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C’è stato un tempo; ma ora no

E così, anche noi in Italia abbiano il nostro padre James Martin; probabilmente non ne abbiano uno, o due, o tre, ma decine e centinaia. Comunque, quanto a visibilità mediatica, abbiamo il nostro James Martin: il nostro bravo prete progressista, inclusivo, senza pregiudizi, aperto, dialogante e missionario, nel senso che va verso gli altri, li comprende, li accompagna, li benedice: in questo caso, gli altri come omosessuali. Ma sono ancora "altri!", poi? Stando alle cronache di papa Francesco e della sua contro-chiesa, non si direbbe affatto; al contrario; si direbbe che gli "altri" siano i veri cattolici, gli ultimi moicani, circondati, assediati, denigrati, disprezzati, mal sopportati, invitati ad andarsene, a sparire, a nascondersi per la vergogna, loro e i loro biechi pregiudizi, chiusi, egoisti, duri come il marmo, musi lunghi, signore e signora piagnisteo, facce da sottaceto, cristiani ipocriti, come li chiama, molto caritatevolmente e molto misericordiosamente, il più caritatevole e il più misericordioso di tutti i neocristiani e neocattolici, il signor Bergoglio, in arte papa Francesco. Piccolo particolare, questi ultimi cattolici, che sono "altri" per la contro-chiesa bergogliana, sono anche gli unici verso i quali non val la pena di andare, non è il caso di accompagnarli, tanto meno di dialogare, e per parlare di che cosa, poi? Non val neanche la pena di rispondere, se son loro a parlare e a formulare, pensa un po’ che sfacciati, delle domande. L’esempio vien sempre dal signore vestito di bianco che in arte si fa chiamare papa Bergoglio, quando cioè fa il buffone sulle pubbliche piazze e fin dentro le chiese, quando bacia i piedi agli uomini e protende il deretano in aria, quando lava i piedi ai migranti ma non piega mai le ginocchia davanti al Santissimo: ha forse risposto ai dubia legittimi e rispettosi dei quattro cardinali? Ha risposto alla Correctio filialis dei teologi e dei sacerdoti? Ha risposto a monsignor Viganò e al suo documentato dossier? Sta ora rispondendo alle lettera aperta di settanta studiosi che si rivolgono ai vescovi, accusandolo apertamente di eresia pervicace e sistematica? E ha mai spiegato ai Francescani e alle Francescane dell’Immacolata di quale colpa si sono macchiati, di quale delitto si devono vergognare, e per quale ragione era giusto chiudere il loro seminario e trattarli come degli untori, come degli appestati? No, mai: lui non si abbassa a rispondere; e così fanno i suoi seguaci, i suoi tirapiedi, i suoi valletti e i suoi suggeritori. Insomma, avete capito di chi stiamo parlando, chi è il nostro James Martin, il nostro uomo di Dio che sfida le convenzioni e che, come Gesù non si curava d’esser criticato ad accettare inviti a cena dai pubblicani, così lui non si vergogna di tenere un corso di fedeltà per persone omosessuali: Gianluca Carrega biblista, scrittore, sacerdote della diocesi di Torino, il quale, incaricato dall’arcivescovo Cesare Nosiglia della "pastorale per gli omosessuali" (che roba è?), dopo aver dovuto rinunciare l’anno sorso per la resistenza imprevista degli ultimi moicani, degli ultimi scocciatori, degli ultimi duri di cuore, i quali non vogliono capirla che la dottrina è un optional e che tutto ciò che conta è la pastorale, e che la pastorale è accogliere, ascoltare, medicare, come gli infermieri d’un ospedale da campo in quella perenne battaglia che è la vita (ma non battaglia del bene contro il male: battaglia delle passioni disordinate e lasciate in libertà), quest’anno ce l’ha fatta e ha tenuto il suo bravo corso di fedeltà per fidanzati gay. Ma in fondo, tutto questo è logico ed era prevedibile, se non fossimo stati tutti quanti assonnati, pigri e ben contenti di lasciarci carezzare gli orecchi dalla musica della neochiesa, dolce e cantabile come una poesia di Sandro Penna. È dal Vaticano II che la pastorale vien fatta prevalere sulla dottrina: certo, all’inizio nessuno osava dirlo, però era sottinteso: per quale altra ragione convocare un concilio senza alcuna ragione dottrinale, senza alcuna verità da chiarire, ma solo e unicamente per esigenze di aggiornamento pastorale? Lo scopo era questo, e lo stiamo vedendo ora: cambiare lentamente ma inesorabilmente la dottrina, cioè la fede cattolica, grazie a una pastorale fondata su concetti ingannevoli come dialogo, ecumenismo, inclusione e accompagnamento, uno più falso e strumentale dell’altro perché sprovvisti del requisito essenziale: la verità di Gesù Cristo, la verità che è Gesù Cristo.

