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12 Maggio 2019Quante volte abbiamo sentito il signor Bergoglio, anche in chiesa, o negli incontri con gruppi venuti ad ascoltare la parola del vicario di Cristo, dire di essere stato, e di essere ancora, pieno di dubbi; quante volte lo abbiamo udito affermare che, trovandosi in simili frangenti, lui è ricorso all’aiuto di una psicanalista ebrea, con la quale si è trovato benissimo; e quante volte lo abbiamo sentito dire e ripetere di non aver la risposta alle nostre domande più pressanti e angosciose, specie alla domanda sul perché della sofferenza, ma che bisogna anzi stare in guardia e diffidare nei confronti di quanti dicono di averle. E quante volte lo abbiamo sentito affermare che, se una ragazza desidera prendere i voti e consacrarsi alla vita claustrale, è bene che si sottoponga, prima, a una vista psichiatrica, perché non è sano amare il silenzio e appartarsi dal mondo (l’idea che tutti i grandi mistici si sono appartati dal mondo e hanno cercato il silenzio, proprio per udire la voce di Dio e abbandonarsi pienamente alla Sua Volontà, evidentemente non sfiora nemmeno alla lontana il suo universo mentale). Ai primi di aprile, per esempio, nel corso di una visita alla parrocchia di San Giulio papa, a Monteverde (provincia di Avellino), intrattenendosi con una catechista, le ha detto testualmente:
Dubbi? Ne ho avuti tanti. E come sono uscito? Non da solo… non si può uscire da solo… ci vuole la compagnia di qualcuno che ti aiuti ad andare avanti… amici, genitori, catechisti, e con Gesù. (…) Se avete dubbi sulla fede, arrabbiatevi con Gesù. Ditegli: io a questo dubbio non ci credo; è una bella preghiera. Alcuni giorni fa ho ricevuto la lettera di un ragazzo di 30 anni che si è asciato con la fidanzata: io sono rotto, mi ha scritto. Tante volte ci sentiamo così: distrutti; e ci chiediamo: che cosa posso fare? Cerca Gesù e cerca un amico. (…) Alcuni giorni fa ho ricevuto una lettera di un ragazzo di circa 30 anni. Mi diceva che dopo un’esperienza di fidanzamento fallito era pieno di angoscia. Quante volte noi ci sentiamo così, fatti a pezzi dentro, distrutti. Guarda Gesù, lamentati con lui e cerca un amico che ti aiuti a sollevarti.
Questo discorsetto è, purtroppo, un perfetto esempio della contro-pedagogia e della contro-pastorale del falso papa argentino. Come sempre, come tutti gli altri, è stato concepito per piacere alla gente, per fare il simpaticone, per gigioneggiare; e come sempre l’attenzione dell’uditorio viene condotta solo in apparenza verso Gesù, peraltro un Gesù tutto umano, tutto amicone, ma, in realtà, per concentrare l’attenzione su se stesso, sulla sua persona. Anche io ho avuto tanti dubbi, esordisce. Ma un papa deve parlare in questo modo? Vuol fare l’amico, vuol fare il saggio nonno, ma non ce la fa proprio a contenere il suo ego debordante, incontenibile. Una ragazza, una catechista, dunque una persona che deve trasmettere la dottrina e aiutare la fede dei bambini destinati a ricevere la Prima Comunione, evidentemente afflitta da dubbi, gli chiede una parola di verità e di certezza, e lui che cosa fa? Invece di rassicurarla, invece di fortificarla, invece di citare il Maestro che non ha mai avuto dubbi, perché ha sempre fatto interamente la Volontà del Padre, si mette a parlare di se stesso; si pone sullo stesso piano di lei, per farle sentire che le è "vicino". Ma un sacerdote, e tanto più un papa, deve essere "vicino" alle debolezze dei fedeli, oppure deve rispondere ad esse con l’esempio della forza e della sicurezza? Di fatto, Bergoglio si comporta come quando un amico, affranto dalla tristezza, o da problemi di salute, viene da noi, cercando una spalla su cui piangere, e noi non troviamo nulla di meglio da dirgli che frasi di questo tipo: Sapessi come sono triste io! Sapessi come sono pieno di acciacchi! Eppure, si dirà, Bergoglio non si è limitato a confidarle di aver avuto molti dubbi anche lui; le ha anche indicato la via d’uscita. Certo. E quale sarebbe, la via d’uscita, secondo l’ex buttafuori argentino? Proprio quei viene il bello, anzi il brutto: Bergoglio non si trattiene dal rifilare ai suoi sfortunati ascoltatori la soluta bestemmia, perfidamente confezionata in vesti così ambigue, da poterla, se necessario, presentare come una locuzione del tutto innocente: (…) Se avete dubbi sulla fede, arrabbiatevi con Gesù! Che cosa? Abbiamo udito bene, o è stata un’illusione acustica? Ahimè, abbiamo udito fin troppo bene; magari avessimo udito male, o avessimo frainteso. Ascoltiamo di nuovo, riflettendo bene sul senso delle parole; ha detto proprio così: Se avete dubbi sulla fede, arrabbiatevi con Gesù. E ancora non basta; la bestemmia non è sufficiente, non è completa; ci voleva anche il contorno, il sottile veleno della mondanità, della soluzione tutta umana e immanente, confezionata in termini di psicologia spicciola, di buon senso a un tanto il chilo. Tante volte ci sentiamo così: distrutti; e ci chiediamo: che cosa posso fare? Cerca Gesù e cerca un amico. (…). Guarda Gesù, lamentati con lui e cerca un amico che ti aiuti a sollevarti.
