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La società narcisista segue la via per annientarsi

La società materialista e consumista produce il narcisismo; il narcisismo produce il rifiuto del diverso nelle relazioni intime (mentre sbandiera l’accettazione del diverso a livello ideologico, ma nella sfera del pubblico); il rifiuto del diverso nelle relazioni intime produce l’omofilia; l’omofilia produce le unioni fra persone dello stesso sesso; le unioni fra individui dello stesso sesso reclamano, quale coronamento dei loro diritti, le adozioni di bambini o altre pratiche contro-natura, per averli (la fecondazione eterologa nel caso delle coppie lesbiche), l’utero in affitto per le coppie di gay maschi); le adozioni d da parte delle coppie omofile producono la distruzione del modello della famiglia normale, formata da un uomo, una donna e dei bambini nati dal loro reciproco amore e dalle dal loro progetto di vita, fondato sulla complementarietà delle differenze sessuali fra il maschile e il femminile. In altre parole, si tratta di una catena che parte da una richiesta apparentemente minima, la non discriminazione e l’accettazione della e persone con orientamento omosessuale, e giunge rapidamente, molto rapidamente (come abbiamo visto) allo scardinamento totale e irreparabile della vera famiglia e di tutto ciò che su di essa si fonda, cioè della società stessa. la società di Narciso è votata all’autodistruzione e la via maestra per giungere a un tale risultato che essa conosce benissimo, lo prevede, lo persegue e lo auspica — passa attraverso il costante, tenace ampliamento delle richieste di sempre nuovi diritti sociali da parte delle persone che hanno un orientamento omofilo.

Non staremo qui a svolgere una discussione sulla genesi dell’omosessualità (termine di per sé inesatto e infelice, come abbiamo detto tante volte, e che manteniamo per mero amore di semplicità pratica), cosa che richiederebbe un trattato, anche perché il fenomeno, qui, ci interessa nei suoi effetti sociali e non nella dimensione privata. Che singole persone omosessuali siano presenti in tutte le società, questo è innegabile; il punto è se la società, nel suo insieme, debba considerare tali casi come le eccezioni alla regola, al Nomos, o se debba dedurne l’inesistenza e l’artificiosità della regola stessa, per poi procedere a smantellarla pezzo per pezzo e sostituirla con l’anarchismo della soggettività assoluta e della sessualità fluida, come vogliono i teorici dell’ideologia gender i quali, assurdamente e contro ogni evidenza, sostengono che l’identità sessuale è qualcosa che gli individui hanno il diritto e la possibilità di scegliere, mentre è palese che essa si impone all’individuo e non è affatto una scelta, ma un destino. Fermo restando, pertanto, che l’esistenza di singole persone omosessuali non è un problema per la società, ma qualcosa che riguarda solo loro e l’ambito ristretto delle loro famiglie e dei loro amici, le cose stanno assai diversamente quando si parla di una diffusione del fenomeno a livello sociale e, ancor più, dell’affermarsi di una ideologia che vorrebbe fare di queste persone e del loro stile di vita una bandiera, mediante la quale aggredire e sovvertire la famiglia e tutto l’orientamento culturale e spirituale della società, al preciso scopo di togliere l’omosessualità dall’ambito del privato e farne la via regia di una completa trasformazione dell’ordine sociale. In questo caso, è evidente che non ci si trova di fronte a casi individuali e a situazioni personali di carattere provato, ma a un disegno mirante a stravolgere il quadro sociale e a capovolgere i valori morali sui quali esso si fonda e si regge. E precisiamo, benché sia forse superfluo, che, di fronte a un simile disegno, non è affatto scontata l’identificazione della persona omosessuale con l’ideologia gender: una persona omosessuale può benissimo riconoscere il carattere privato ed eccezionale della propria condizione, come fanno e hanno fatto alcuni individui di valore (cfr., ad es., il nostro articolo: Il matrimonio gay, per l’omosessuale Testori, è solo un’esecrabile rivalsa, pubblicato sul sito di Arianna Editrice il 14/04/15 e ripubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 08/11/17), senza con ciò inscriversi in una sorta di partito e senza pretendere una totale sovversione dell’idea di matrimonio, di famiglia e di società. Di fatto, crediamo che la maggioranza delle persone omosessuali vivano con pudore la propria condizione, almeno nei limiti in cui esiste ancora il concetto di pudore in una società esibizionista e narcisista che tende ad abolire ogni barriera fra la dimensione privata del piacere e quella pubblica (quando mai gli atleti di trenta o quarant’anni si abbandonavano a scene di esultanza così estreme e imbarazzanti, e quando mai gli studenti, l’ultimo giorno di scuola, consideravano lecito gettarsi dentro le fontane pubbliche o scaraventarsi gavettoni d’acqua nei locali della scuola, sotto l’occhio indifferente o rassegnato dei passanti o dei professori, quasi avessero superato eroicamente dei sacrifici immani?). Invece con l’avvento dell’ideologia gender e con o con l’esibizione della propria omosessualità, spesso in forme provocatorie, ad esempio nei Gay Pride, siamo di fronte a una cosa del tutto diversa: siamo di fronte a una vera e propria aggressione (la parola non è troppo forte, e del resto basta osservare lo stile che caratterizza tali esibizioni) di una piccolissima minoranza nei confronti della stragrande maggioranza della società, dei suoi valori, delle sue istituzioni e di tutto ciò che essa ritiene buono, utile e necessario alla vita e alla propria sopravvivenza.

