismo, lo strutturalismo, il pragmatismo, il marxismo, la psicanalisi e chi più ne ha, più ne metta. Di fatto, nell’ordine della vita pratica, i due filoni hanno finito per convergere e per intrecciarsi, com’era inevitabile, data la comune premessa ateistica: e ne è nato un abiti mentale molto strano, tipico di tutti gli intellettuali progressisti ma anche di molte persone comuni, nel quale si mescolano un pessimismo antropologico di matrice esistenzialista, e più specificamente sartriana, con una fiducia pressoché illimitata nella scienza, o in ciò che la cultura moderna definisce scienza, anche se tale non è, come la psicanalisi, vista come la sola ancora di salvezza rispetto alla deriva dell’esistere in un mondo disarmonico e privo di senso, di scopi e di obiettivi. Un tipico esempio di questo strano miscuglio di pessimismo antropologico e di ottimismo epistemologico è dato dalle moderne scienze sociali, per le quali anche solo porre la questione di Dio — porla in termini reali, cioè, e non in termini meramente sociologici o antropologici — è già di per sé qualcosa d’inconcepibile, mentre la risposta e la soluzione ai problemi umani sono delegate alla scienza, e specialmente alla medicina e alla bioingegneria, alle quali sono ormai indirizzate le aspettative e le speranze di un’umanità. La quale non si attende altro se non una serie di miglioramenti quantitativi alla propria condizione: che si allunghi la durata della vita media, per esempio, o che una donna sterile, o troppo avanti negli anni, possa avere lo stesso dei figli, o perfino che una coppia di omosessuali possa ottenere, con la fecondazione eterologa o con la maternità surrogata (leggi: utero in affitto) la gioia della doppia paternità o della doppia maternità. E naturalmente la possibilità di por termine alla propria vita, con l’assistenza dei medici (alla faccia del giuramento d’Ippocrate), quando essa risulti non più accettabile secondo dei parametri di valutazione puramente edonisti e materialisti.

L’antropologia del credente, al contrario, non può che essere pessimistica: per salvarsi, l’uomo non dispone di forze sufficienti; senza l’aiuto di Dio, sarebbe perduto. Ciò dipende non da un difetto della sua natura originaria, ma da un vulnus, da una ferita che ha colpito quella natura, insieme alla natura nel suo complesso, e che rende tutti gli uomini soggetti a una forma di schiavitù. L’uomo infatti, lo si vede per così dire a occhio nudo, senza bisogno di tante indagini, non è libero: né fisicamente, né psicologicamente, né spiritualmente. C’è qualcosa che lo tiene in soggezione e che lo riduce alla condizione di schiavo alla mercé di forze molto più grandi di lui; e ciò nonostante che tutto il suo essere tenda alla libertà, al punto da avvertire la mancanza di essa, o la sua sostanziale inadeguatezza, come la più grave disarmonia che minacci l’unità della sua coscienza. Quali sono queste forze che limitano, condizionano e impediscono all’uomo di esplicare liberamente la sua volontà e di affermare l’eccellenza della sua natura, a cominciare dal bene inestimabile dell’autodeterminazione? La risposta, per il cristiano, non è affatto misteriosa; egli sa da dove trae origine la schiavitù dell’uomo, e semmai è strano che così spesso egli tenda a dimenticarsene. Ciò dipende, crediamo, anche dal cattivo servizio reso dalla teologia al credente negli ultimi decenni, specie dopo il Concilio Vaticano II: una teologia che, mettendo illusoriamente — e illegittimamente – l’uomo al centro del discorso teologico, ha generato in lui false certezze e un falso senso di confidenza in se stesso, che non può non lasciarlo, alla prova dei fatti, scoraggiato e disperato, quando la realtà s’incarica di spazzare via, come castelli di carte, tali sicurezze, rivelandogli con rinnovata amarezza la sua condizione di schiavo.

Per rispondere al nostro interrogativo, ci piace riportare una pagina del saggio di Henri Maurier Teologia del Paganesimo (titolo originale: Essai d’un théologie du paganisme, Paris, Editions de l’Orante, 1965; traduzione dal francese a cura dell’Ufficio Studi della Casa di Carità Ari e Mestieri, Torino, Piero Gribaudi Editore, 1968, pp. 146-148):

Il Nuovo e il Vecchio Testamento rivelano che l’uomo è schiavo. Ma di che cosa? Di chi? "Sembra che S. Paolo non tenga molto a precisare chi è il nemico che ci ha assoggettati. Ovvero parla di diversi nemici, di diversi agenti oppressori. Ma attraverso le varie formulazioni risulta esservi un’unità in questa rete malefica, cioè una potenza unica che tiene le redini di queste molteplici potenze. Per contrapposizione alla regalità del Figlio di Dio, l’epistola ai Colossesi parla di un misterioso "impero delle tenebre" (Col., 1,13), mentre l’epistola agli Efesini, conservando il plurale, parla di "reggitori di questo mondo di tenebre" (Ef 6,12) (L. Bouyer, "Initiation théologique, II, 505).

