
La “svolta” post-conciliare era inevitabile?
23 Aprile 2019
Rosai, dalla pena del finito allo splendore dell’essere
24 Aprile 2019Forse lo avrete notato, o forse no: i preti bergogliani e i teologi modernisti rivelano quasi sempre un comune denominatore antropologico: portano stampato sulla faccia, imperturbabile, incancellabile, inestinguibile, come fosse una seconda natura, un sorrisetto più o meno grazioso, talvolta anzi francamente antipatico, dal quale non si separano neanche quando proferiscono le più sfrontate enormità e le più sacrileghe eresie. Fa parte di loro, è tutt’uno con loro: parlano e sorridono; tacciono e sorridono; provocano, offendono, bestemmiano, e sorridono sempre, serafici, inalterabili, impenetrabili a qualsiasi elemento di critica, non parliamo poi di autocritica. In ogni caso, non è un sorriso di benevolenza; non è un sorriso che viene dalla serenità del cuore; non è un sorriso che rifletta l’amore di Dio; al contrario: è un sorriso ironico, sferzante, di sfida, tutto e solamente umano, un sorriso di superiorità: il sorriso di chi sa di essere in alto, e si trova a dover ragionare con chi sta in basso, con chi non è capace di stare alla loro altezza, con chi è inferiore. Un sorriso simile a quello dei philosophes illuministi: il sorrisetto stampato sulla faccia di Voltaire, o di La Mettrie, immancabile, imperturbabile, in tutti i loro ritratti. Un sorrisetto malizioso, con una luce birichina che brilla nello sguardo: come a dire: Noi sì che abbiamo capito come stanno le cose; voi, invece, poveretti, niente. Per questo è giusto che a fare la cultura siamo noi, e non voi: perché noi siamo migliori di voi, siamo più intelligenti, siamo portatori dei lumi nel buio della vostra ignoranza. Prego, zoticoni: lasciateci passare e spostatevi in là, fatevi da parte: arriviamo noi e vi rechiamo gl’immensi benefici del progresso e della modernità. È un sorrisetto che precede qualsiasi discorso e che rende superfluo qualunque ragionamento; sì, possiamo anche discutere con loro, ma tanto essi hanno già vinto, hanno già sbaragliato qualunque obiezione, perché, sorridendo a quel modo, hanno mostrato la loro superiorità: siamo noi che dobbiamo adeguarci, non loro; siamo noi che ci troviamo in difetto, non loro; siamo noi che dobbiamo imparare, mentre loro sanno già tutto, hanno capito ogni cosa, sono arrivati per primi, noi siamo alla retroguardia, arranchiamo, la nostra stessa esistenza non è che un fardello per la società. Ah, come si starebbe meglio se ci fossero loro soltanto! Infatti, non si degnano neppure di prendere in considerazione i discorsi altrui; le critiche non li toccano, non li sfiorano neppure; se, poi, sono critiche rivolte al loro sacro idolo, il signore argentino travestito di bianco, tutto quel che si degnano di fare è scrollare le spalle, scuotere la testa e lasciar trasparire il loro infinto disprezzo. Ma sempre senza replicare, senza a argomentare, senza mettere in fila uno straccio di ragionamento: non serve, non ce n’è bisogno. Loro sono il progresso, sono la modernità: prima o poi anche i più zucconi, anche i più oscurantisti capiranno e la smetteranno con le loro inutili battaglie di retroguardia. In fondo, hanno tutte le ragioni: perché dovrebbero affaticarsi a discutere, a confrontarsi, quando hanno già vinto la partita? L’hanno vinta perché agiscono in regime di monopolio: hanno tutti i giornali, da Famiglia Cristiana a L’Avvenire, da La Civiltà Cattolica a Vita Pastorale; hanno tutti i microfoni, tutte le televisioni; hanno anche il sostegno della stampa e delle televisioni laiche, da La Repubblica a Mediaset. Perché dovrebbero abbassarsi a un confronto con quattro sfigati che non si arrendono, che non demordono, che non si dichiarano vinti e non si mettono ad applaudire Bergoglio, fino a spellarsi le mani, come fanno e predicano loro? Da quando in qua un cosmografo tolemaico ha il diritto di confrontarsi, da pari a pari, con uno copernicano? Da quando in qua un biologo non evoluzionista ha diritto a confrontarsi, da pari a pari, con uno evoluzionista? E come potrebbe pretendere, uno psicologo che non crede alla psicanalisi, di confrontarsi da pari a pari con uno psicanalista? Via, siamo seri. Se gli uomini evoluti perdessero tempo a discutere con gli uomini incivili, il progresso si fermerebbe e l’umanità resterebbe ferma. Perciò bisogna capirli, se hanno quel sorrisetto stampato sulla faccia: in fondo, è divertente: devono fare i conti, loro così evoluti, con le ultime vestigia del Medioevo, e sai che pazienza ci vuole, nei loro panni: meglio sorridere sul teatro del mondo.