Osserva il padre Etienne Roze, parroco della parrocchia di San Luigi Gonzaga a Ciampino (Roma), nel suo libro Verità e splendore della differenza sessuale (Siena, Cantagalli, 2014, pp. 305-307):

Quando si parla di omosessualità occorre distinguere l’aspetto personale dall’aspetto sociale. Per quanto riguarda l’aspetto personale, sono sempre esistiti ed esisteranno uomini e donne che hanno orientamenti omosessuali. Per quanto riguarda l’aspetto sociale dell’omosessualità, si tratta di una era e propria novità. La società, sotto l’influsso di certe lobby e ideologie, vuole organizzarsi a partire da una n uova definizione della sessualità e un’altra concezione di antropologia: non più l’eterosessualità di sempre, il matrimonio di un uomo e di una donna, bensì l’omosessualità, l’unione di due persone dello stesso sesso. A prova, le leggi che tentano di equiparare il "matrimonio" gay con quello di un uomo e di una donna [dato ormai superato, e dimostrazione della velocità di questo disegno: la legge 76 del 2016, la cosiddetta legge Cirinnà, è stata approvata tre anni fa, e due anni dopo l’uscita di questo libro]. Esse non fanno altro che confondere le idee, ridurre il matrimonio omosessuale a quello omosessuale e ridefinire l’istituzione matrimoniale a partire dall’omosessualità: è questa la società di Narciso. Comunque è bene ricordare che, al di là delle norme ideologiche, la società non può essere se non che eterosessuale, cioè fondata sull’unione di un uomo con una donna e viceversa. Il resto rimane nell’ordine del privato e del personale.

Cime spiegare tali accadimenti? La società di Narciso vive nella simbologia di un’economia sessuale infantile che si è fissata sulla fase pre-edipica: essa rifiuta tutto ciò che è differenziato per ripiegarsi sul simile. È un comportamento sociale che ha numerose cause psicologiche di cui la maggiore è la scomparsa del padre. È una conseguenza del femminismo che ha visto nell’uomo e nel padre una figura patriarcale, fonte di ingiustizia e di discriminazione contro la donna: deve, quindi, essere estromesso non solo dalla famiglia ma soprattutto dalla società. Eliminata la nozione simbolica del padre, viene cancellato colui che detiene la capacità e il servizio della differenza per il bene della persona. Così’ la società, essendosi privata della simbologia del Terzo separatore, tende a compiacersi nella fusione con il "tutto femminile", a rimanere nel confuso e a ripiegarsi sul simile come Narciso: è una scelta di morte.

Se tale è la causa, quale ne sarà la conseguenza? La società di Narciso — cioè la cultura del simile — rifiuta tutto ciò che si presenta come differenza sessuale, perché origine di ingiustizia e disuguaglianza, perciò di discriminazione. Il vero problema sociale, tuttavia, non è tanto sapere se conviene o meno accordare il diritto di sposarsi alle persone dello stesso sesso con, in aggiunta, il diritto all’adozione, quanto la richiesta più o meno manifesta di soppressione del vecchio modello eterosessuale a partire dal quale la società di un tempo si organizzava. Come già detto, le legislazioni a favore delle coppie gay sono il "cavallo di Troia" per decostruire un po’ alla volta la realtà dell’antropologia, cioè cancellare la differenza uomo-donna e introdurre il concetto di individuo neutro, capace di aprirsi, sulla base degli orientamenti sessuali, a tutte le identità di genere. Si intuisce allora come Narciso prepari l’ingresso all’ideologia del "gender".

