
«Oggi che tutto crolla»: Preziosi, attualità di un dannato
30 Giugno 2019
Cadorna, Caporetto, il fascismo: una pagina aperta
1 Luglio 2019In una società basata sulla comunicazione, non è vero ciò che è vero, ma è vero ciò che viene detto e ripetuto come vero. Il segreto è ripetere: battere e ribattere incessantemente, fino a ottenere il totale condizionamento delle mente. Repetita iuvant, dicevamo i romani, anche se in un senso diverso e cioè con riguardo all’educazione: bisogna ripetere una cosa tante e tante volte affinché entri bene nella testa della gente (meravigliosa sinteticità del latino: bastano due parole per esprimere un concetto che, in italiano, ne richiede una quindicina). È il segreto della pubblicità, e la pubblicità è non solo una particolare tecnica commerciale, ma la base di tutto il sistema dell’informazione, comprese le sue finalità: vendere un determinato prodotto, che in questo caso è la notizia, e fare gli interessi di qualcuno, che in questo caso è il proprietario del mezzo d’informazione. Per i giornali e i telegiornali, per il cinema e la letteratura, per la scuola e l’università, per il sistema sanitario e l’industria farmaceutica, per lo sport e i suoi finanziatori, insomma per tutto, fino alle agenzie per i viaggi nello spazio e alle o.n.g. teoricamente dedite a scopi umanitari, lo schema è sempre quello: c’è qualcuno che paga e che si tiene nell’ombra, non rivelando apertamente i suoi scopi; ci sono dei mezzi d’informazione che ripetono, ripetono determinate cose fino all’ossessione, presentandole come la pura verità; e c’è una massa amorfa e inconsapevole che si comporta come le viene suggerito di fare. Che poi si tratti di una massa di consumatori che acquistano avidamente prodotti firmati, dei quali non hanno alcuna necessità; o una massa di studenti, che impara a memoria e ripete come un disco rotto ciò che sta scritto nei libri di storia, ad esempio che milioni di persone furono liquidate nelle camera a gas naziste, anche se nessuno ha mai visto una camera a gas e anche se la cosa sarebbe stata, e sarebbe, materialmente impossibile; o che si tratti di una massa di risparmiatori, indotti a fidarsi sull’uso dei loro risparmi da quelle stesse agenzie bancarie che impono al mondo intero le leggi della finanza speculativa, con tutte le naturali conseguenze, specie la formazione del debito pubblico come strumento di ricatto internazionale, è sempre lo stesso schema. Si tratta di operare un tale lavaggio del cervello, un tale condizionamento mentale, da creare, alla fine, dei vero e propri riflessi condizionati, affinché le persone (ma a quel punto non sono più persone: sono bestiame, carne da macello) scattino come cani ammaestrati al suono del campanello, e si comportino esattamente così come sono state programmate per comportarsi. Le parole-mantra del politically correct sono la cartina al tornasole per verificare se il lavaggio del cervello è stato condotto a termine con successo: provate a parlare di razzismo, di fascismo, di populismo e di sovranismo con qualcuno, e osservate come reagisce: se gli si forma istantaneamente la saliva in bocca, se si agita e scatta senza prendersi un secondo per riflettere, se rifiuta di ascoltare un ragionamento pacato e razionale ma si comporta in maniera scomposta e puramente emotiva, come un toro davanti al quale venga agitato un panno rosso, allora ciò significa che il lavaggio del cervello è stato condotto a termine con pieno successo e che costui è diventato un perfetto burattino nelle mani di chi controlla il potere mediatico, cioè il grande capitale finanziario.
C’è una data che segna l’inizio di questo processo di controllo mondiale da parte di un potere occulto, il 1694, allorché venne fondata la Banca d’Inghilterra e prese piede la pratica di creare denaro dal nulla da parte di soggetti privati lasciati liberi di stampare moneta in regime di monopolio (cfr. il nostro articolo Agli esordi della Banca d’Inghilterra, fra tragedie umane e affaristi senza scrupoli, pubblicato sul sito della Accademia Nuova Italia il 17/12/17); tutto il resto, tutto quel che è accaduto poi, non ne è che la naturale conseguenza. Il lavoro, il risparmio, l’amministrazione, la politica, la cultura, l’abbigliamento, l’alimentazione, la tutela della salute, lo svago ("l’industria del tempo libero"), tutto soggiace alle regole (deviate e devianti) dell’assunzione di questo principio. Chi stampa la moneta controlla il mercato e chi possiede i mezzi d’informazione controlla l’immaginario collettivo; le due cose, la finanza e l’informazione, combinandosi, determinano il potere mondiale, quello vero e non quello apparente della politica o degli eserciti. Perciò, ad esempio, per sapere chi ha vinto realmente una guerra, non basta considerare chi ha occupato il territorio di chi, e cosa c’è scritto nei trattati di pace; bisogna osservare chi è padrone delle banche e dell’informazione al termine del conflitto, cioè chi controlla il denaro e le notizie.
Ora, da molto tempo, sia le banche che i mezzi d’informazione non sono più sotto il controllo, diretto o indiretto, da parte degli stati, ma sono completamente nelle mani di soggetti privati. Questi soggetti privati perciò controllano, direttamente o indirettamente, i governi, e attraverso i governi gli stati, e attraverso gli stati i cittadini, in tutte le forme della loro esistenza, dal lavoro al risparmio e dalla sanità all’istruzione. La superpotenza dei nostri tempi, gli Stati Uniti d’America, si trova completamente sotto il controllo di questi soggetti privati, i quali hanno un potere decisivo sia nell’ambito della finanza, sia in quello dell’informazione. Nulla sfugge al loro controllo perché, con la globalizzazione progressiva dei mercati, processo che inizia appunto dal 1694, tutti gli spazi sono stati occupati e al cittadino non rimane alcuna possibilità di sottrarsi al sistema, neppure se decidesse di fare la vita di Robinson Crusoe, ritirandosi in un’isola deserta. Ciascuno di noi è, di fatto, totalmente controllato, anche se crede di essere libero. Ma, si dirà, si odono pur sempre delle voci dissidenti. È vero, ma sempre all’interno del sistema: sono quelle voci che chi ha il controllo dell’informazione (e del mercato) decide di lasciar parlare, sempre per i suoi scopi reconditi, che sono ben diversi da quelli apparenti. Un esempio eloquente: lo scopo dichiarato delle o.n.g. che agiscono nel Mar Mediterraneo è salvare le vite dei naufraghi. Ma quali naufraghi, quali vite da salvare? Basta riflettere che tali o.n.g, sono finanziate da uomini come George Soros per capire quali sono i loro veri intenti, al di là del grado soggettivo di buona fede, maggiore o minore, di quelli che operano in esse. La capitana del Sea Watch Carola Rackete, da parte sua, può dire ciò che vuole: che non poteva agire diversamente da come ha fatto, non poteva che puntare su un porto italiano (e non libico, maltese o tunisino), non poteva che disobbedire alle intimazioni della Guardia di Finanza e speronare addirittura una sua unità, pur di raggiungere lo scopo: ottenere lo sbarco per la gente che aveva preso a bordo. Anche i giornalisti televisivi, da parte loro, quando fanno i loro servizi strappalacrime sulle condizioni terribili in cui versano i migranti a bordo delle navi che vengono trattenute fuori dai porti a causa della politica del governo giallo-verde, possono raccontarla — e raccontarsela – come vogliono, ma è abbastanza chiaro che essi dicono ciò che vien detto loro di dire. Chi paga lo stipendio ai "volontari" delle o.,n.g., chi paga lo stipendio ai giornalisti per dire quello che stanno dicendo? Il datore di lavoro, chiamiamolo così, è sempre lo stesso: e non ci vuol molto per capire di chi si tratti.