E allora guardiamoli bene: guardiamoli da vicino questi signori che hanno la verità in tasca e che smentiscono e contraddicono quasi duemila anni di Magistero, rileggono a loro modo la Scrittura, ignorano deliberatamente la Tradizione, insomma riscrivono da cima a fondo il cattolicesimo, e lo fanno con quel beato, invidiabile sorrisetto sulle labbra, e quella luce ironica e un po’ divertita nello sguardo. Ecco don paolo Scquizzato, il quale ci spiega, dagli schermi di Tv2000, la Tv dei vescovi, che l’Atto di dolore è una preghiera totalmente sbagliata, perché insegna che il peccato è un’offesa fatta a Dio, cosa che non è assolutamente vera: e lo dice appunto con quel sorrisetto inalterabile, quasi serafico, che somiglia tanto a quello di certi leader sessantottini di cinquant’anni fa, quando, da dietro le lenti degli occhialetti dalle lenti rotonde, che facevano tanto "intellettuale" bolscevico, discettavano dell’universo mondo spiegando, con pazienza, che tutto andava male a causa dell’ottusità e dell’egoismo borghesi, dell’ipocrisia e della laidezza borghesi, ma che presto, grazie alla lettura marxista dell’economia e della politica, grazie al materialismo storico e alla critica rivoluzionaria, le cose avrebbero cominciato ad andare meglio, molto meglio, purché si sapessero cogliere gli stimoli progressivi emergenti dalle medesime contraddizioni di classe. La stessa saccenteria, la stessa petulanza, la stessa rocciosa indifferenza agli eventuali argomenti del "nemico": e il nemico, ora come ora, non sono i terroristi che ammazzano centinaia di cristiani in ogni parte del mondo; non solo le lobby massoniche che propagandano l’eutanasia e le adozioni dei bambini per le coppie gay, né le politiche abortiste che causano la soppressione di milioni di nascituri. No: il nemico sono i cattolici tradizionalisti, questa odiosa genia così dura a morire, che non si rassegna, che intralcia e ritarda inutilmente l’inevitabile trionfo della massoneria ecclesiastica, cioè, volevamo dire, del cattolicesimo adulto, laico e non settario, quello che non benedice i fedeli per non offendere chi non è cattolico, quello che proclama che Dio non è cattolico, e che è da sciocchi andare in giro ad annunciare il Vangelo di un certo Gesù Cristo. Questo è il cattolicesimo che piace a codesti preti progressisti, pieni di amore per il prossimo, ma specialmente per gli africani, per i rom e per i travestiti, un po’ meno per gli italiani onesti, che hanno sempre lavorato nella loro vita, pagato le tasse e rispettato le leggi, e che ora non ne possono più di questa invasione, né delle politiche volute dalla BCE – che tanto piace ai vescovi e alla quale, a sua volta, tanto piace Bergoglio – le quali li hanno impoveriti oltre ogni misura negli ultimi anni, fin quasi a condurli alla disperazione.
