La battaglia-massacro di Attu, 1943: una riflessione
23 Aprile 2019
Quel sorrisetto dice più cose di voi che tutto il resto
23 Aprile 2019
La battaglia-massacro di Attu, 1943: una riflessione
23 Aprile 2019
Quel sorrisetto dice più cose di voi che tutto il resto
23 Aprile 2019
Mostra tutto

La “svolta” post-conciliare era inevitabile?

Su sente dire da molti che il cambiamento, nelle cose umane, è un fattore inevitabile; che tutto cambia continuamente, che è una legge inscritta nelle cose di questo modo. Cambiano le leggi, gli stili, le opinioni, gli ideali, i valori: tutto cambia incessantemente, ora a ritmo più lento, ora sotto la sferza di una drammatica accelerazione. È anche una legge della natura: nulla rimane fermo e uguale a se stesso; una foresta, ad esempio, è formata da milioni di piante che incessantemente i avvicendano, quelle vecchie cadono al suolo e concimano il terreno, ne spuntano altre, di nuove: nel corso di anni, decenni o secoli, tutte le piante sono state sostituite da nuovi esemplari, anche se l’aspetto complessivo del bosco può sembrare sostanzialmente uguale a com’era un tempo. E così per le cose umane: perfino le istituzioni, gli stati, le forme dell’economia. A volte si può assistere al cambiamento nell’arco di pochi anni: c’è un tempo in cui le persone vanno o tornano dalla banca e temono di poter esser rapinate per la strada, coi soldi da versare o con quelli appena ritirati nel portafogli; e un tempo in cui le persone percepiscono il pericolo di essere rapinate, ma in maniera assai più sofisticata, dentro la banca, non dai banditi mascherato ma dagli stessi funzionari dei quali si sono sempre fidati. C’era un tempo in cui entravano in banca con fiducia, a depositarvi i propri risparmi, e vi accompagnavano anche i propri figli ancora adolescenti, facendo aprire loro un libretto di conto corrente; e c’è un tempo in cui le persone entrano in banca con diffidenza, con inquietudine, vengono bombardate di offerte per l’acquisto di prodotti finanziari dei quali non sanno nulla, non capiscono nulla, e son costrette a fidarsi, sperano che tutto vada bene, ma non ne hanno l’assoluta certezza, come i loro genitori, di ritrovare intatti i loro risparmi nel prossimo futuro, quando avranno bisogno di prelevarli. Allo stesso modo, c’è un tempo in cui i ragazzi devono osservare delle chiare regole di comportamento, a casa e fuori; devono fare il proprio dovere a scuola, devono rientrare a una certa ora la sera, e c’è un tempo in cui son lasciati liberi di fare o di non fare pressoché qualsiasi cosa, di scaldare i banchi collezionando bocciature, di star fuori gran parte della notte, bere e divertirsi senza regola e senza misura.

Sulla base di queste osservazioni, la maggior parte delle persone, e qui stiamo parlando dei credenti, vede nella "svolta" che ha interessato la Chiesa cattolica dopo la morte di Pio XII, e specialmente dopo il Concilio Vaticano II qualcosa d’inevitabile, di naturale e assolutamente improcrastinabile, una vera e propria legge del destino. Se tutto cambia, perché non avrebbe dovuto cambiare anche la Chiesa? E se, a partire dagli anni ’50 e ’60 del secolo scorso, una potente accelerazione ha caratterizzato il cambiamento sociale, con la scomparsa della società contadina e con la nascita del consumismo, perché la Chiesa non avrebbe dovuto tenerne conto, non avrebbe dovuto riconsiderare la sua strategia; perché non avrebbe dovuto cercare di rimettersi al passo coi tempi e riguadagnare, così, il terreno perduto nei confronti del mondo moderno? Perché, questo è ciò che pensano quasi tutti, è innegabile che si era creato un forte "ritardo": la Chiesa di Pio XII era rimasta sostanzialmente la stessa di Pio XI, Benedetto XV, Pio X, Leone XIII e perfino di Pio IX: quel Pio IX che, con l’enciclica Quanta cura e con il Sillabo, aveva solennemente condannato le principali forme del mondo moderno, dal pensiero alla politica. Quel Pio IX che, mentre lo Stato della Chiesa andava in sfacelo, e la società italiana ed europea si andava secolarizzando, proclamava il dogma dell’Immacolata Concezione di Maria, poi il dogma dell’infallibilità papale. Insomma, quasi tutti i cattolici, se si trovano a riflettere su ciò che è accaduto fra l’elezione di Giovanni XXIII e il Concilio, sono pronti e disposti ad ammettere che un cambiamento era inevitabile, era salutare, era necessario, anzi era assolutamente indispensabile. Rievocano con una scrollata di spalle l’epoca anteriore, quando la Chiesa era "rigida", il clero era "formalista", il senso del peccato incombeva ovunque (?) e la morale cattolica era assurdamente repressiva; e traggono la conclusione che se, non fosse cambiata, se non si fosse rinnovata, la Chiesa sarebbe morta.

