Si può tradire la patria in guerra per amor di libertà?
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14 Luglio 2019Di Bindo Chiurlo (Cassacco, in provincia di Udine, lo stesso paese ove nel 1930 sarebbe nato Carlo Sgorlon, 13 ottobre 1886-Torino, 24 dicembre 1943), notevole poeta e critico letterario friulano, nonché fondatore, con Ugo Pellis, della Società Filologica Friulana, abbiano già avuto occasione di parlare un paio di volte (cfr. gli articoli: I Friulani sono così, pubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 10/10/17; e Omaggio alle chiese natie: S. Maria Vergine della Salute, il 08/09/18). Wikipedia gli dedica una breve "voce", omettendo fra l’altro di dire che morì, alla vigilia di Natale del 1943, sotto le bombe dei gloriosi liberatori angloamericani (insieme alla sua allieva e collaboratrice Anna Maria Marchesi, una giovane e promettente insegnante, la quale perì accanto al marito, mentre aspettavano un bambino); quasi che sia invece morto di raffreddore, nel suo letto. Qualcosa di più si trova nel Dizionario Biografico dell’Enciclopedia Treccani, alla "voce" curata da Gianfranco D’Aronco (vol. 25, 1981), e nel Dizionario Biografico dei Friulani, firmata da Rienzo Pellegrini. Ed è quest’ultimo a cogliere, fin dal titolo, la caratteristica essenziale della personalità di Bindo Chiurlo, che è stato, prima ancora che scrittore o critico letterario, un autentico educatire: Docente, critico, poeta. Dove "docente" va inteso nel senso più ampio del termine; e così pure "educatore": non solamente insegnante dedito all’istruzione dei giovani, ma formatore di coscienze e maestro di umanità.
Perciò tralasciamo, in questa sede, sia le raccolte di poesie, sia i saggi, come La letteratura ladina del Friuli, per soffermarci su un libro che è rimasto soprattutto nella coscienza dei giovani della generazione nata nella prima metà degli anni ’30: l’antologia scolastica Primo fiore, dedicata ai ragazzi della scuola media, e per la quale ebbe a collaboratrice A. Maria Marchesi. Probabilmente sono ormai ben pochi quelli che ne possiedono una copia, magari in qualche solaio o in qualche cantina; noi ne abbiamo una, conservata con amore, quella sulla quale studiò nostra madre, futura maestra elementare, quando essere maestra voleva dire, in tutti i sensi, qualcosa di più — sia detto senza offesa per le insegnanti di oggi — rispetto a ciò che la parola significa ai nostri dì. Se non altro perché l’allora Istituto Magistrale era una scuola superiore poco appariscente rispetto ai licei, ma di molta sostanza, nella quale insegnavano professori di prim’ordine e dove il latino, la filosofia, la storia, si studiavano con una serietà che oggi ben raramente si riscontra anche al classico; ma, ciò che più conta, si trasmetteva ai giovani e alle giovani un’idea altissima della missione magistrale, quando ancora esistevano scuole elementari sperdute in paesini di montagna dove non esisteva né la strada asfaltata per arrivarci, né la luce elettrica, e dove i bambini non avevano mai bevuto se non latte di capra, né mai visto un libro tranne quello di scuola e, forse, il Messale di famiglia (non la Bibbia, quella è una "novità" che sarebbe arrivata molto più tardi, dopo il Concilio Vaticano II). Scuola isolate, sperdute, dove le giovani maestre dovevano avere un po’ di eroismo, o di pazzia, per andare a seppellirsi, come appunto fece anche nostra madre, in attesa di ottenere un posto in una sede un po’ più comoda e vicina a casa.
Il volume antologico Primo fiore, di oltre 750 pagine, stampato su carta modestissima, ma arricchito dai disegni della pittrice Germana Tina, ella pure allieva del Chiurlo all’Accademia Albertina di Belle Arti a Torino, e arricchito da 18 tavole fuori testo con le riproduzioni di celebri opere pittoriche, vide la luce nel moneto più buio della nostra storia recente, la metà di novembre del 1944, per i tipi della Casa Editrice Idea di Udine, e dunque nel territorio della Repubblica Sociale, mentre gli eserciti angloamericani segnavano il passo sull’Appennino, lungo la Linea Gotica, e nella Valle Padana le popolazioni affamante, infreddolite, terrorizzate dagli attentati partigiani e dalle rappresaglie tedesche, ma più ancora dai quotidiani bombardamenti aerei, sia diurni che notturni, dei succitati liberatori, si apprestavano ad affrontare un altro, durissimo inverno di guerra. Le peggiori devastazioni causate dal terrorismo aero, infatti, Udine le avrebbe subite negli ultimi mesi di guerra, specie il 20 gennaio 1945, con la distruzione d’interi borghi; e intanto nei villaggi della Carnia si stabilivano i Cosacchi del Don e del Kuban, sotto la guida dell’ataman P. N. Krasnov, colà insediati dai tedeschi per dar loro una nuova patria; e nelle malghe di Porzus si consumava l’eccidio dei partigiani della Osoppo, rei di voler difendere il confine orientale dagli appetiti annessionistici di Tito e dalle atrocità perpetrate dai partigiani slavi contro gli italiani, ad opera dei partigiani comunisti delle brigate Garibaldi, inviati direttamente dal P.C.I, di Udine, come poi, a guerra finita, avrebbero stabilitole le carte processuali.