In un convento di suore (è a questo che servono i conventi? È per questo che le suore ci vanno? ed è per questo che i fedeli li sostengono economicamente con le loro offerte, vedi otto per mille e donazioni private?), nel capoluogo piemontese i fidanzati gay possono frequentare un corso di fedeltà e preparazione alla vita insieme, sotto la guida di Gianluca Carrega, colui che non teme i pregiudizi, il sacerdote che sa andare verso gli altri, sa accompagnarli, sa capirli e si guarda bene dal discriminarli. Qualche perla della sua teologia morale? Eccola, tratta dal suo sito internet:

Nelle città pagane Paolo si trova di fronte a un fenomeno che non ha gli strumenti per comprendere. Lo considera una devianza. Ma non ha mai conosciuto una coppia omoaffettiva: non possiamo giudicare con categorie moderne quello che allora non esisteva". (…) Paolo e Gesù vivono in un’epoca precisa, non si possono estrapolare testi e non contestualizzarli.

Capito? San Paolo era un povero ebreo ignorante, imbottito di pregiudizi, perché non aveva esperienza del mondo delle grandi città ellenistiche, nelle quali la sodomia e la pederastia erano cose bellissime e raffinatissime (il che, fra le altre cose, è falso, perché Paolo era di Tarso, che era una città di medie dimensioni, largamente ellenizzata e nella quale i pagani vivevano come a Sardi, a Efeso, a Nicomedia, a Corinto, ad Atene; e quindi la cultura pagana, lui, la conosceva benissimo, compresi i suoi vizi capitali, dei quali parla con piena cognizione di causa nella Lettera ai Romani). Se fosse stato un po’ meno rozzo e incivile, se fosse stato solo po’ più viveur, se avesse frequentato qualche volta le palestre e le saune, gli anfiteatri e i mercati, a certe cose avrebbe fatto l’abitudine e avrebbe smesso di essere così bigotto, moralista e contadino. Quanto a Gesù… beh, qui perfino don Carrega ha un attimo di esitazione, non è mica una cosa da nulla dire che Gesù si era sbagliato perché non aveva conosciuto le meraviglie delle coppie omoaffettive; un’ombra di ritegno si è frapposta per un istante, ma solo per un istante, e poi via, superato anche questo scoglio, e via col vento in poppa: le parole di Gesù non si possono estrapolare, vanno contestualizzate, Lui parlava in un’epoca precisa, in un ambiente preciso. Cose già sentite, vero? C’è un’aria di famiglia in questo discorso. E infatti: sono le stesse parole, gli stessi argomenti, gli stessi concetti già espressi gloriosamente da padre Sosa Abascal, il nuovo generale dei gesuiti, il quale se la prendeva con quel bigotto del cardinale Gerhard Müller, allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, reo di aver ribadito il Magistero sul tema dell’indissolubilità matrimoniale. Ma Gesù, dice Sosa, parlava a un uditorio preciso, in un contesto preciso: per carità, non si può mica decontestualizzare! E come Sosa voleva arrivare a mettere in bocca a Gesù Cristo la dottrina opposta a quella che riferiscono i Vangeli, cioè che si può benissimo divorziare, così ora don Carrega vuol mettere in bocca a Gesù Cristo un’altra idea diametralmente opposta a quella che i Vangeli gli attribuiscono, sul tema della sodomia. Perché non è vero, come molti credono, che Gesù non ne ha mai parlato; ne ha parlato, invece, là dove ha detto (Mt, 10, 11-15):

In qualunque città o villaggio entriate, fatevi indicare se vi sia qualche persona degna, e lì rimanete fino alla vostra partenza. Entrando nella casa, rivolgetele il saluto. Se quella casa ne sarà degna, la vostra pace scenda sopra di essa; ma se non ne sarà degna, la vostra pace ritorni a voi. Se qualcuno poi non vi accoglierà e non darà ascolto alle vostre parole, uscite da quella casa o da quella città e scuotete la polvere dai vostri piedi. In verità vi dico, nel giorno del giudizio il paese di Sòdoma e Gomorra avrà una sorte più sopportabile di quella città.

Il che significa, a meno di pensare che Gesù fosse totalmente privo di logica e che parlasse come un mentecatto, senza saper costruire un ragionamento, che Sodoma e Gomorra, per Lui, cioè il peccato di sodomia, era e restava, come insegnato dalla Legge mosaica, un peccato gravissimo, uno dei più gravi che sia dato immaginare; ma che esiste un peccato perfino più grave di quello, che consiste nel respingere il suo Vangelo, cioè nel rifiuto deliberato della Verità (con buona pace della Dignitas humanae, che leva un inno alla libertà religiosa: perché no, non esiste libertà religiosa nel senso di poter rifiutare deliberatamente il Vangelo, come non esiste la libertà di peccare).