Questi oppressori sono il peccato e la morte, la carne e il mondo, ed infine le Potenze. V’è "un cattivo mondo attuale" (Gal. 1,4) da cui bisogna liberarsi. Paolo sa di essere inviato alle nazioni "ad aprire i loro occhi, perché passino dalle tenebre alla luce e dal potere di Satana a Dio" (Atti, 26,18). Noi dobbiamo rivestirci dell’armatura di Dio "per poter resistere alle insidie del diavolo: perché noi non abbiamo da combattere solo contro forze puramente umane, ma contro i principati e le potestà, contro i reggitori di questo mondo di tenebre, contro gli spiriti del male sparsi nell’aria" (Ef. 6,11-12). Cristo è presentato come vincitore dei Principati, delle Potenze, delle Virtù, delle Signorie (Ef. 1,21; Col. 2,14-15;1 Piet. 3,22) di cui egli è il Capo (Col. 2,10).

Paolo raccomanda anche di scuotere ormai la dominazione degli "elementi del mondo" (Col 2,8-20; Gal. 4,3-9), cioè dei costituenti materiali del mondo e della legge che ne regola minuziosamente l’uso (cfr. Col. 2,16; Gal. 4,10), nonché di scuotere la dominazione degli spiriti celesti che pretendono, per mezzo della legge (Gal., 3,19), di mantenere il mondo sotto la loro tutela. In Ebr. 2,5 si legge: "Non agli angeli Iddio assoggettò il mondo avvenire", il che implica che il mondo presente, invece, è stato a loro affidato.

Si tratta ancora dei "prìncipi di questo mondo"(1 Col. 2,6-8), dello spirito del mondo (1 Cor. 2,12), del dio di questo secolo che ha accecato i pensieri degli infedeli (2 Cor, 4,4). In tali contesti non v’è dubbio "che questo dio non è che una sola cosa col diavolo di Ef. 4,27 e 6,11, con Satana invidioso e tentatore di 1 Tess. 2,18; 2 Tess. 2,9; Rom. 16,20; 1 Cor 5,5 e 7,5e 2 Cor. 2,11; 11,14; 12,7"(Bouyer, ibid, 510). S. Luca (4,6) fa dire al demonio: "Io ti darò tutta questa potenza e la loro gloria, perché è stata data a me e la do a chi voglio". Giovanni conferma anch’egli questa dominazione sul mondo (12,31; 14,30; 16,11 "il principe di questo mondo" cfr. Apoc. 13,2-4 "il dragone che dà il potere alla Bestia"). Infine in Matteo (8,29) i demoni gridano: Sei tu venuto a tormentarci innanzi tempo?", il che implica una certa indipendenza dominatrice di questi esseri.

Il Deuteronomio (3,28) presenta le nazioni come distribuite ai "figli di Dio", che non sono necessariamente dei demoni ma almeno degli angeli (cfr. Deut. 32,43). Esso afferma che "il cielo, il sole e la luna e tutto l’esercito dei cieli sono stati dati in sorte a tutti i popoli che si trovano sotto il cielo" (Deut. 4,19), come per indicare che le loro divinità sono questi astri o gli spiriti che li reggono. Il Sal. 82 sembra mettere in scena "dei figli di Dio" che non sono soltanto i re, i capi o i giudici dei popoli, ma spiriti della corte di Dio, divenuti prevaricatori e che saranno cacciati fuori del loro regno.

La dominazione delle Potenze provoca presso le nazioni idolatria, svergognatezza dei costumi, orgoglio, omicidi: lo si vede già in Gen. 4,11 (Caino, Lamec, il tempo di Noè; Nemrod, Babele). Il curioso passo di Gen. 6, 1-4 mostra il male che s’introduce negli uomini in seguito a difetto delle Potenze, che essendo cadute vogliono approfittare della creazione umana intrattenendo con le "figlie degli uomini" relazioni di fornicazione o prostituzione, il che dà origine ad un’umanità mostruosa. In Sap. 2,24 sta scritto che "è per invidia del diavolo che la morte è entrata nel mondo". Satana "il serpente antico" (Apoc. 12,9), "il seduttore del mondo intero", è il padre della menzogna (Giov. 8,44); "sin dall’origine egli è omicida" (Giov. 8,44), "peccatore" (1 Giov. 3,8), l’Avversario (1 Piet. 5,8), colui che vuole prendere il posto di Dio (cfr. 2 Tess. 2,4).