Che cosa rivela questo diffuso modo di ragionare, se non che la mentalità moderna è penetrata talmente a fondo nei cattolici, da impedir loro di vedere le cose come un cattolico le dovrebbe vedere, e come i loro genitori, i loro nonni e i loro avi le avevano sempre viste? I cattolici delle ultime due generazioni si sono bellamente scordati che, se nella dimensione umana tutto è soggetto al cambiamento, ed è perfettamente naturale che sia così, la Chiesa fondata da Gesù Cristo non è affatto una realtà naturale, ma soprannaturale. È soprannaturale nella sua origine, nel suo scopo, nella sua ispirazione: è una creazione di Dio ed è costantemente vivificata dallo Spirito Santo. Il fatto che, per la sua parte visibile, si regga sulle gambe degli uomini, non contraddice questa realtà, la rende più articolata e complessa, senza però stravolgerla. Gli uomini, in quanto uomini, sono soggetti alle tentazioni, agli errori e al peccato; ma la Chiesa, in quanto istituzione fondata e voluta da Gesù Cristo, è perenne, immutabile, infallibile. Dio non cambia idea; Dio non ha bisogno di riverniciature e aggiustamenti; la sua azione non necessita di revisioni periodiche. Ma, si dice, se la Volontà divina è immutabile, bisogna tuttavia adattare il modo di annunciarla agli uomini, tenendo conto delle trasformazioni economiche, sociali, culturali. Questa osservazione è in se stessa giusta e ragionevole, tuttavia va presa con molta cautela, perché nasconde una pericolosa insidia: quella di servirsi del mutamento nel modo di annunciare il Vangelo per introdurre dei mutamenti nella sostanza del Vangelo stesso. Teoricamente, si tratta di due ambiti così diversi, che sembrerebbe impossibile possa verificarsi una confusione o una sovrapposizione di funzioni e di obiettivi; in pratica, però, la cosa è possibile, possibilissima. Se si assume la legge del cambiamento come una legge inflessibile e inderogabile, si introietta un modo di pensare che non è più cristiano, ma storicista. Lo storicismo non è una maniera di declinare il cristianesimo, ne è la perfetta negazione. Lo storicismo assolutizza la storia, ne rimarca la centralità, ne fa l’arbitra di tutte le cose umane; il cristianesimo sa e non scorda mai che la storia umana non è chiusa in se stessa, non si produce da se stessa, ma ha un solo ed unico Signore, che è anche il Re dell’intero universo: Gesù Cristo. I secoli e i millenni piegano il ginocchio per adorare il Signore Crocifisso: questo è il punto di vista cristiano; e non ve ne sono altri. Perciò, quando si parla di un necessario aggiornamento del modo di annunciare il Vangelo, bisogna procedere coi piedi di piombo: la Chiesa non si aggiorna, perché la Chiesa riflette la Verità divina, e la Verità divina è perfetta e definitiva, nulla vi si può aggiungere, nulla vi si può togliere. Ripetiamo: chi ha compreso questo è un vero cristiano e un vero cattolico; chi non lo ha capito è uno storicista, o un luterano, o un modernista, o un relativista, o tutte queste cose insieme.

