Servi e aggiogati, non cercatori della verità
16 Giugno 2019
Il fascismo iniziò ciò che l’antifascismo ha proseguito
17 Giugno 2019
Servi e aggiogati, non cercatori della verità
16 Giugno 2019
Il fascismo iniziò ciò che l’antifascismo ha proseguito
17 Giugno 2019
Mostra tutto

La persona è morta, resta solo il personaggio

È noto che Pirandello considerava il personaggio più vero, più forte, più sostanziale della persona, perché dotato di una essenza, di una logica, di una coerenza interna; mentre la persona gode solo del bene effimero (se pure è un bene) della semplice esistenza, una cosa labile, fuggevole, aleatoria, oggi c’è e domani non ci sarà più. Invece il personaggio, roccioso, perenne, incrollabile, resta e, talvolta, sfida i secoli e i millenni. Sbaglierebbe, pertanto, chi pensasse che il personaggio pirandelliano abbia qualcosa in meno della persona; al contrario, possiede molte cose in più; ed è qui, probabilmente, la radice di quell’atteggiamento di malcelata insofferenza, di fastidio e di disprezzo appena trattenuti, che lo scrittore siciliano sembra nutrite verso i suoi personaggi. Suoi? Niente affatto. Egli era convinto che il personaggio non solo vive assai più a lungo della persona; ma che la precede, perché vive già di vita propria, non si sa dove, prima che qualche scrittore si decida a fermarlo sulla carta e ad attestare la sua esistenza. Allora quel fastidio, quel sordo rancore di Pirandello cessano di apparirci come una stranezza e diventano una cosa perfettamente spiegabile e comprensibile: qualcosa di simile a ciò che provano gli uomini d’oggi, o meglio alcuni di essi, nei confronti del calcolatore elettronico. Il calcolatore è una forma d’intelligenza e, in qualche modo, una forma di vita, che prescinde dall’esistenza concreta, bastandogli quella virtuale: che non è meno, ma più efficiente e più invasiva dell’esistenza materiale. L’uomo sente, intuisce, che prima o poi il computer prenderà il suo posto; per ora esso si "accontenta" di sopravvivergli, ma ben presto potrà svolgere praticamene tutto quel che ora fa l’uomo, con maggior precisione e con rapidità infinitamente superiore. La persona, dunque, farà la fine dell’uomo di Neanderthal, si estinguerà, e la sua nicchia verrà presa da un essere più evoluto, l’elaboratore elettronico appunto.

Ora, la domanda che dobbiamo porci è la seguente: vi sono i presupposti perché il personaggio di sostituisca alla persona, allo stesso modo, per le stesse cause e con le stesse modalità, o con modalità perfettamente equivalenti, a quelle con cui il calcolatore elettronico sta prendendo il posto dell’uomo e si avvia a sostituirlo e rimpiazzarlo? Secondo noi, sì; diremo di più: si tratta di un processo che è già in atto, si sta svolgendo sotto il nostro sguardo (distratto) ed è già in fase avanzata di realizzazione. In effetti, la persona non può essere sostituita, a meno che non sia lei stessa ad abdicare al proprio statuto ontologico e scelga di esser qualcosa di meno di ciò che le spetta. Alla persona spettano intelligenza, volontà, sensibilità, memoria, creatività, immaginazione; se essa ritiene di non poter realizzare queste facoltà, o se ritiene di poter delegare qualcun altro a svolgerle per lei – ad esempio, qualcuno che pensi al suo posto, che ricordi per lei, che scelga per lei — la persona finirà per abituarsi a non esser più necessaria, comincerà a ritrarsi e, un poco alla volta, a sparire. Alla fine resteranno solo i suoi surrogati, le funzioni che sono state chiamate a prendere il suo posto per svolgere gli stessi lavori. Ebbene, a tutto ciò si presta meravigliosamente il personaggio. Esso ha tutti i vantaggi rispetto alla persona, perfino quello di morire al suo posto — suicidandosi, per esempio — e poi seguitare a esistere, in un certo senso risorgendo dalla propria morte, cosa che la persona, evidentemente, non può fare. Così, se una certa persona — il poeta Ugo Foscolo, per esempio — è tentata dall’idea di por fine, col suicidio, alle proprie pene e alla propria angoscia esistenziale, ecco che il personaggio, un certo Jacopo Ortis, può prendere il suo posto e morire per lei; e così la persona potrà seguitare a vivere, dopo aver fatto l’esperienza catartica di vivere la propria morte — ma per interposta persona, cioè attraverso il personaggio. Più in generale, il personaggio può fare tutto ciò che la persona non può, ma lo vorrebbe: può scendere a ventimila leghe sotto i mari, o salire fino alla Luna; può viaggiare nel tempo, a ritroso o nel futuro, e vedere ciò che nessun occhio umano mai vide, e anticipare quel che accadrà fra cento generazioni; può gioire o soffrire, ma solo nella misura desiderata, e può amare ed essere amata, quando vuole e come vuole; può compiere il delitto perfetto, può passare attraverso i muri, può sottomettere uomini e popoli, o anche farsi sottomettere, se ciò risponde ai desideri masochisti che si agitano torbidi in fondo al suo animo. Perciò, come di Giuliano l’Apostata si tramanda che abbia esclamato, prima di more (ma è probabilmente un aneddoto spurio): Vicisti, Galilee!, si potrebbe dire: Hai vinto, Pirandello! Sei stato un buon profeta: il personaggio ha superato la persona, l’ha resa obsoleta, si è insediato al suo posto, come un aereo a reazione prende il posto d’un piccolo apparecchio bimotore, o come un sofisticato televisore a colori prende il posto del vecchio, in bianco e nero.

Scriveva Corrado Simioni (Venezia 1934-Truinas, Francia, 2008), uno dei maggiori studiosi italiani di Pirandello, filosofo e critico d’arte, nella introduzione a Il teatro di Luigi Pirandello (La vita che ti diedi; Ciascuno a suo modo), Milano, Mondadori 1951 1975, pp. XXX-XXXI):

"La natura si serve dello strumento della fantasia umana per proseguire la sua opera di creazione. E chi nasce mercé questa attività creatrice che ha sede nello spirito dell’uomo è ordinato da natura a una vita di gran lunga superiore a quella di chi nasce dal grembo mortale d’una donna. chi nasce personaggio chi ha la ventura di nascere personaggio vivo…" Così Pirandello formulava quella distinzione fra persona e personaggio che sta alla base della sua arte. distinzione fra due momenti dell’animo umano: il primo, della persona, ancora informe disponibile ad assumere ogni forma che gli venga imposta dall’interno o dall’esterno; il secondo, del personaggio, ruotante intorno a un perno fissato nel gioco  delle parti destinato a ripetere ogni giorno gli stessi gesti a ripetere per sempre lo stesso dramma.

Massimo Bontempelli chiariva: "Insomma i personaggi sono le sole verità. Col personaggio l’umanità ha ritrovato l’inconfondibile l’immodificabile, l’indistruttibile l’eterno". La tensione dell’arte pirandelliana nasce però dall’altalena  fra persona e personaggio e dall’impossibilità dell’uomo a essere definitivamente l’una o l’altro. E per ripetere una distinzione cara ai primi esegeti di Pirandello a essere o "vita" o "forma".

L’arte pirandelliana si colloca però al di là di questa distinzione: e deriva direttamente dall’atteggiamento dell’autore verso i suoi personaggi. È stato notato che Pirandello mostra verso i suoi personaggi ostilità e astio quasi destassero in lui ripugnanza. Ne mette in evidenza particolari sgradevoli, si accanisce nel descriverne le miserie fisiche e spirituali li colloca in ambienti che prima d’essere illuminati dalla luce della tragedia o della farsa, sono immersi in un ossessivo grigiore. E neppure sono vittime di un destino sociale come presso i naturalisti o di un destino religioso come in Verga. essi piuttosto sembrano artefici della propria sventura talvolta in modo consapevole e determinato. E poiché dall’esterno non possono attendersi riscatto e salvezza ci appaiono irrimediabilmente dannati. Ma quale peccato stanno scontando? Una risposta penetrante ci viene da Giacomo Debenedetti quando alludendo al protagonista di "vittoria delle formiche " che vive in uno stato di bislacca, ma serena solitudine, annota: "d’improvviso è diventato brutto, è andato a raggiungere la media dei suoi fratelli: davvero qualcosa di ripugnante è suppurato in lui. Ed è semplicemente successo che da ‘uomo solo’ qual era di qua dal mondo della convivenza umana con i suoi inevitabili confronti e giudizi quell’individuo è decaduto – sia pur soltanto col pensiero e col rammarico – nella gazzarra cieca di quella convivenza. È voluto tornare a essere una ‘parte’ nel ‘gioco delle parti’. Questa nostalgia della "persona", dello stato di primitività dell’uomo, di ciò che non è ancora condizionato e contaminato dalla convivenza, costituisce il polo ideale dell’arte pirandelliana, quasi il limite ‘esterno’ al quale lo scrittore si riporta per trovare i termini di riferimento della sua realtà letteraria. Ma, come abbiamo detto, questo è soltanto il ‘limite’  esterno: perché l’opera pirandelliana si svolge tutta intorno  alla tematica del personaggio al suo modo di esistere.  È attraverso la parola che si diventa personaggi. Infatti il connotato stilistico più evidente nell’opera pirandelliana è un dialogo fittissimo e incessante che soltanto di rado lascia spazio alla contemplazione o all’azione.

Proprio così: e questo frenetico parlare, parlare, parlare; questa incapacità di tacere, di riflettere, di raccogliere i pensieri, che è la caratteristica più appariscente dei personaggi pirandelliani, è anche la caratteristica più evidente dei personaggi che, al giorno d’oggi, hanno preso il posto delle persone. Tutto questo diventa particolarmente chiaro se si tiene presente che l’essenza del chiacchierare, del parlare in maniera incessante e compulsiva, ovviamente senza dir nulla di significativo e soprattutto senza dir nulla di autentico, non è l’emissione dei suoni per mezzo delle parole, ma la parola in se se stessa. Quindi, un uomo o una donna che stiano tutto il giorno attaccati al loro telefonino; che non guardino neppure la strada mentre camminano, né quel che accade intorno a loro quando siedono al ristorante, perché sono troppo impegnati a inviare messaggini, o a condividere mail e materiali d’ogni genere, oppure ancora a inviare fotografie di qualsiasi cosa, magari del piatto di pastasciutta che hanno davanti, o del bollettino meteorologico di domani, o dell’oroscopo della settimana, o di una frase, o di un filmato che hanno pescato in rete, unite a commenti e giudizi d’ogni genere, sono esattamente nella situazione che abbiamo descritto e che Pirandello ha così bene illustrato (e anticipato): hanno rinunciato a essere persone, cioè a interagire con l’ambiente circostante, e si sono ripiegate su se stesse per lasciarsi dolcemente sostituire da un personaggio (o da nessuno, o da centomila, sempre per dirla con Pirandello). È il personaggio che recita la parte del chiacchierone irrefrenabile, che vuol stare sempre sulla ribalta, che vuol avere migliaia di amici sui social: non la persona. La persona può fare una cosa alla volta, e sempre all’interno di un determinato limite. La persona, per esempio, non può essere contemporaneamente in due luoghi diversi; ma il personaggio, grazie alla tecnologia elettronica, può essere in dieci, in cento, in mille luoghi diversi contemporaneamente. È il personaggio, non la persona, che desidera di poter entrare nella Casa del Grande Fratello televisivo, o sbarcare sull’Isola dei Famosi; è il personaggio, e non la persona, che vorrebbe superare un provino per essere accolto in un cast cinematografico e recitare o esibirsi come cantante, attore, eccetera; è il personaggio, non la persona, che vuol essere ammirato perché indossa solo capi firmati, e porta al polso un orologio di gran marca, e sale a bordo di un’autovettura potente e costosissima. Ed è sempre il personaggio che vuol farsi la fama di grande seduttore, vuol vedere le donne (o gli uomini) cadere ai suoi piedi, vuol essere ammirato, invidiato, imitato, trasformandosi in un influencer, in un modello e un punto di riferimento per milioni di giovani che navigano in rete.

La natura detesta il vuoto e dove c’è un vuoto, tende a riempirlo, magari coi materiali che trova a più immediata disposizione, vale a dire coi materiali di risulta dello scavo che ha prodotto il vuoto. I materiali di risulta della distruzione della persona sono le forme posticce e artificiali, ma ambitissime e ammiratissime, della moda, dell’apparenza, dell’essere visti, ammirati, invidiati dal maggior numero possibile di persone. I rapporti umani sono alterati, falsati e stravolti dal fatto che sempre più persone rinunciano a esser persone e si trasformano in personaggi, prendendo a modelli altre persone che hanno fatto la stessa cosa prima di loro, diventando personaggi mediatici e sollecitando dei processi di identificazione da parte della folla. In generale, la società di massa produce un numero di personaggi inversamente proporzionale a quello delle persone: queste diminuiscono, più cresce il numero di quelli. Alla fine, e quel momento non è affatto lontano, un nuovo personaggio prenderà il posto dell’ultima persona: questa, ben contenta d’aver trovato il modo di togliersi di dosso la fatica di vivere, saggiamente si farà da parte, e il personaggio ne prenderà il posto, vivrà la sua vita. Intanto le persone che sono stanche di restar tali si esercitano inconsciamente alla prossima trasformazione, diventando delle chiacchierone compulsive. Tenete d’occhio gl’individui che parlano sempre, parlano, parlano e non son capaci di fermarsi e tacere più di qualche minuto. Sono gli aspiranti suicidi, che cercano il modo più semplice di sbarazzarsi della propria natura di persone e assumere quella di personaggi. Chiacchierano per mezzo dei messaggini telefonici, e passando ore e ore sui social, ovviamente senza dir nulla di serio; e chiacchierano profondendosi in vaniloqui che hanno il solo scopo di far credere d’essere ancor vivi, mentre un indizio infallibile della morte interiore di qualcuno è la sua loquela straripante, lo spasmodico bisogno di condividere, a qualsiasi ora del dì e della notte, ogni minuzia tocchi loro la mente. Un altro indizio è il rifiuto sistematico di assumesi le proprie responsabilità. Perché farlo, del resto, se si può delegare il personaggio proprio ? Il telefonino può sembrare un oggetto quasi innocente, oltre che utile; ma guardiano un bambino di sei anni che ne possiede uno: quanto durerà, come persona? Tale è il futuro che ci attende, se non reagiamo: divenir personaggi, emigrando nell’altrove virtuale.

Fonte dell'immagine in evidenza: Photo by Wallace Chuck from Pexels

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
Hai notato degli errori in questo articolo?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.