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Si deve ripartire dai seminari e dalle famiglie

La crisi della Chiesa è esplosa con la crisi del clero e da lì si è trasmessa all’insieme dei credenti; dunque, per prima cosa bisognerebbe intervenire sul clero per tentare di riformarlo. I luoghi nei quali si dovrebbe agire sono due: i seminari e la famiglia. Non c’è dubbio che i seminari, essendo il luogo di formazione dei sacerdoti, necessitano di una riforma radicale: sorti con il Concilio di Trento per dare alla Chiesa dei sacerdoti ben preparati sotto ogni punto di vista, intellettuale, spirituale, morale, si sono trasformati nell’esatto contrario, luoghi dove si perde la fede in Cristo e si diventa seguaci della sociologia, della psicologia, della teologia della liberazione e di cento eresie, da quelle di Rahner a quelle di Enzo Bianchi; e, quel che è peggio, dove s’impara a deridere e disprezzare millenovecento anni di Magistero e di sana pastorale. Se oggi i preti non vanno più a benedire le case e le famiglie, non è solo perché sono pochi e non hanno tempo, ma perché non credono all’efficacia reale della benedizione nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo; e perché, peggio ancora, considerano ciò alla stregua di una superstizione. E se sulle loro labbra spunta un sorrisetto d’ironia quando, nella conversazione, salta fuori l’argomento del soprannaturale, o quello del diavolo e delle possessioni, non è solo per ignoranza e superbia intellettuale, ma perché è stato insegnato loro a non credere a quelle cose, o a non considerarle importanti. E se rimproverano le donne della parrocchia che vengono a portare i fiori freschi, ogni giorno, per decorare l’altare della Santa Vergine Maria; se le prendono in giro; se dicono loro che l’azione concreta di carità verso il prossimo vale più di cento Rosari e di mille pellegrinaggi a Lourdes o a Fatima, non è solo per mancanza di sensibilità umana e per zelo di buone opere mal riposto e privo di discernimento, ma perché i loro professori, in seminario, a suo tempo li hanno educati a quel modo. A considerare perdita di tempo la preghiera, l’adorazione, ogni forma visibile di devozione ai Santi e alla Madonna; e che la sola cosa importante è la chiesa in uscita (non ce la facciamo proprio a scriverla con la lettera maiuscola, la mano si rifiuta di obbedire), la chiesa dei poveri, la pastorale di strada, l’accoglienza ai migranti, e così via. È da lì che vengono fuori le manifestazioni di disprezzo della spiritualità e di sopravvalutazione degli atti materiali; è da lì che viene fuori la moda di trasformare chiese e basiliche in sale da pranzo e dormitori (quando ci sarebbero migliaia di locali inutilizzati da destinare a tali cose). Ed è ancora da lì che vengono gesti blasfemi, come quello di David Maria Turoldo che spezza in pubblico la coroncina del Rosario e la getta a terra; o atteggiamenti politici travestiti da carità, come il giovane prete che sale a bordo della nave di Casarini per raccogliere migranti sulle coste della Libia e scaricarli nei porti di casa nostra, con l’alto patrocinio del suo vescovo.

È da lì che vengono i preti come don Olivero, che sopprimono il Credo durante la santa Messa, affermando di non crederci; o come don Farinella, che abolisce la santa Messa di Natale per solidarietà con i migranti; o come don Carrega, che tiene corsi di educazione all’affettività (cristiani? cattolici?) per le coppie gay; come don Scquizzato, che si augura di vedere abolita al più presto una preghiera brutta e diseducativa come l’Atto di dolore; come quel prete del Goriziano che fa da testimone di "nozze" a un capo scout che si sposa, in municipio, con un uomo, e critica il suo parroco che non è d’accordo, col risultato che quest’ultimo, alla fine, viene trasferito d’autorità dal suo arcivescovo; come quel prete di Palermo che invita una coppia di donne lesbiche a presentarsi ai fedeli, durante la santa Messa, sull’altare, e le indica come esempio di vero amore, non senza auspicare che la Chiesa si adegui al più presto all’indirizzo della legislazione civile e che santifichi anch’essa, con il Sacramento del matrimonio, quelle bellissime unioni. E siccome i preti poi diventano vescovi, è da lì che i vescovi imparano a celebrare il Sacrificio eucaristico con l’ananas al posto del pane, fra uno stuolo di danzatrici indù che celebrano il dio Siva — una incarnazione del demonio – davanti all’altare, per far vedere quanto sono multiculturali e dialoganti, come il vescovo di Rodez (Francia); o ad esporre dei Crocifissi capovolti nelle loro chiese, destinandoli a orologi, o anche delle rane crocifisse — chiaro simbolo satanico -, nonché a pavoneggiarsi con casuale di plastica trasparente, per sfogare tutto il loro narcisismo, come in quel di Innsbruck; o a mettere a disposizione e le loro chiese e cattedrali per allestire spettacoli di musica e ballo in favore del transessualismo e far sì che artisti ispirati dal Maligno possano esibirsi sotto le volte, là dove si celebra il mistero della Presenza Reale di Cristo, come a Santo Stefano a Vienna; e così via. Potremmo seguitare per pagine e pagine: alla galleria degli abusi e degli orrori non manca più nulla, eppure si arricchisce ogni giorno di qualche nuovo episodio.

