La ragione conduce alla stessa meta della fede: Dio
16 Luglio 2019Semplice sciatteria o contraffazione diabolica?
17 Luglio 2019E tuttavia, si viene al mondo per una qualche ragione. Se così non fosse, se noi fossimo gettati a caso dal destino, da una forza naturale cieca e irresponsabile, come pensava Leopardi, ci troveremmo pur sempre in presenza di una stranezza, anzi di una coincidenza che ha dell’incredibile: che il caso avrebbe generato in noi, e non in noi soltanto, un universo di una complessità, di una perfezione e di un’armonia straordinarie, proprio come se fosse stato concepito e attuato dalla più prodigiosa delle intelligenze e dalla più possente delle forze. Senza l’uomo, tuttavia, non ci sarebbe qualcuno in grado di godere, consapevolmente e sino in fondo, di tanta magnificenza: il che sarebbe un incredibile spreco, una dissipazione di energia che solo una probabilità su miliardi di miliardi avrebbe potuto realizzare. Non è chi crede nel finalismo, ma chi sostiene il casualismo, che deve provare a spiegare una tale, inverosimile coincidenza e un tale spreco: è come se un perfetto analfabeta di pittura, semplicemente gettando qualche pennellata a casaccio sulla tela, dopo aver mescolato alla cieca i colori, avesse realizzato un capolavoro più ammirevole della Vergine delle rocce di Leonardo da Vinci. Anzi, neppure questo: è come se un simile capolavoro si fosse fatto da sé, in base ad agenti puramente naturali: le forme, le linee, i colori, i materiali, le proporzioni, l’armonia compositiva, la perfezione di tutto l’insieme: solamente opera del caso, del vento, dell’acqua, degli sbalzi termici, della fermentazione della materia, dell’ossidazione, della cristallizzazione, della fossilizzazione. Una cosa forse non del tutto impossibile, in un modello matematico e probabilistico puramente teorico, disponendo però di un arco di tempo addirittura inimmaginabile; ma in pratica, chi potrebbe mai crederlo? Sarebbe come credere alla possibilità che un bambino di quattro anni, scarabocchiando delle note alla rinfusa, per gioco, sul rigo musicale, possa comporre la Toccata e fuga in Re minore di Johann Sebastian Bach. Suvvia, è chiedere troppo al caso.
Dunque, possiamo ammettere che l’esistenza di un fine inerente alla creazione è un’ipotesi altamente probabile, per non dire pressoché certa: tanto è vero che sarebbe difficilissimo riuscire a dimostrare il contrario, o anche solo a dimostrarne la probabilità, ossia che tutto è frutto del caso e che nessuna intelligenza, dunque nessun Dio, è all’origine dell’universo. Credulone e bigotto, a quel punto, non è chi riconosce l’esistenza di Dio quale Causa Prima di tutto ciò che esiste, ma chi si ostina a non ammetterla, per mero pregiudizio. E se esiste una Causa Prima, come vuole la logica e come nessuno scienziato serio potrebbe negare, a meno di ingolfarsi in una regressio ad infinitum, allora esiste anche una suprema Intelligenza, perché le cose che esistono rivelano un ordine estremamente complesso, perfino quelle in apparenza più semplici, come una goccia d’acqua o un filo d’erba; e nessuno può ragionevolmente negare che le cose complesse devono aver origine da un’intelligenza di altissimo livello. Si tenga sempre a mente che cause semplici producono degli effetti semplici (o che sono complessi solo in apparenza), mentre effetti complessi presuppongo necessariamente delle cause che siano come minimo altrettanto complesse, ma verosimilmente molto più complesse e sofisticate. A questo punto proviamo a domandarci se è concepibile, e se è verosimile, una intelligenza, non un’intelligenza qualsiasi, ma l’Intelligenza suprema, la quale operi del tutto a caso, senza alcun fine, senza alcuno scopo. Certo, è possibile, sempre in via teorica; ma in pratica? L’intelligenza non è una facoltà accessoria ed estemporanea; dire intelligenza è come dire fini e scopi, perché è nella sua natura cercare, indagare, realizzare, non però improvvisando, ma seguendo un metodo, un piano, una strategia: e si può concepire una