E come a Torino ora c’è il prete che tiene corsi di affettività e che insegna la fedeltà ai fidanzati gay, così nel Mediterraneo, a bordo di una delle navi di Luca Casarini, quelle che vanno a prendere i migranti sulle coste della Libia e poi li scaricano nei nostri porti, c’è un altro prete, giovane e con la faccia da bravo ragazzo, il quale dichiara alla stampa, senza fare una piega, che il Vangelo è lì, a bordo di quella nave. Che bella frase, vero? Il prete, fresco fresco di seminario, venticinque anni appena, si chiama don Mattia Ferrari, viene dalla diocesi Modena e ha la benedizione di ben tre vescovi: Lorefice di Palermo, Castellucci di Modena e Zuppi di Bologna (mentre per scomunicare don Minutella, reo di esser troppo cattolico, o forse cattolico con troppa veemenza, ne è bastato uno solo, Lorefice). Peccato che quella frase sia uno slogan totalmente vuoto, che non vuol dir nulla. Il Vangelo è dovunque ci sono due o tre riuniti nel none di Gesù, anzi, perfino dove ce n’è uno solo. È sulle navi e sulla terraferma; è fra i lontani e fra i vicini; fra i ricchi e fra i poveri; fra i giovani e fra i vecchi. Ma non è che ci sia più Vangelo sulle navi di Casarini che prendono a bordo i cosiddetti migranti, d’accordo con gli scafisti libici. Anzi, il Vangelo non c’è affatto, se i preti che piacciono a Bergoglio non parlano affatto del Vangelo di Gesù, non benedicono neppure i fedeli per non spiacere ai non cattolici (del resto, si sa che Dio non è cattolico; quindi, dove sta il problema?), e quanto ai seguaci delle altre religioni, come i migranti, che sono quasi tutti islamici, guai a parlar loro di Gesù Cristo, ma quando mai!, sarebbe una indelicatezza inaudita, non vi pare? E allora il bene supremo (e massonico) della libertà religiosa, dove andrebbe a finire? No, mai: non si deve predicare Gesù, non si deve cerar di convertire: è contrario alle buone maniere. Lo sanno tutti che Gesù, ai suoi apostoli, diceva di andar nei villaggi e nei paesi a predicare la solidarietà, l’inclusione, il dialogo; li ammoniva a non creare muri, a non escludere alcuno, ad astenersi dal fare il suo Nome, per non disgustare i pagani: non è vero? Certo che siamo pronti, ormai, a mandar giù anche simili discorsi, visto che il signore vestito di bianco dice sempre che Gesù, Giuseppe e Maria erano dei migranti, erano dei profughi, e quindi accogliere i migranti è accogliere Gesù. Ma quando mai Gesù ha prescritto di prendere a bordo i migranti? Quando mai Gesù era un migrante? Queste sono le fregnacce che il signore argentino travestito di bianco di ci rifila da sei anni, ma sarebbe ora che i veri cattolici gli dicessero: Eh, ma cosa stai dicendo? Con quale diritto stai falsificando il Vangelo, stai fabbricando un Gesù che non esiste, fatto a misura della tua contro-chiesa (e meno male che bisogna sempre contestualizzare!), un Gesù che piace a Scalfari e a Bonino, cioè un Gesù massone, che non ha più niente di cristiano?

Ebbene: c’è stato un tempo, fino a qualche anno fa, in cui ci sembrava che con questi preti, con questi vescovi, con questo teologi, con questi "cattolici" progressisti, inclusivi e vaticansecondisti, bisognasse comunque parlare, cercar di capirli e di farsi capire. Forse, pensavamo, sbagliano in buona fede; forse c’è un equivoco di fondo, un malinteso; forse, sforzandosi di ascoltare, si arriverà a un qualche risultato. Poi, un po’ alla volta, abbiamo dovuto ricrederci. Più che i discorsi, più che le azioni, è stata la mimica facciale: è stato quel sorrisetto, quel sorrisetto di superiorità che hanno stampato sulla faccia mentre dicono gli spropositi più grossi, le eresie più invereconde, le bestemmie più rivoltanti. Il sorrisetto che si vede sulla faccia di don Paolo Scquizzato, sulla faccia di don Gianluca Carrega, lo stesso che si vede sulla faccia di Sosa Abascal e di James Martin. Loro hanno capito, noi no. Loro sanno cosa disse Gesù Cristo, noi no. Loro sono giunti al cuore dell’Amore, noi no. Perciò sorridono: sorridono della nostra ignoranza, della nostra rozzezza, della nostra superstizione. Ed è stato quel sorrisetto, sempre uguale, con quella sfumatura di disprezzo, con quell’aria di serenità, propria di chi è nel vero e nel giusto, e va avanti anche se gli altri non capiscono e non sono persuasi; è quel sorrisetto che ci ha fatto cambiare idea. C’è stato un tempo in cui volevamo confrontarci, cercar di capire e di farci capire. Poi abbiamo capito che non c’è niente da capire: che con loro non esiste dialogo possibile, ma non per nostra cattiva volontà, bensì perché la loro intenzione non è quella di annunciare il Vangelo di Gesù, ma un altro vangelo, con la minuscola, che piace al mondo e dice al peccatore: Resta pure nel tuo peccato, non ti preoccupare; va bene così, va bene lo stesso. Un contro-vangelo diabolico, satanico, fatto per trascinare le anime all’inferno. Che se lo tengano. Non c’è dialogo possibile fra noi e loro. Lasciamoli coi loro sorrisetti di tranquilla superiorità: loro sì che sanno apprezzare la tenerezza dell’affettività omofila; noi, no…

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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