È la solita, voluta ambiguità: l’amico che dobbiamo cercare è Gesù Cristo? Oppure dobbiamo cercare sia Gesù Cristo, sia un amico terreno, che ci risollevi l’animo afflitto e ci tiri su il morale? O magari, come ha fatto lui, dobbiamo rivolgerci ad un bravo psicanalista? Partiamo dalla prima possibilità: che l’amico di cui abbiamo bisogno sia Gesù. Ma Gesù, per gli uomini, non è semplicemente un amico; è anche un amico; ma è, prima di tutto, il Figlio di Dio, il Salvatore e il Redentore dell’umanità; è il Re dell’Universo, davanti al quale ogni ginocchio si piega, sulla terra, sotto la terra e sopra la terra. Fra lui e noi, direbbe un commediografo del ‘700, vi è qualche differenza (Goldoni, ne La locandiera). È vero che Gesù, nell’Ultima Cena, ha detto ai suoi discepoli: vi ho chiamato amici, e non più servi, perché il servo non sa cosa fa il padrone, mentre io vi ho trasmesso tutto quello che voleva il Padre mio celeste. Ma lo dice al termine di una intensa e personale esperienza di vita: quegli uomini sono stati con Lui, hanno creduto in Lui, sono rimasti con Lui mentre gli altri si scandalizzavano e se ne andavano (peraltro, di lì a poche ore si sarebbero scandalizzati e lo avrebbero abbandonato anche loro, Pietro in testa, che aveva giurato e spergiurato che mai lo avrebbe fatto). Dunque, prima di arrivare a considerare Gesù come un amico, bisogna considerarlo un maestro, anzi, il solo Maestro degno di questo nome; bisogna avere una fede totale in Lui, Bisogna esser pronti a fare la Sua volontà, non a coltivare sterilmente i propri dubbi. L’amicizia, dice Aristotele, è il sentimento d’affetto che lega fra loro i buoni, e aggiungiamo: quelli che si trovano su un piano di parità. L’amico non è un superiore: se è un superiore, potrà essere anche un amico, ma sarà, prima di tutto, colui al quale si deve obbedienza. Pertanto è ingannevole chiamare Gesù "un amico": significa accorciare un po’ troppo le distanze; significa ignorare che un rapporto paritario non può esistere fra le creature ed il Creatore. Ma, si potrebbe obiettare, qui Bergoglio non parlava di Gesù come Figlio di Dio, della Seconda Persona della Santissima Trinità, ma stava parlando del Gesù uomo. Può darsi; ma, se è così, questa è una grave eresia. Nessuno può staccare il Gesù uomo dal Gesù Dio: Gesù è una sola Persona, vero Dio e vero uomo. E adesso vediamo la seconda possibilità: che Bergoglio, con quella frase, intendesse dire: cerca Gesù e cerca anche un amico terreno. Se è così, andiamo di male in peggio: Gesù come toccasana spirituale, e l’amico umano come toccasana concreto, cui rivolgersi nelle difficoltà della vita quotidiana. Insomma: Gesù come il Prozac dell’anima; e poi, un fiasco di vino, una partita a carte e quattro risate al bar, con gli amici. Ma questa è una ricetta per allontanare la malinconia, non è la strada che conduce a Dio. La strada che conduce a Dio è in salita, è faticosa, è irta di ostacoli; inoltre, la si fa portando la propria croce sulle spalle. Questo ci aspettiamo che dica un sacerdote, questo vorremmo sentire dalla bocca del papa: non altro. Da lui non attendiamo consigli e suggerimenti dello stesso genere di quelli che può darci una persona qualsiasi, che vive entro un orizzonte immanentistico: vorremmo sentire, nelle sue parole, il profumo dell’Assoluto e dell’Eterno. Vorremmo intravedere quella freschezza di vita eterna, vorremmo udire lo scorre di quell’acqua di vita eterna di cui Gesù parlava alla donna samaritana. Ma nulla del genere traspare dai discorsi del signore argentino. Cercate Gesù; benissimo: ma di quale Gesù stiamo parlando? Di un Gesù tutto e soltanto umano? Perché non dice: Gesù Cristo? Perché non dice: Gesù, Figlio di Dio? perché non dice: Gesù, Salvatore e Redentore, che ci riscatta per mezzo della Sua croce e del Suo sangue? Il Gesù solamente umano, di cui parla Bergoglio, non può dare alcuna risposta ai nostri dubbi, perché solo Dio la può dare; e Gesù è vero Dio e vero uomo, contemporaneamente. Ma dov’è il vero Dio, nel Gesù di cui parla il signore argentino?