Dunque, sorge un problema che potrebbe sembrare puramente filosofico, ma che in realtà è anche terribilmente pratico: che cosa rimane della verità, in una situazione complessiva di questo tipo? Chi controlla l’informazione, il sistema scolastico e la cultura tende a far passare l’idea che la verità non esiste e che chi sostiene il contrario è un fascista, bramoso d’imporre a tutti quanti la sua verità; perché la verità, in effetti, si riduce al punto di vista dei diversi soggetti, come in un dramma di Luigi Pirandello o come accade nel film Rashōmon (1950) di Akira Kurosawa, tratto da un racconto di Ryūnosuke Akutagawa (1916). Si è ottenuto così lo scopo di abolire l’idea stessa della verità, e, nello stesso tempo, di incoraggiare un modo di pensar puramente soggettivo. Dal soggettivismo all’emotività sistematica e programmata, il passo è breve: al pensiero si sostituiscono le emozioni, alle idee i (buoni) sentimenti, e il gioco è fatto. Non è vero ciò che è vero, ma è vero ciò che racconta Hollywood. Per sapere come nacque lo Stato d’Israele, ignorando del tutto il punto di vista arabo palestinese, la gente pensa al film Exodus (1960) del regista Otto Preminger, interpretato dal bel Paul Newman, dall’aria leale e gli occhi azzurri come un lago ghiacciato. Otto Premiger era ebreo e Paul Newman era ebreo; il film era tratto dal romanzo omonimo di Leon Uris, ebreo anche lui. Per sapere cosa fu il nazismo e come se la passavano gli ebrei nella Germania hitleriana negli anni antecedenti allo scoppio della Seconda guerra mondiale, la mente dell’uomo-massa non ventila neppure la possibilità di andare alla ricerca delle fonti, si accontenta di ripetere quel che ha sentito dire e in particolare quel che ha visto nel film di Charlie Chaplin Il grande dittatore. Chaplin era un omino simpatico e gentile e i nazisti erano degli energumeni irragionevolmente brutali. Pareva che la forza, bruta appunto, fosse dalla loro parte e non dalla parte degli omini simpatici e gentili; ma la forza vera della modernità è quella di chi controlla il denaro e l’immaginario della gente: dunque, la forza era nelle mani dei padroni di Hollywood. Processo che, oggi, prosegue inarrestabile e si è ulteriormente accentuato.
Ecco cosa dice Barnet Litvinoff, uno dei più apprezzati studiosi dell’ebraismo che è anche, guarda caso, un ebreo, nel suo libro Il roveto ardente, sottotitolo eloquente: Storia dell’antisemitismo (tit. or.: The Burning Bush. Antisemitism and Worl History, London, William Collins, 1988; traduzione dall’inglese di Isabella Farinelli e Francesca Piviotti, Milano, Mondadori, 1988, pp. 511-512):
Metà della popolazione ebraica mondiale è concentrate tra New York e la California, l’altra metà essendo dispersa in piccolo nuclei — e tra questi Israele — distribuiti sul globo. Gli ebrei si sono inseriti nell’industria dello spettacolo e in quelle sussidiarie con una tale autorità da non provare imbarazzo alcuno a esibirsi in caricature o cantare motivetti al cospetto di milioni di occhi. Di solito le macchiette alludono al contesto ebraico e chi le crea se ne vanta. In Woody Allen, nato Allen Königsberg, il mondo osserva l’ebreo sotto tutti gli aspetti del reietto — fisico imperfetto, amante sfortunati, uomo d’affari fallito, intellettuale frustrato — alla continua ricerca di un’ancora spirituale. L’uso eccessivi di simboli ebraici, caratteristico dello humour americano, tradisce una certa arroganza: "Cercate di capire, se ci riuscite".