Riassumendo. Il mondo è stato creato buono e perfetto dalle mani dell’Onnipotente. Da quando Adamo ed Eva hanno tradito la fiducia del Creatore e hanno peccato d’invidia, orgoglio e disobbedienza, un’ombra è scesa sul creato e la natura tutta ha patito le conseguenze del Peccato originale. Da quel momento, la signoria sul mondo è stata assunta dal diavolo, che si serve degli angeli ribelli, le Potestà, per tenere gli uomini in una condizione di schiavitù: schiavi del peccato, della morte, della carne e del mondo stesso. Il mondo, infatti, è diventato un mondo di tenebre; e la Potestà suprema alla quale esso soggiace è quella del diavolo. Tanto è vero che Satana, nel deserto, ha l’ardire di offrire a Gesù stesso il dominio del mondo, il potere, la ricchezza e la gloria, se Egli si prostra ad adorarlo: ciò significa che Satana ha realmente un potere sul mondo, e può concedere i benefici del suo potere a chiunque lo voglia. Di fatto, gran parte dei potenti del mondo sono, per l’appunto, uomini scelti e ispirati dal Maligno, consigliati e stimolati da lui, assistiti da lui nella scalata sociale e politica, protetti da lui nella battaglia per farsi largo e conquistare le posizioni più ambite. È molto triste, ma è così: il mondo è dominato dal suo Principe, che è il diavolo; chi trionfa nel mondo non può venire da Gesù, perché il mondo non riconosce come suoi quelli che vengono dalla luce, ma glorifica e s’inchina davanti a quelli che vengono dalle tenebre. È questo il nodo che invano i cattolici moderni, dal Sillabo di Pio IX in poi, tentano di eludere: il nodo del progresso, del liberalismo e della civiltà moderna. Essere dalla parte di queste cose significa di necessità inchinarsi davanti al mondo; e chi s’inchina dinanzi al mondo, che lo sappia o che non lo voglia sapere, di fatto s’inchina di fronte al Principe del mondo. Il cristiano non può in alcun modo venire a patti con il mondo moderno, perché il mondo moderno è la quintessenza del mondo pagano: idolatra, blasfemo e omicida, che si è ribellato a Dio e ha voluto costruire una sua "religione" destinata alla propria glorificazione.

Oh, è molto facile rendersi popolari quando si proclama che è cosa giusta e buona dialogare col mondo, lasciar cadere le antiche preclusioni e proporre un compromesso fra il Vangelo e il mondo. È facile fare quel che ha fatto Giovanni XXIII, allorché, nel discorso di apertura del Concilio Vaticano II, ha deplorato i "profeti di sventura", dimenticando che i profeti hanno l’obbligo divino di annunciare le sventure all’umanità che rifiuta di convertirsi, e ha affermato che d’ora in poi la Chiesa vuol adoperare la medicina della misericordia invece di quella della severità. Tutte chiacchiere. La severità non è durezza gratuita e ingiustificata (o, come dice padre Ermes Ronchi, abuso della "pedagogia della paura"): è mettere in guardia le anime contro il pericolo tremendo della dannazione, come del resto faceva, senza tanti giri di parole, nostro Signore, quando diceva (Mt., 25,41): Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. La verità è che bisogna scegliere se stare con Dio o stare col mondo. Chi sceglie di stare con Dio, si mette alla sequela di Gesù, si carica sulle spalle la propria croce (altro che ottimismo antropologico!) e cammina sui passi del Maestro, senza nulla aggiungere, togliere o modificare minimamente di quanto Lui ha insegnato. E se ha detto che il seminatore di scandali dovrebbe essere gettato in mare con una macina al collo, non lo dice per scherzo; e se afferma , di Giuda, che sarebbe stato meglio per lui non nascere neppure, non lo dice per poi cambiar parere e salvarlo in Paradiso. E se dice agli uomini che non si possono servire due padroni, lo dice terribilmente sul serio; e se dice di esser venuto a portare non la pace, ma una spada, bisogna prenderlo sul serio. Il clero odierno sta stravolgendo il Vangelo, perché il suo scopo è quello di mettere gli uomini sotto la signoria delle Potestà. Oggi un clero apostatico, scandalosamente corrotto e tutto proteso a scusare e legittimare ogni sorta di turpitudini, rinnova l’antico progetto di asservire l’umanità, togliendole la speranza della Redenzione. Un progetto che si sa bene esser stato concepito dal Principe del modo…

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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