Che in quei mesi, in quelle condizioni, in mezzo a tali angustie e precarietà, una piccola casa editrice trovasse il modo di dare alle stampe, procurandosi chissà come quella carta un po’ giallina, una nuova antologia scolastica, affidandone l’ideazione e la realizzazione a un insigne scrittore e filologo locale (anche se da anni stabilito a Torino), non per chiuso provincialismo ma per la giusta coscienza di sé maturata dalla cultura friulana, nel contesto di quella italiana ma anche di quelle mitteleuropee – e Chiurlo era stato un pioniere in tal senso, fondando nel 1923 l’Istituto di Cultura italiana di Praga — tutto ciò ha dell’incredibile, e quasi del miracoloso. Eppure, chi ha studiato un po’ il clima di quegli anni tremendi, sa che il popolo friulano dimostrò una vitalità eccezionale; che non si lasciò piegare o demoralizzare né dalla fame, né dal freddo, né dalle bombe; che, pur non essendo un popolo particolarmente colto, o amante della lettura, non fu però insensibile al fascino della cultura e al gusto delle cose belle, neppure nei mesi e negli anni della guerra; e che, per esempio, nel gelido inverno del 1942, senza riscaldamento e con poco pane e companatico nello stomaco, gli udinesi facevano a gomitate — con tredici gradi sotto zero! – per entrare nei locali dell’Istituito Tecnico Zanon, oggi Scuola Media A. Manzoni, in Piazza Garibaldi, per assistere alle "serate futuriste" organizzate dall’incontenibile e infaticabile Filippo Tommaso Marinetti, rievocate più tardi dal giornalista Mario Quargnolo in un capitolo del suo libro Udine, o cara! (cfr. il nostro articolo: Un quadro al giorno: "Incuneandosi nell’abitato" di Tullio Crali (1939), pubblicato sul sito di Arianna Editrice il 21/04/08 e ripubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 12/10/17). Per dire com’erano i nostri nonni a quell’epoca: sottoalimentati, intirizziti, con un fratello o un padre impegnato sul fronte russo o sul fronte egiziano, o magari disperso nei cieli o nelle acque del Mediterraneo; eppure ansiosi di poesia, di bellezza, di cultura — e anche, senza dubbio, di una parola di conforto, di un po’ di speranza per il domani.
La Casa Editrice Idea, più tardi, sarebbe diventata la Casa Editrice Domenico Del Bianco e Figlio: figlio che poi era Giuseppe, il quale negli anni ’30 diresse una intensissima produzione di testi, specialmente scolastici, fra i quali ci piace ricordare l’innovativo manuale di lingua inglese scritto e illustrato da nostro padre, Maurizio Lamendola: Look, listen, speak, la cui prima edizione uscì nel 1958, la seconda nel 1960 e la terza nel 1962 (quest’ultima quando già la tipografia si era trasferita dalla sede al numero 6 di via Marinelli, in centro, presso il Palazzo delle Poste, a quella di via Spilimbergo, al civico n. 8, fuori le mura (a nord di Piazzale Osoppo, in una traversa di quel viale Principe Umberto che dopo la guerra e la caduta della monarchia, in omaggio ai gloriosi partigiani che tanto sangue dei vinti sparsero a ostilità ormai concluse, prese il nome altisonante di Viale Volontari della Libertà). Purtroppo la piccola, gloriosa casa editrice, che tanti bei libri ha pubblicato, compresa la memorabile collana sui Castelli del Friuli, per far conoscere ai friulani e agli altri italiani la cultura della Piccola Patria, non esiste più: ha chiuso definitivamente nel 2016, e il suo ricchissimo archivio è andato in gran parte disperso. Così lo Stato lascia morire non solo le nostre piccole imprese, ma anche il fior fiore delle culture locali. Ma di che meravigliarsi, in tempi come i nostri, quando perfino le banche, coi sudati risparmi dei nostri concittadini, falliscono più o meno onestamente, o vengono acquisite dai grandi gruppi finanziari stranieri; la stessa sorte, del resto, che subiscono ogni giorno decine e decine di negozi di piccoli commercianti, di bar, di trattorie, di imprese artigiane a conduzione familiare, sempre per la gioia e la trionfale espansione delle multinazionali?