Un altro sorrisetto esemplare? Quello del gesuita padre Sosa Abasca, il quale spiega alla gente un po’ ignorante e credulona, servendosi di un’intervista alla stampa laica (mica di una omelia in chiesa o di un documento ufficiale del suo ordine, oh no: quello sarebbe "clericalismo", il più gran male che affligga la Chiesa odierna) che il diavolo non esiste e non è mai esistito; e che, per ciliegina sulla torta, nessuno può sapere quel che disse realmente Gesù Cristo; ma lui sa, in compenso, quel che non disse: non disse, ad esempio, che il matrimonio è indissolubile e non sostenne che dividere ciò che Dio ha unito è una cosa sbagliata. Ma le dice, padre Sosa, queste e simile cose, con una tale grazia, con una tale leggerezza, con una tale sovrana tranquillità, quasi un misto di disinvoltura sudamericana e di flemma anglosassone, che è difficile, quasi impossibile volergliene. C’è una luce così allegra nei suoi occhiett8i vivaci; e poi quel sorrisetto a fior di labbra, dietro quei baffetti così carini, così "laici" e anticlericali; c’è una tale gradevole mondanità nei suoi modi, in tutta la sua persona, che è quasi impossibile non provare sentimenti di empatia verso di lui. Cime potrebbe essere cattivo, o semplicemente incosciente, un uomo che sorride così, con tanta dolcezza; un uomo dai capelli bianchi, che sarà pure diventato adulto per qualcosa, mica per scherzare con le serie come fanno certi ragazzini! Sembra lo zio di casa, bonario, mite, pieno di buon senso: infatti, quale maggior espressione di buon senso che quella di osservare che al tempo di Gesù non c’erano i registratori? E ti guarda, e sorride, e ti senti estasiati, ti par di bere una camomilla, ti senti in pace con il mondo: se è cos’ serafico lui, nel dire quelle cose, come potremmo non sentirci bene con l’universo anche noi, ascoltandole? E poi quei gilet, quei maglioncini, quelle magliette a righe con le maniche corte: pare un nonno che viene da una partita a bocce con gli amici, un mite pensionato che si gode in santa tranquillità gli anni della quiescenza. Sì, è vero che è un figlio di papà, viene da una famiglia ricca e potente e ora gioca a fare il tifo per i poveri; ma bisogna perdonarglielo, sono difetti veniali, rispetto alla grande umanità, alla grande simpatia che ispirano i suoi gesti semplici, le sue parole senza spocchia professorale. Non è forse Bergoglio ad averci abituati a questo cambio di prospettiva? Non conta la dottrina, anzi la dottrina è una cosa di cui diffidare, è fatta per le persone rigide e prive di misericordia; e non conta neanche la logica, perché bisogna dar la precedenza alle emozioni, a ciò che si sente a pelle, bisogna andare là dove ti porta il cuore, come disse un grande filosofo dei tempi antichi. Non si deve annoiare i giovani con la dottrina, coi precetti, tanto meno coi divieti: bisogna allettarli e conquistarli con le emozioni, Gesù ti emoziona, devi lasciarti trasportare, tu chiamale se vuoi emozioni, come diceva un altro grandissimo pensatore di qualche secolo fa. Vogliamo continuare con la galleria dei sorrisetti? Ecco allora quello di Enzo Bianchi. È il meno scherzoso, il più aggressivo: nessuna luce di cristiana bontà in quegli occhi freddi e duri come il ghiaccio, ma solo un infinto disdegno verso quanti non capiscono, né apprezzano le meraviglie dell’era postconciliare, specialmente quella bergogliana. Eppure, anche quegli occhi taglienti s’inteneriscono, si velano di commozione quando egli è al cospetto del suo grande modello, del papa francescano, misericordioso, immensamente vicino alla gente: una luce di complicità passa dall’uno all’altro sguardo, uno sguardo d’intesa che è un