Abbiamo parlato con parecchi sacerdoti e tutti ci hanno detto la stessa cosa: a partire dagli anni del Concilio, nei seminari è avvenuta una rivoluzione, che, non percepita all’esterno, fra i laici, nel giro di qualche anno ha cominciato a dare i suoi frutti velenosi. Ai giovani seminaristi, quelli che erano rimasti — perché è da allora che incomincia l’esodo, e oggi moltissime diocesi non hanno più uno straccio di seminario, perché non hanno quattro vocazioni in tutto (a proposito di locali vuoti e inutilizzati…), e se per caso ne hanno, inviano quei giovani altrove e mettono insieme dei "seminari interdiocesani" che raggruppano tre o quattro diocesi diverse – si è smesso di far lezione sulla teologia di san Tommaso d’Aquino, anzi si è proprio smesso di fare teologia, e la si è sostituita con corsi sull’ateismo, corsi sull’azione sociale, corsi sui problemi dei migranti, eccetera. I professori, in molti casi, hanno smesso di presentarsi con la dovuta autorevolezza; hanno aperto alla didattica delle battute umoristiche, degli scherzi di dubbio gusto; hanno fatto a gara coi loro studenti nel mostrarsi perplessi e confusi davanti alla realtà odierna. In certi seminari, i giovani studenti si son sentiti dire dal loro insegnante: Non chiedetemi cosa vuol dire essere prete e come si fa a diventarlo, perché non ne ho la minima idea. Carino, vero? Credevano, probabilmente di essere accattivanti, di stimolare i giovani a darsi da fare in prima persona: di fatto, hanno distrutto quelle poche certezze che avevano spunto quei giovani a rispondere alla chiamata religiosa. Anche nelle scuole laiche si sono verificati episodi del genere, ma nei seminari si è toccato e oltrepassato il ridicolo e lo sconcio. Ve lo immaginate un professore di latino, o di matematica, o di filosofia, dire ai suoi studenti, il primo giorno di lezione: Non chiedetemi a cosa serve il latino, a cosa serve la matematica o perché si studia la filosofia, perché non ne ho la più pallida idea? Certo, qualche risatina, qualche strizzatina d’occhi ci saranno di sicuro; ma quale utilità didattica potrà avere un tal modo di porsi? E quali frutti darà una tale svilimento della loro disciplina, da parte degli stessi professori? Nei seminari, ripetiamo, si è andati anche oltre: si è giunti al dileggio e allo sberleffo della tradizione, alla parodia del sacro; si è giunti a festeggiare il Carnevale indossando i paramenti liturgici solenni, e ciò sotto lo sguardo divertito dei professori. Che cosa si voleva trasmettere, con simili atteggiamenti? Evidentemente, il disprezzo e l’odio per ciò che la Chiesa è stata per secoli e secoli; l’odio e il disprezzo per la "vecchia" figura del prete, quell’omino buffo e anacronistico, che se ne andava in giro con la talare lunga fino ai piedi, e che dedicava gran parte del suo tempo a cose inutili, o secondarie, come recitare i Vespri e il Rosario, o all’Adorazione Eucaristia, o a confessare le anime. Figuriamoci, tutte quelle ore chiuso nel buio del confessionale, quando ci sarebbero tante cose da fare, là fuori, nel mondo: ospitare dei migranti in canonica; organizzare corsi di affettività per gli invertiti; coinvolgere i giovani nel dialogo multiculturale e inter-religioso, facendo venire i protestanti della comunità di Taizé e facendo la Comunone tutti insieme, allegramente e disinvoltamente, così da far capire ai giovani, una volta per tutte, come dice il signor Bergoglio che Dio non è cattolico.