Woody Allen appartiene a una scuola cinematografica che trasforma il tradizionale stereotipo del’ebreo in un’arma satirica sconfiggendo l’antisemitismo con il ridicolo. Altri si sono impadroniti della cultura ebraica per scopi più convenzionali, del tutto allineati con gli imperativi della comunicazione di massa. Nel musical "The Fiddler on the Roof" (Il violinista sul tetto), tratto in modo approssimativo dai racconti yiddish di Sholem Aleichem, dozzine di melomani inglesi indossano il costume da "hassidim" e il pubblico giudica la trovata accettabile sul palcoscenico quanto "La vedova allegra".
Più chiaro di così: Cercate di capire, se ci riuscite. Siamo arrivati a un punto tale che i detentori del potere occulto sfidano il pubblico a leggere le loro reali intenzioni: è quasi un test, per verificare a che punto è giunto il lavaggio del cervello. L’esito è, per loro, alquanto soddisfacente: il 99% della gente non coglie l’antifona, non si pone alcuna domanda e anzi non è neppure sfiorata dall’idea che vi sia un enigma da sciogliere. Non si creda che stiamo parlando solo di un certo ambito politico, economico o culturale: stiamo parlando letteralmente di tutto. Prendiamo il caso della Chiesa cattolica. Quanti cattolici si son resi conto che, dal Concilio Vaticano II, il B’nai B’rith si è insinuato nella loro Chiesa e nella loro fede e che sta dettando ad essi la sua agenda? A stabilire in che cosa dovevano credere: ad esempio, che Gesù Cristo è venuto per la salvezza di tutti gli uomini, ma non per gli ebrei, i quali avevano già la loro particolare "alleanza" con Dio; che cosa devono pensare delle altre religioni: guarda caso, anzitutto del giudaismo (vedi la Nostra aetate); e davanti a chi devono piegare le ginocchia: non davanti a Gesù Cristo (il signor Bergoglio non lo fa mai), bensì davanti alla memoria dei Sei Milioni? E perfino a decidere chi è degno di esser proclamato santo dalla Chiesa cattolica e chi essendosi macchiato dell’imperdonabile colpa dell’antisemitismo, come padre Léon Dehon, che doveva esser innalzato agli altari il 24 aprile 2005, ma poi è arrivato il veto del giudaismo, e non se n’è fatto più niente? Anzi, perfino a decidere se un santo deve essere cancellato dal calendario, come è accaduto nel caso di San Simonino da Trento (cfr. i nostri articoli: Alcune brevi considerazioni sui concetti di sionismo e antisemitismo, pubblicato sul sto di Arianna Editrice il 02/04/08 e ripubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 22/11/17, e Dove vogliono arrivare i cattolici come don Iginio Rogger?, rispettivamente il 27/05/15 e il 19/01/18). E quanti cattolici si sono resi conto che Bergoglio non poteva e non doveva essere eletto papa; che non è papa, perché non agisce da papa; che non è cattolico, perché non parla né agisce da cattolico; che è, semmai, un aperto nemico della Chiesa cattolica e della religione di Gesù Cristo? Eppure da anni, anzi fin dal primo giorno della sua (illecita) elezione egli sfida la folla dei credenti, ora rifiutandosi di dare la benedizione, ora proferendo eresie e bestemmie, e sempre con l’aria di dire: Cercate di capire, se ci riuscite. Ma quanti capiscono?
E in queste condizioni ha senso parlare ancora della verità? Certamente; ed è un preciso dovere di ciascuno: intanto sul piano filosofico, perché la verità è l’Essere, è una sola e non può essere contraffatta; poi anche su quello spirituale, etico e religioso, perché la Verità è Dio stesso. E non un dio qualsiasi, ma il dio annunciato Gesù Cristo e che è Dio Egli stesso, il quale dice: Io sono la via, la verità e la vita.
Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Christian Lue su Unsplash