Ci piace, a questo puto, riportare qualche pensiero di monsignor Giuseppe Nebiolo (del quale abbiamo già parlato in un recente articolo: Senza la persona, la filosofia si scioglie in psicologia, pubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 18/04/19), tratto sempre dallo stesso testo, Pedagogia junioristica (Roma, Gioventù Italiana di Azione Cattolica, 1952, pp. 144-149):
Accostandoci con riverenza alla figura di Cristo, noi usiamo il concetto di personalità nel senso che già conosciamo. (…) Gesù è uno che non dubita mai. La sua oggettività è portata all’estremo. Più che pensare, ci sembra che Egli veda. Anche da ragazzo, a sentire il Vangelo, non ebbe crisi. A dodici anni risponde imperterrito ai suoi che egli deve fare la Volontà del Padre. (…) Questa limpidità di visione lo accompagna per tutta la vitae lo segue dopo la Resurrezione. Egli non è venuto a portare la pace, ma la spada. (…) E come è, così parla. Non bisogna porre mano all’aratro e poi voltarsi indietro. Non si può costruire un forte, senza fare il bilancio preventivo. Non si attacca guerra, senza aver calcolato il rischio. Il linguaggio deve esprimere l’intima chiarezza dell’animo: sì, no. Quando una situazione va bene si accetta. Quando non va bene, si lascia, sbattendo anche la polvere perché non ci rimanga nulla attaccato. (…) Non c’è da meravigliarsi se a tanta lucidità di mente, corrisponde una proporzionale potenza di volere. La volontà infatti segue la conoscenza di quello che si vuole. Gesù realizza sempre quello che vuole realizzare. Egli ha una missione da compiere, e semplicemente la compie. Per questo un giorno parte da casa, e comincia la sua umana peregrinazione. Non si capisce mai nel Vangelo se qualcosa accada di fortuito. Tutto sembra previsto e prestabilito. Il buon senso cristiano riconobbe sempre che Gesù stesso creava le sue occasioni: "cercando me, ti sei seduto stanco…". Casuale dunque l’incontro con la donna di Sichar? Ne suo movimento costruttore e creatore Gesù è irresistibile. Si prova Pietro a creargli delle difficoltà: "lontano da te la tal cosa, Signore"; ma ne riceve una risposta che ricorderà per sempre: "Vattene, Satana!",. (…) Non un cedimento, nin un rimpianto, non un appello. Doveva essere così; e così è avvenuto, fino alla consumazione. Questo si chiama eroico dominio di sé. Ma le parole che abbiamo a disposizione non riescono a descriver e adeguatamente questo eroico dominio di sé. Esso incombe trionfale sopra la nostra miseria umana. In tempi come i nostri, impregnati di sentimentalismo, ammalati di pseudo intelligenza e di pseudo volontà, Gesù sembra troppo perfetto nella sua mente e nella sua azione, per quelli che hanno intenzione di procedere a modo loro. Il vero dominio di sé non significa assenza di sentimento, e nemmeno assenza di passione. (…) Dominio di sé comprende anche sentimento e passione, ma tenuti al loro posto, in modo che escano e rientrino al momento giusto. (…) In questo il Signore sta ad un grado inimitabile. Quando c’è da lottare lotta, al momento opportuno, nella occasione scelta da lui. Quando crede che sia venuta l’ora, attacca tutta la classe dirigente del suo paese: "Guai a voi, scribi e farisei, ipocriti! Voi divorate le case delle vedove, mentre recitate lunghe preghiere…" (…) Ma subito in contrasto lo vedete che gli piace stare in mezzo ai bambini, accarezzandoli e parlando con loro, nonostante i maturi brontolii di circostanza. (…) Non lo sorprendete mai in atteggiamento sentimentale. Non va alla ricerca di emozioni, non crea entusiasmo artificiale, non discioglie il suo murabile messaggio in uno sgocciolio di lacrime…
Ecco la differenza fra Gesù Cristo e Bergoglio. Il vicario di Lui dovrebbe prendere Lui a modello, sempre e comunque. Gesù possedeva un eroico dominio di sé; Gesù era tutt’uno con la Volontà del Padre; Gesù non aveva mai alcun dubbio, non ebbe mai crisi; Gesù non era un sentimentale; Gesù provava sentimenti (pianse perfino, davanti al sepolcro di Lazzaro), ma non si lasciava dominare dalle emozioni. Non faceva l’amicone, era diretto fino alla durezza: il suo parlare era sì e no; il resto, diceva, viene dal diavolo. E si noti l’acuta osservazione di monsignor Nebiolo: In tempi come i nostri, impregnati di sentimentalismo, ammalati di pseudo intelligenza e di pseudo volontà, Gesù sembra troppo perfetto nella sua mente e nella sua azione, per quelli che hanno intenzione di procedere a modo loro. Sì, questi sono i nostri tempi. Bergoglio è, o meglio fa, il sentimentale. Il suo è il pontificato delle emozioni; la sua pastorale, la pastorale dei buoni sentimenti. Ma Gesù non è venuto a portare buoni sentimenti ma la spada; e la Sua spada colpisce anzitutto la nostra ipocrisia.
Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash