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Le radici teologiche del peccato contro natura

C’è un brano de Nuovo Testamento che si pone come un macigno attraverso la strada della contro-chiesa bergogliana, massonica e gay-friendly; un brano che da tempo è fonte d’imbarazzo, di fastidio e di aperta ostilità; e che prima o poi qualche James Martin o qualche Nunzio Galantino si deciderà a prender di petto, dichiarandolo superato e sconveniente, frutto d’una mentalità imbevuta di pregiudizi omofobi e non rispondente all’autentico spirito del Vangelo di Gesù, spirito di accoglienza, inclusione e piena accettazione: è quel famoso passo del primo capitolo della Lettera ai Romani in cui l’Apostolo delle genti descrive con parole di fuoco il peccato contro natura, allora molto diffuso fra i pagani, e soprattutto fornisce una precisa spiegazione teologica, morale e spirituale di esso.

La descrizione del peccato e l’anatema contro i peccatori è contenuto nei versetti 18-32, che sono molto vigorosi, anche dal punto di vista letterario (testo CEI 1974):

In realtà l’ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell’ingiustizia, poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha loro manifestato. Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità; essi sono dunque inescusabili, perché, pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa. Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti e hanno cambiato la gloria dell’incorruttibile Dio con l’immagine e la figura dell’uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili.

Perciò Dio li ha abbandonati all’impurità secondo i desideri del loro cuore, sì da disonorare fra di loro i propri corpi, poiché essi hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno venerato e adorato la creatura al posto del creatore, che è benedetto nei secoli. Amen.

Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; le loro donne hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura. Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo così in se stessi la punizione che s’addiceva al loro traviamento. E poiché hanno disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balìa d’una intelligenza depravata, sicché commettono ciò che è indegno, colmi come sono di ogni sorta di ingiustizia, di malvagità, di cupidigia, di malizia; pieni d’invidia, di omicidio, di rivalità, di frodi, di malignità; diffamatori, maldicenti, nemici di Dio, oltraggiosi, superbi, fanfaroni, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza cuore, senza misericordia. E pur conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non solo continuano a farle, ma anche approvano chi le fa.

Riportiamo la riflessione di Henri Maurier, teologo e sacerdote che è stato missionario in Africa e ha scritto alcuni libri sulle religioni primitive e sulla cultura africana, nel volume Teologia del paganesimo: il classico libro che si "spiega" con la data, perché, dopo il Concilio, libri del genere si fanno sempre più rari e infine scompaiono del tutto, mentre prima erano la regola; il che fornisce un’ulteriore prova indiretta del fatto che il Concilio è stato una rottura decisiva nella dottrina cattolica e nella visione cattolica del mondo (titolo originale: Essai d’une théologie du paganisme, Editions de l’Orante, Paris, 1965; traduzione dal francese a cura dell’Ufficio Studi della Casa di Carità Arti e Mestieri, Torino, Gribaudi, 1968, pp. 228-231):

Ora perversione dell’idolatria è parallela a quella morale e sessuale. In tutta la Rivelazione si nota fra Dio e la sua creazione o fra Dio e il suo popolo una relazione nuziale, e Paolo vi allude in Rm 9,25. L’infedeltà a Dio è chiamata adulterio o prostituzione In 1 Cor 11,3.7-12 l’Apostolo mostra che se "la donna è stata tratta dall’uomo, l’uomo a sua volta nasce dalla donna" e tuttavia "l’uomo è l’ immagine e il riflesso di Dio, la donna il riflesso dell’uomo; infatti l’uomo non è stato tratto dalla donna ma la donna dall’uomo, e l’uomo non è stato creato per la donna ma la donna per l’uomo.". Invertendo il rapporto Dio-uomo, l’idolatria inverte anche il rapporto uomo-donna. L’omosessualità è la conseguenza logica dell’idolatria e ciò che la rivela. S. Paolo spiega ai vv. 26-27 ciò che aveva detto con poche parole al v. 24: "disonorano i propri corpi". Questi costumi sono effettivamente esistiti. La perversione morale enunciata ai vv 28-32 concerne soprattutto i rapporti degli uomini fra di loro. Abbiamo visto che tale perversione era molto diffusa tra i pagani. In tutta la Scrittura, invece, la Rivelazione di Dio come Salvatore è accompagnata da una rivalorizzazione dei rapporti umani. Cristo dirà che l’amore di Dio e l’amore del prossimo formano un solo comandamento; invece, l’infedeltà a Dio è accompagnata dall’odio e dallo sfruttamento degli altri. Sin dal primo peccato, l’odio di Caino per il fratello Abele diventa fratricida. Qui la logica è la stessa: la perversione idolatrica dà luogo alla perversione dei rapporti fra gli uomini: anziché amarsi, gli uomini si sfruttano e dominano gli uni altri. Il v 32 insiste di nuovo sulla cattiva coscienza dei pagani. Ciò che essi fanno, non lo fanno per ignoranza ma con piena conoscenza di causa; sapendo che Dio punisce i crimini con la morte, essi li commettono ugualmente e sono contenti di commetterli. Esaminiamo ora la portata di questa requisitoria. San Paolo procede per affermazioni massicce che dipingono a grandi tratti il mondo pagano ch’egli ha sotto gli occhi, e non ciascuna persona concreta. Egli non dà una descrizione completa del paganesimo, innanzitutto perché ignora del tutto il paganesimo estraneo al mondo greco-romano e poi perché — come fa del resto qualunque scrittore sacro — non intende condurre un’indagine scientifica. Ma non bisogna minimizzare l’importanza delle sue parole. S. Paolo sa di essere portatore della Parola di Dio, e pronuncia un giudizio di Dio sul mondo pagano, giudizio che dev’essere applicabile ad ogni specie di paganesimo. Obbligato a prendere gli elementi della sua descrizione dal mondo pagano che ha sotto gli occhi, ‘l’accusa profetica’ che proferisce ha tuttavia una portata universale. S. Paolo mette a nudo il peccato del pagano quando quest’ultimo è realmente idolatra; egli non gli rimprovera di avere una conoscenza vaga, incerta, incompleta di Dio, ma di non rendere grazie al Dio che egli conosce, per quanto poco possa conoscerlo. Ora questo peccato è universalmente diffuso. All’inizio può essere solo un moto d’orgoglio o di egoismo, ma raggiunge talvolta proporzioni gigantesche; sistematicamente voluto, è accompagnato da una perversione morale che Dio stigmatizza. V’è dunque in S. Paolo, come in tutta la Rivelazione, la convinzione che il peccato sia ovunque; anche se non ogni peccato è formalmente idolatra, esso contiene in germe un’idolatria. "La Scrittura ha tutto racchiuso nel peccato" (Gal 3,22); "Il peccato si è moltiplicato" (Rm 5,20); "Dio ha racchiuso tutti gli uomini nella disobbedienza" (Rm 11,32); "Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio" (Rm 3, 23). L’uomo è dunque abbandonato, venduto al peccato, racchiuso in esso: "il peccato ha regnato nella morte" (Rm 5,21); esso esercita una signoria, una dominazione (cfr. Rm 6,14), e ha i propri schiavi impotenti (cfr Rm 6,16). Un altro testo paolino (1 Cor 17,25) non è meno duro verso i pagani. Accontentiamoci di notarvi l’opposizione tra le ‘due saggezze’. Al v 21 Paolo parla di due regini: un regime antico di saggezza ed un regime nuovo ch’egli chiama "follia". Il primo corrisponde bene a Rm 1,19-20: Dio istaura un primo modo di salvare gli uomini, caratterizzato dalla ‘saggezza’, cioè appoggiato sugli atteggiamenti normali dello spirito umano; ma questo regime fallisce poiché "il mondo non ha affatto riconosciuto affatto Dio nella saggezza di Dio" (v. 21). Allora Dio ne stabilisce un altro: la follia del messaggio, cioè Cristo crocifisso; soluzione diametralmente opposta alla prima, benché i pagani non possano vedervi che insensatezza. Che il Cristo crocifisso sia una ‘follia’ è evidente per gli uomini peccatori; infatti il Cristo fa una scelta assolutamente opposta a quella degli uomini. Mentre Adamo vuol essere come Dio, egli "non conserva avidamente l’uguaglianza con Dio", ma si spoglia della gloria, dell’esaltazione, del nome per prendere una condizione di umile obbedienza.