segnale in codice, noi sì che ci comprendiamo, noi sì che sappiamo dove vogliamo portare la navicella di san Pietro; e se agli altri non sta bene, tanto peggio per loro. E che dire del sorrisetto di Vincenzo Paglia, il cantore delle magnifiche gesta di Marco Pannella, il monsignore che fa affrescare la sua cattedrale con un gran dipinto inneggiante alla sodomia, e vi si fa raffigurare egli stesso; un dipinto, per di più, che oltraggia l’immagine di Cristo, ridicolizza e capovolge satanicamente il significato della divina Redenzione? E intanto lascia un buco da milioni di euro nella sua diocesi: ma nessuna paura, tanto paga la Chiesa, cioè paghiamo noi. È un sorrisetto furbo, navigato, da uomo esperto del mondo: e infatti lo si vede sorridere sempre, anche con un bicchiere in mano, accanto a Bergoglio, accanto a Myrta Merlino, accanto a Crescenzio Sepe, accanto a Giuseppe Fioroni, accanto a Gianfranco Ravasi, accanto a Giacinto Pannella, accanto a Roberto Benigni, insomma sempre accanto alla gente che piace. E sorride, sorride a tutti; al giornalista di Famiglia Cristiana che lo intervista, e ai suoi amici di Radio Radicale, ma soprattutto agl’invitati alla presentazione dei suoi libri. Un altro sorriso molto caratteristico? Quello di Antonio Spadaro, da dietro le lenti di direttore de La Civiltà Cattolica; un sorriso furbo, divertito: di che cosa, poi? Di assecondare con assoluta fedeltà la "rivoluzione" pastorale del signore argentino, anche smentendo l’intera tradizione della rivista? E Antonio Rizzolo, di che cosa sorride da dietro le lenti? Di aver politicizzato oltremodo Famiglia Cristiana e averla portata (insieme al suo predecessore, Antonio Sciortino) al minimo storico di 200.000 copie vendute, un settimanale che, quando parlava di Dio invece che di migranti e di Salvini, ne vendeva un milione mezzo? Eppure sorridono, sorridono tutti: sapranno loro il perché, ma intanto sorridono. Si vede che sono soddisfatti, che si sentono dalla parte giusta della barricata. Perché la vita è una guerra continua, non fra il bene e il male — questa è teologia vecchia, roba da Catechismo di Pio X, cioè da museo — ma fra cattolici moderni, proiettati verso le meraviglie del futuro, la società multietnica e multiculturale, e cattolici oscurantisti, tradizionalisti, populisti, sovranisti, insomma egoisti e razzisti, se non proprio fascisti. E il sorrisetto sardonico del gesuita James Martin, dove lo mettiamo? Non ce ne siano certo scordati: come avremmo potuto? È il prototipo, la quintessenza del sorrisetto del neoteologo modernista: ti guarda e sorride, con quella luce particolare nello sguardo, diciamo pure un po’ da pazzo, o da genio, o da artista, chi lo sa; ti guarda e gesticola, inarca le sopracciglia, spalanca le braccia, va in televisione a fare le corna con entrambe le mani; fa il serio e sorride, fa il buffone e sorride, sorride sempre, the show must go on, lo spettacolo deve continuare, non può fermarsi, chi si ferma è perduto. Infatti: che succederebbe se qualcuno s fermasse per riprendere il fiato, per riflettere un poco; se i cattolici ricominciassero a pensare, e a pensare da cattolici? Forse, davanti a tutti quei sorrisetti, proverebbero, di colpo, una vampata di furore. Forse vorrebbero gridare il loro sdegno, la loro indignazione, la loro rivolta. C’è poco da sorridere; Gesù, del resto, con tutta la sua immensa bontà, non aveva quel sorrisetto sulla faccia. Come lo sappiamo, visto che non c’erano le telecamere? Lo sappiamo perché molti Santi lo hanno visto e nessuno di loro, guarda caso, ha mai parlato d’un tale sorrisetto sul suo Volto di luce…
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