Ma torniamo a Bindo Chiurlo quale figura esemplare non solo di scrittore e uomo di cultura, ma anche di educatore della gioventù. Ecco come l’editore, quasi certamente Giuseppe Del Bianco, presentava ai lettori l’antologia Primo fiore (Udine, 11 novembre 1944; pp. 6-7):
Che Bindo Chiurlo fosse adattissimo ad un’opera, come è questa "Antologia", di squisito valore educativo, chi lo conobbe ed apprezzò lo sa bene: noi editori abbiamo il dolore di presentarla, col rimpianto ch’egli non la possa vedere, quando vi spese i tesori del suo intelletto e del suo animo, ci preme far noto che a lui si deve il concepimento e l’ordinamento generale dell’Antologia, la scelta della massima parte dei brani, quasi tutte le notizie biografiche sugli autori, nonché parte del commento. Nulla si mutò di quanto egli dispose.
Per debito di gratitudine a lui, ora ch’egli è mancato, sentiamo il dovere di ricordarlo brevissimamente. Nato a Cassacco (Udine) nel 1886, laureato in lettere all’Università di Padova nel 1909, insegnò letteratura italiana a Macerata, Caltanissetta, Chieti, Jesi, Udine e Modena; volto a severi e geniali studi filologici e letterari, fu professore di letteratura italiana all’Università Ceca di Praga(dove diresse l’apprezzatissima "Rivista italiana di Praga"), quindi libero docente di letteratura italiana nella Università di Torino; in questa città morì il 24 dicembre 1943. Non si può qui neppur accennare alla sua attività propriamente scientifica: basti ricordare che egli (delicato e sensibile poeta, come attestano anche in questa Antologia brani appositamente composti per essa, che per ritegno egli formava col trasparente anagramma: Chino Lo Burdi, cui ora s’è sostituito il suo proprio nome) è non solo tra i maggiori illustratori della vita e della civiltà friulana, ma il primo che diede alla letteratura del Friuli, in lingua dialettale — poeta egli stesso — piena risonanza nella compagine del mondo letterario italiano; profondo conoscitore inoltre della intera cultura italiana ed esperto di quelle straniere, come attestano i vari suoi studi filologici e la "Rivista di Sintesi Letteraria" ch’egli fondò e diresse. Nel libro che presentiamo egli si rivela nell’aspetto di educatore delle coscienze, ch’era ben suo; ed alla propria missione di maestro egli particolarmente teneva, specialmente negli ultimi anni di guerra, che fermamente sopportò già malato per dolorosi postumi dell’altra (la quale lo colse ad Udine, dove funse da vicesindaco durante l’invasione del 1917-1918), tese i suoi sforzi e logorò la sua fibra soprattutto in codest’opera di educatore, solo apparentemente modesta. Egli la sentì come sacro dovere verso gli uomini e la patria; ma con la vera modestia dei valenti, egli fece velo a sé e alla sua opera, sempre.
Maria Marchesi, sua scolara dapprima al’Università di Torino, quindi, laureata in lettere nel 1937, sua preziosa collaboratrice, attese, seguendo la guida del maestro, a gran parte del commento, usando esperta cura; insegnante in scuole medie superiori, ella univa, nella sua giovane età, al fresco ricordo delle preferenze e dei gusti dei giovinetti, l’esperienza diretta della scuola e la capacità di valutare le difficoltà cui possono trovarsi di fronte le giovani menti nelle varie letture; e con limpida e diretta cultura, chiara esposizione e femminile amorevolezza diede opera al commento onde appianare loro ogni difficoltà e travaglio. Nello sventurato, aspro bombardamento aero del 4 giugno 1944 morì col marito, prossima alla maternità, lasciando grande rimpianto di sé.
Tutto quel che ci viene da dire è semplicemente questo: ne avessimo ancora, educatori della statura di un Bindo Chiurlo! Uomini (e anche donne, come la povera Maria Marchesi) i quali univano una solida cultura e una vasta esperienza della vita con un vero culto per l’impegno di educatori, che essi concepivano come un’altissima missione da svolgere in seno alla società, per formare non solo delle menti, ma sensibilità e valori, dei quali c’è assoluto bisogno perché la civiltà non si afflosci su se stessa e non si disgreghi, travolta dagli impulsi egoistici degli individui divenuti indifferenti al bene comune. Queste erano le cose che quegli educatori trasmettevano ai giovani; e lo facevano con l’esempio della professione e di tutta la loro vita, prima ancora che con le parole e con gli scritti. Purtroppo, finita la guerra, quella tensione ideale si è attenuata, si è lentamente dissolta; il circuito virtuoso della buona educazione, a cominciare dalle famiglie, s’è interrotto; sono prevalse le logiche individualistiche e gli appetiti egoistici. Ai Bindo Chiurlo, ai don Marchetti, ai presidi come Guido Capitolo (del quale abbiamo parlato in alcuni articoli precedenti) è succeduta la generazione dei Pasolini e dei don Milani, falsi educatori e cattivi maestri. Ma cosa sanno i giovani di oggi, di tutto ciò? Praticamente nulla. Quel che vien detto loro, a scuola e all’università, è che non c’è stato mai educatore più grande di don Milani, né intellettuale più impegnato e più ammirevole di Pasolini…
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