Lo ripetiamo: un testo così, pubblicato nel 1965 ma riflettente ancora la sana teologia morale anteriore al Concilio, sarebbe stato difficilmente pubblicabile, per non dire pensabile, a partire dagli anni ’70 del secolo scorso. Chi oserebbe dire, oggi, che l’idolatria inverte il rapporto fra l’uomo e la donna, e che pertanto la diffusione dell’omosessualità è un indizio sicuro del paganesimo, inteso come rifiuto intenzionale di quella Verità divina che pur la ragione mostra agli uomini, ma davanti alla quale essi si rifiutano di renderle il debito onore? Il peccato d’inversione sessuale è dunque, per San Paolo ma anche per i sani teologi cattolici una conseguenza dello stravolgimento della relazione d’amore fra Dio e uomo. Così come gli uomini, accecati dall’orgoglio e dalla superbia intellettuale, non vogliono render lode a Dio, pur vedendolo e conoscendolo, e perciò non peccano per ignoranza, ma per un eccesso d’intelligenza, allo stesso modo essi non vogliono vedere la relazione naturale dell’uomo con la donna e della donna con l’uomo, per cui si accendono di passione fra loro, maschi con maschi e femmine con femmine, cambiando il naturale uso reciproco con l’uso contro natura. Pertanto l’omosessualità è una conseguenza dell’accecamento ed è il segno sicuro di un’umanità che si è allontanata da Dio. Quale teologo, quale vescovo, quale sacerdote di oggi oserebbe dire queste cose, proferire concetti simili, che pure sono espressi con tanta chiarezza e con precisione quasi imbarazzante da san Paolo? E non si dica che la condanna senza appello dell’omosessualità è una "fissazione" di San Paolo, perché essa è presente in tutta la Bibbia, sia l’Antico che il Nuovo Testamento. Non c’è niente da fare: questo è il classico caso in cui appare evidente che bisogna scegliere se si vuol essere cristiani o se si vuol essere moderni e, magari, "cristiani" moderni. La modernità , che disconosce la relazione dell’uomo con Dio, o che la strumentalizza per fare di Lui il garante e il benevolo testimone dei peccati e delle perversioni degli uomini, non solo non ammette che l’omosessualità sia vista come un grave peccato, ma addirittura la considera un segno di libertà, di auto-determinazione e legittima espressione di tendenze naturali (o innaturali, se si preferisce), insomma come una delle più tipiche forme che prende la volontà dell’uomo di essere norma a se stesso. Dio, a questo punto, diventa perfettamente inutile, perciò se avessero un po’ più di coraggio e di coerenza, tutti codesti teologi e preti modernisti dovrebbero trarre la logica conclusione che il cristianesimo è solo una bella favola e che l’uomo moderno è ormai grande abbastanza per farne a meno e camminare da solo. Ma poiché sono vili, preferiscono conservare un ipocrita velo di pudore e arrampicarsi sugli specchi per dire che Dio c’è e ci ama, ma secondo le nostre inclinazioni e i nostri gusti, che non condanna niente di ciò che è umano e che ama ciascuna persona per quella che effettivamente è, senza chiederle di cambiar vita né bisogno di una profonda conversione. In altre parole, per i cristiani moderni non c’è niente che distingua il cristiano dal pagano, perché la regola non è più quella di uniformare la volontà dell’uomo alla volontà di Dio, ma piuttosto di uniformare Dio alla mentalità degli uomini e alle passioni del mondo. Non ci sarebbe bisogno di più o di altro per capire che la teologia post-conciliare, la pastorale post-conciliare, la liturgia-post conciliare sono inficiate da questo gravissimo ed evidente tratto di apostasia: ciò che perseguono non è affatto, come pur dicono, una più approfondita comprensione della Rivelazione ma, al contrario, una vera manipolazione della Rivelazione, onde renderla conforme agli appetiti dell’uomo carnale.

Ecco, allora, che si spiegano tante cose. Si spiega perché monsignor Paglia ha fatto affrescare il duomo di Terni, quand’era vescovo di quella città, con un gran dipinto che è un inno alla sodomia e contemporaneamente una profanazione della Persona di Gesù Cristo; o perché monsignor Galantino ha affermato a un pubblico di giovani che Dio non distrusse, ma risparmiò Sodoma; o ancora perché il cardinale Schönborn offre la cattedrale di Santo Stefano a Vienna, per concerti di carattere omofilo, o perché l’arcivescovo di Torino, Nosiglia, autorizzi corsi di affettività per fidanzati omosessuali, mentre quello di Genova, Bagnasco, proibisce le preghiere di riparazione per il Gay Pride. È ormai chiaro che la sodomia viene usata come un grimaldello per scardinare la morale sessuale cattolica e, attraverso lo squarcio che si viene a creare, stravolgere tutta quanta la dottrina e capovolgere la giusta relazione fra Dio e l’uomo, dove il primo è il Creatore e il secondo la creatura. Il fatto che la lobby gay sia potentissima nella contro-chiesa massonica e che tanti prelati indulgano al vizio contro natura rende la cosa più ancora più facile: essa, infatti, sta giocando la partita in casa.

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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