strategia che sia priva di scopo? La strategia del ragno, allorché tesse la sua tela, è finalizzata alla cattura della mosca; la strategia dell’usignolo, nel costruirsi il nido, è covare e proteggere i piccoli; come la strategia del cuculo è sfruttare il nido di un altro uccello per mettervi le sue uova. E il fine è sempre lo stesso: la conservazione e, per quanto possibile, l’accrescimento della specie. E se questo è vero per l’intelligenza istintiva, meccanica, degli animali, come non lo sarà, e a molto maggior ragione, per una intelligenza assai evoluta e capace di vagliare e calcolare infinite cose, anche future, che sfuggono allo sguardo immediato, in vista di un fine più alto, non banale, non limitato, non caduco, ma profondo, assoluto ed eterno? Si giunge così alla conclusione che l’esistenza di un’intelligenza presuppone un fine, proprio come l’esistenza del fumo sta a significare che esiste un fuoco, qualche cosa che sta bruciando. L’intelligenza non può rimanere chiusa in se stessa: deve aprirsi, espandersi, traboccare all’esterno (e anche all’interno), per sondare tutte le possibilità e valutare in che direzione agire, a quale fine tendere. E se ciò è vero per l’intelligenza finita dell’uomo, così imperfetta e limitata, così frequentemente soggetta all’errore, a maggior ragione l’Intelligenza assoluta, che non s’inganna, né mai lo potrebbe per sua stessa natura. Ogni cosa, infatti, esiste secondo la propria natura, altrimenti non potrebbe sussistere e si auto-distruggerebbe, come un esperimento non riuscito: così l’intelligenza umana esiste in maniera lacunosa e imperfetta, mentre l’Intelligenza Prima vede tutto, sa tutto e conosce tutto, per la semplice ragione che tutto proviene da lei e tutto a lei farà ritorno.
Diceva una volta don Luigi Giussani (Desio, allora in provincia di Milano,15 ottobre 1922-Milano, 22 febbraio 2005), discutendo con un gruppo di ragazzi e rispondendo a una domanda su cosa egli intendesse quando usava l’espressione la gloria di Cristo (da: L. Giussani, Si può (veramente?!) vivere così?, Milano, Rizzoli, 1996, p. 275-276):
"Tutto in Lui consiste" (cfr. Col, 1,17). Questo è lo scopo del mondo: che si riveli che cos’è il mondo. Allora noi comprendiamo che viviamo con vergogna un’immensa menzogna; l’apparenza diventa un’immensa menzogna se non è segno di Lui. Perciò l’uomo saggio cammina verso il suo destino imparando a scoprire tutto e a vivere tutto come segno, come segno di Lui. Quel giorno, quando il Mistero vorrà — "Di quel giorno nessuno sa, neanche gli Angeli di Dio, ma solo il Padre" (cfr. Mt 24,36; Mc 13,32)" — tutto il mondo, tutti gli uomini della storia capiranno (…).
La gloria di Cristo è il fenomeno per cui gli uomini riconoscono — per una grazia potente, per un dono potente — di che cosa son fatte le cose, gli uomini e le cose, di che cosa la realtà è fatta: è fatta di Cristo. La gloria di Cristo è la scoperta di ciò di cui la realtà è fatta; diventa la fine di una menzogna: la fine di una illusione che, portata avanti con accanimento, si chiama menzogna.
È esattamente il contrario di quello che parrebbe: che sia menzogna l’aldilà. Mentre è menzogna l’aldiqua. Siamo inescusabili perché — è chiaro! — le cose dell’aldiqua vanno a finire, finiscono, perciò non sono fatte di sé, niente si fa da sé, dunque tutto è fatto. Ma fissate lo sguardo su qualunque cosa: in qualunque momento non c’è un istante in cui una sola cosa fra i miliardi, miliardi, miliardi di cose che ci sono, si faccia da sé, niente. Invece, se c’è una cosa evidente, la cosa più evidente di tutte, terribile, è che in questo momento tu non ti fai da te: "Neanche un capello del vostro capo potete aggiungere" (Cfr. Mt 6,27; Lc 12,25) — lo dice Gesù.
La gloria di Cristo è l’istante in cui un uomo capisce che tutto è fatto di Cristo; lo grida: si chiama testimonianza. È il compito per cui uno è chiamato alla verginità, per cui tutti son chiamati alla verginità, in modo vario, e la fine della storia sarà quando tutto l’universo umano riconoscerà questo (…).