Pertanto, alla domanda perché la società dovrebbe opporsi alle richieste di una piccola minoranza aggressiva, di parificare l’omosessualità e il matrimonio omosessuale all’eterosessualità e al matrimonio eterosessuale, si può rispondere in maniera molto semplice e concisa: perché assecondare quelle richieste equivarrebbe, per la società, a una scelta di morte. Permettere che i sedicenti esperti di educazione sessuale, magari dei transessuali orgogliosi e militanti, entrino negli asili e nelle scuole a propagare fra i bambini l’ideologia gender, equivale a un atto di suicidio deliberato da parte della società. Tollerare una simile propaganda è il segnale che la nostra società non ha più alcuna voglia di sopravvivere: che ha scelto di morire, sia spiritualmente che biologicamente. E qui si delinea, evidente, l’analogia con la richiesta, portata avanti da certe forze politiche, di legalizzare l’eutanasia, anche per i minorenni. La tecnica adoperata dai fautori di essa è simile a quella dei fautori dell’ideologia gender: si parte da un caso eclatante, pietoso, particolarmente problematico, e lo si sfrutta come un grimaldello per far saltare i cerchioni delle leggi e della morale comunemente accettata. Ecco un padre la cui figlia giace in stato di coma da parecchi anni: è una situazione toccante e al tempo stesso sconvolgente; chiunque, cercando di mettersi nei suoi panni, intuisce che si tratta di una di quelle realtà che richiedono una forza sovrumana (nel senso letterale dell’espressione) per essere sopportate. E cosa chiede quel padre? Che sua figlia sia lasciata morire. L’opinione pubblica si spacca. Molti lo capiscono, sia pure con intima sofferenza; altri non accettano quella richiesta, pur se rispettano la sofferenza che l’ha originata. Poco a poco, con l’appoggio dei media, quel singolo caso diventa un paradigma, acquista le dimensioni e la forza di un tornado. Non è più una situazione individuale, eccezionale, ma è una petizione di principio quella che emerge con prepotenza: ogni individuo ha il diritto di decidere quando la sua vita deve finire (anche se, nel caso specifico, bisogna fidarsi di quel che dice un congiunto, perché la diretta interessata non può esprimere la sua vera volontà). E una volta che un tribunale accoglie quella richiesta, e che una clinica accetta di eseguire la sentenza di morte, sospendendo non le cure, che non ci sono mai state, ma l’idratazione e l’alimentazione, non è più la richiesta di un singolo: è l’affermazione di un principio, di un principio — come dicono i suoi fautori — di civiltà. Con quella "storica" decisione, che prima o poi verrà avallata da una legge del parlamento, tutta la nazione, si dice, è diventata un po’ più civile. E intanto un altro mattone è caduto, le mura che presidiano la società si vanno sbriciolando.

Un discorso a parte andrebbe fatto per la Chiesa cattolica, la quale, forte della sua tradizione millenaria, aveva tutte le carte in regola per offrire la più tenace resistenza all’assalto delle forze necrofile messe in campo dal capitale finanziario per i suoi oscuri disegni di dominio mondiale. Nel giro di pochi anni, invece, il bastione si è sgretolato e addirittura la Chiesa si è fatta strumento, sia pure con qualche distinguo e qualche ipocrita tentennamento, dell’attacco omosessualista contro la morale vigente e contro la famiglia. Da quando Bergoglio ha pronunciato il suo famoso: Chi sono io per giudicare?, i segnali in tal senso si sono moltiplicati. E non sono solo iniziative estemporanee di singoli preti, come quello di Palermo che esalta l’amore omosessuale nel bel mezzo della Messa: è l’intero episcopato, o gran parte di esso, che si muove in quella direzione. Da Torino, dove partono corsi di affettività per i gay, a Genova, dove la diocesi biasima le preghiere di riparazione per il Gay Pride, fino all’incontro mondiale della famiglia, in Irlanda, nell’agosto 2018, dove spicca in un ruolo ufficiale il gesuita gay-friendly James Martin, è chiaro che la Chiesa, o piuttosto quella sua diabolica contraffazione che è oggi la contro-chiesa massonica di Bergoglio, intende cavalcare le rivendicazioni omosessualiste per dare il colpo di grazia alla vera dottrina e alla famiglia. Ciò appare anche da una lettura attenta del documento Maschio e femmina li creò del giugno 2019, in cui la Santa Sede opera una cavillosa distinzione fra teoria gender e ricerche sul gender, e in pratica apre il varco desiderato dalle lobby gay del Vaticano per indebolire e colpire a morte la dottrina cattolica. La quale è stata espressa una volta per sempre, in maniera inequivocabile, da San Paolo nella Lettera ai Romani: ed è la condanna senza appello della pratica omosessuale, con l’aggravante dell’ostentazione: Non solo commettono tali cose, ma lodano quelli che le fanno; e conclude: Si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi. Questa è la vera dottrina cattolica: il resto è inganno e menzogna deliberata. Il fatto è che questo clero, fra Gesù Cristo e il mondo, ha scelto il secondo…

Fonte dell'immagine in evidenza: Photo by Mike Chai from Pexels

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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