Né a queste cose si è limitata la contro-pedagogia e la contro-iniziazione attuata nei seminari cattolici a partire dal Concilio Vaticano II. La cosa più grave è che si è fatta passare l’idea che ogni sacerdote decide da sé cosa è buono e giusto fare o dire in ogni campo, dalla liturgia alla pastorale, e perfino alla dottrina. Si sono incoraggiati i seminaristi a regolarsi secondo le circostanze, a inventarsi qualcosa che incontri il gradimento dei fedeli, a saltare riti e tradizioni per andare al nocciolo delle cose: cioè per metter su quel famoso, o famigerato, ospedale da campo, nel quale, come dice Bergoglio, si curano le ferite delle persone: senza ombra, non diciamo di dottrina cattolica e di spirito cristiano, ma anche solo di una qualunque forma di spiritualità. Fare, fare, fare; pregare non importa, adorare è una perdita di tempo; fare, agitarsi, correre di qua e di là: ma soprattutto non chiedere consigli, né permessi. Cosa fa un bravo medico, in un ospedale da campo: si chiede forse, sotto il rombo del cannone, se possiede le competenze necessarie per amputare una gamba, per ricucire un braccio? No: taglia, cuce, osa, rischia, anche senza disinfettati, anche senza infermieri, anche con le mani sporche: perché l’importante è fare, non fermarsi a riflettere; fare perché il lavoro è tanto e le chiacchiere stanno a zero. Ed è così che i futuri sacerdoti si sentono autorizzati, anzi, si sentono spronati e stimolati a improvvisare ciascuno la sua pastorale, ciascuno la sua liturgia; senza chiedersi se ciò sia buono, senza tener conto delle norme stabilite, senza domandare il permesso ad alcuno. Autorizzare una processione del dio Ganesha, quello dalla testa d’elefante, dentro la propria chiesa? Ma certo; perché no? Non si dice sempre che la chiesa deve essere accogliente, che deve essere inclusiva, che deve dialogare con tutti? E non ha sottoscritto, il sedicente papa, un solenne documento, insieme agli islamici, nel quale si afferma che è Dio stesso a volere l’esistenza delle diverse religioni? Certo, si rischia di andar fuori dal seminato, di tradire la dottrina. Ma cos’è mai questa dottrina? La legge è fatta per l’uomo e non l’uomo per la legge, dicono questi nuovi professori nei seminari; e così anche la dottrina è fatta per gli uomini e non gli uomini per la dottrina. Dunque, una riforma dei seminari dovrebbe partire da una bonifica radicale di tutte queste cose. Molti lamentano che i seminari son diventati troppo pochi; noi pensiamo invece che siano troppi. A che serve un "seminario" dove s’insegnano tali eresie e tali stupidaggini? È meglio che ce ne siamo ancora di meno, che ce ne siano pochissimi, ma che in quei pochissimi operino dei professori come si deve e regni lo spirito autentico del cattolicesimo. Lo spirito di sempre, di Trento, del Vaticano I, di san Pio X, di Leone XIII, di Pio XII; lo spirito che ha fatto grande la Chiesa e ha dato luce e conforto a generazioni di credenti.

Tuttavia i seminari, non scordiamolo mai, sono solo il luogo di formazione dei futuri sacerdoti; le vocazioni alla vita religiosa sorgono prima, e sorgono nelle famiglie. È nelle famiglie che i bambini, gli adolescenti, incominciano a interrogarsi se Dio, per caso, non li stia chiamano alla vita sacerdotale. E qual è lo stato di salute delle famiglie cattoliche, oggi? Una cosa è certa: come ci vogliono dei seminari adeguati, così ci vogliono delle famiglie dove la fede cattolica sia qualche cosa, sia un orientamento interiore che ispira la vita, e non una facciata senza sostanza, non parole e formule esteriori — e spesso nemmeno quelle. Certo, vocazioni alla vita religiosa è difficile che sorgano nelle famiglie arcobaleno o come le si voglia chiamare. L’esempio dei genitori, il loro stile di vita, la loro spiritualità, la loro coerenza, la loro concordia nell’educazione dei figli e il reciproco amore e rispetto: queste cose sono indispensabili perché un bambino o un adolescente incominci a farsi quella tale domanda. Per sentire la chiamata di Dio, bisogna che veda nella vita dei suoi genitori cosa vuol dire prendere Dio sul serio, cosa vuol dire fare del Vangelo la base della propria esistenza. Ce ne sono ancora, famiglie così? Noi crediamo di sì. È di moda essere pessimisti; ma quel che noi abbiamo visto, nel corso di tanti anni d’insegnamento, è che la maggior parte delle famiglie italiane, oggi, specie in provincia, sono fondamentalmente sane. Attanagliate da cento problemi e difficoltà, anche di natura economica; però moralmente e spiritualmente sane. Certo, i pessimi esempi e le distruttive teorie della modernità stanno cominciando ad insinuarsi, come il serpente che striscia nell’erba del giardino; però la situazione è migliore di quel che non si creda. Ciò di cui vi è bisogno, sono le guide. C’è bisogno che i preti tornino a fare i preti, e non gli operatori sociali; e che i genitori tornino a fare i genitori, e non gli amici dei loro figli. C’è bisogno che ciascuno si assuma la propria responsabilità; e che gli adulti la smettano di eludere le proprie, scaricando sui giovani delle responsabilità alle quali non sono preparati, perché non hanno avuto né gli insegnamenti, né soprattutto gli esempi necessari ad affrontarle. E perché tutto questo avvenga, c’è bisogno di preghiera. Dobbiamo farci passare i fumi della sbornia modernista, dimenticare l’orribile stagione dell’anarchismo liturgico e pastorale, della confusione dottrinale eretta a sistema. I cristiani devono smetterla di voler piacer al mondo, e convincersi che, se piacciono al mondo, allora non sono più dei veri cristiani. Quante volte Gesù ha detto e ribadito questo concetto! Ha forse promesso ai suoi seguaci l’applauso delle folle? Al contrario: ha profetizzato incomprensioni e persecuzioni. Ma di ciò, un vero cattolico deve andar fiero. Se dispiace al modo, allora piace a Dio…

Fonte dell'immagine in evidenza: RAI

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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