Le riflessioni di don Giussani ci aiutano a imboccare nella giusta direzione l’ultimo snodo del nostro ragionamento, Abbiano visto che l’ordine presuppone l’intelligenza (possiamo mescolare il mazzo mille volte, ma non le carte ci verranno mai fuori nella giusta sequenza, distribuite per seme e per valore, una dopo l’altra); che l’intelligenza presuppone un fine, perché un’intelligenza priva di scopo è come uno strumento che gira a vuoto, e quindi sarebbe il contrario di ciò che è una vera intelligenza; e che il fine assegnato alle menti finite è quello di conoscere e adorare Dio, mentre il fine dell’Intelligenza Suprema è quello d’irradiare ovunque i raggi luminosissimi del suo amore. L’Intelligenza Suprema si distingue dalle intelligenze finite non solo per sua estensione e perfezione che sono, appunto, infinite, ma anche per la sua natura intrinseca. La natura di una intelligenza finita è essenzialmente logica e calcolante, e la sua forma più alta è la matematica pura; la natura dell’Intelligenza Infinita è una fusione ineffabile di logica e di comprensione profonda dove per comprensione s’intende una forma di conoscenza integrale, che è resa possibile solo dall’amore. Un’intelligenza finita può essere ben fornita di logica e capacità speculativa, tuttavia può mancarle quel supremo coronamento che è l’amore, la benevolenza disinteressata, e perciò rimanere simile a una macchina, fredda e sterile. L’Intelligenza Infinita è per sua natura "calda": si effonde incessantemente e inesauribilmente e non si attenua mai, non si raffredda mai, non diminuisce la sua forza per il fatto di donarsi a tutti. Se l’universo esiste, se le cose esistono, se invece del nulla c’è qualcosa, è perché la Causa Prima è innanzitutto Amore, e l’amore perfetto, per sua natura, non può che espandersi, senza consumarsi mai. Le intelligenze finite, invece, calcolano sempre il rapporto fra mezzi e scopo, secondo un criterio di convenienza; e, se trovano il profitto è minore della spesa, interrompono immediatamente ciò in cui erano impegnate. Solo Dio non cessa mai di donarsi, non desiste dall’effondere amore, anche se gli uomini mal vi rispondono; tanto che, per ricondurli a Sé, Dio ha scelto di assumere la natura umana e di sacrificarsi per mostrare loro il vero fine dell’esistenza. Solo un Amore perfetto, inesauribile, poteva arrivare a tanto; nemmeno dio o gli dei, nelle religioni non cristiane, si mostrano capaci di un amore così tenero, così radicale, così sconvolgente. Dio che s’Incarna, che soffre e muore per amore degli uomini, e poi risorge per redimerli, un Dio così grande, così amorevole, così generoso, non lo s’incontra se non nella Persona di Gesù Cristo. Nessun altro dio è capace di tanto; i falsi dei sono sbaragliati tutti quanti, perché, alla prova dei fatti, nessuno di loro è disposto a salire sulla croce per amore di un’umanità egoista, ingrata e irriconoscente.
Il senso della vita, dunque, è capire qual è il fine di tutte le cose. Il fine di tutte le cose è Dio: e non un dio qualsiasi, non un dio fabbricato dalla mano dell’uomo, e concepito da pensieri umani; ma il vero Dio, l’ineffabile, l’inconoscibile, che pure ha voluto rivelarsi e farsi conoscere, perché traboccante di amore nei confronti delle sue creature. Come dice san Paolo nella Lettera ai Romani (8, 19-24):
La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità – non per suo volere, ma per volere di colui che l’ha sottomessa – e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Poiché nella speranza noi siamo stati salvati.
E come gli uomini sperano di entrare nella gloria dei figli di Dio, così riconoscere il vero Dio come autore di tutte le cose è rendergli giustizia, e quindi contribuire alla sua gloria. Come dice don Giussani, la gloria di Dio è quando l’uomo si rende conto di qual è il fine della sua esistenza e qual è il fine di tutte le cose che vi sono nell’universo: conoscere e glorificare Dio. E ciò avviene quando l’uomo si rende conto che tutto è fatto di Cristo e che Cristo è in ogni cosa. Come dice ancora san Paolo, splendidamente (Col. 1, 16-17):
Poiché per mezzo di lui
sono state create tutte le cose,
quelle nei cieli e quelle sulla terra,
quelle visibili e quelle invisibili:
Troni, Dominazioni,
Principati e Potestà.
Tutte le cose sono state create
per mezzo di lui e in vista di lui.
Egli è prima di tutte le cose
e tutte sussistono in lui.
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