Il fatto è che quasi tutti i cattolici dei nostri giorni, senza rendersene conto, sono scivolati nell’errore storicista: non vedono più la storia come sottomessa al disegno di Dio, ma come una realtà autonoma, che procede da sola e che va dove gli uomini decidono di farla andare. Di qui l’errore dei novatori conciliari: l’idea che la Chiesa fosse ormai invecchiata e che avesse bisogno di un rilancio, trasformandosi profondamente nelle strutture, nelle finalità, nelle prospettive teologiche. Nulla di più falso, nulla di più sbagliato: eppure è stato creduto ed è stato accolto con entusiasmo, addirittura con sollievo. Via, aria fresca, far volare gli stracci! Un vento di follia ha attraversato la Chiesa all’epoca del Concilio: pochi uomini decisi e senza scrupoli, affiliati alla massoneria e perciò ferocemente nemici di Cristo, sono stati così abili da sfruttare questo confuso stato d’animo, questa introiezione di modi di penare e di sentire tipicamente moderni, da parte della maggioranza dei padri conciliari; inoltre, hanno saputo giovarsi del sostegno, non certo disinteressato, dei mezzi d’informazione laici, i quali non aspettavano occasione migliore per prendere d’assolto quella cittadella che, da duemila anni, nessuna potenza terrena era riuscita a conquistare o a snaturare. La mentalità moderna è stata la grande complice e la forza che ha reso possibile il colpo di mano della massoneria ecclesiastica: il suo capolavoro è stato quello di arruolare nelle sue file, inconsapevoli, un gran numero di vescovi, sacerdoti e fedeli in buona fede, ma ingenui, superficiali, sprovvisti di una salda visione teologica, e con una fede ormai gravemente indebolita. Perché quest’ultimo è stato il fattore decisivo: se la fede di quegli uomini fosse stata ancora salda; se la loro spiritualità fosse stata ancora integra; se avessero conservato la tensione verso la santità, verso la vita perfetta, verso la piena e incondizionata adesione alla Volontà del Padre celeste, esattamente come Gesù Cristo ha insegnato con le parole e con l’esempio della sua vita e del suo stesso Sacrificio, la "svolta" non ci sarebbe stata, perché non ve ne sarebbe stato alcun bisogno. Le anime si sarebbero rese conto che quanti cianciavano di svolte e di rinnovamento erano soltanto dei cattolici con poca fede, i quali si erano stancato della "severità" del Vangelo di Gesù (se il tuo occhio ti dà scandalo, strappatelo; se la tua mano o il tuo piede ti sono di scandalo, tagliateli!) e cercavano un pretesto per venire a patti con la mentalità del mondo. Si erano stancati: perché gli "altri" potevamo godersi la vita a modo loro, fare quel che volevano dentro e fuori le lenzuola, giudicare ogni cosa a proprio talento e non sentendosi vincolati alla Volontà di Dio? Essi volevano fare quel che faceva il mondo, perché l’esempio del nascente consumismo e quello dell’edonismo esasperato esercitava su di loro un fascino irresistibile; però volevano farlo con la benedizione della Chiesa: avevano pertanto necessità di una "chiesa" fatta sulla loro misura di cattolici tiepidi o, meglio, di ex cattolici che si vergognavano di confessare la loro apostasia. Se la fede della maggioranza dei cattolici non si fosse irreparabilmente indebolita, il Concilio non ci sarebbe stato, perché nessuno ne avrebbe visto, non che l’urgenza, neppure la necessità; o, se anche ci fosse stato, non si sarebbe trasformato in una macchina da guerra dei modernisti mascherati e della massoneria ecclesiastica, per sovvertire gradualmente, silenziosamente, abilmente, le basi stesse della religione cattolica. Libertà religiosa? Ma quando mai! Chi crede nel principio della libertà religiosa è un modernista, non è un cattolico, per il semplice fatto che adorare Dio nel dovuto modo non è una questione di gusti personali, ma di verità e pertanto un dovere ineludibile! Dialogo con le altre religioni e con le sette scismatiche protestanti: ma quando mai? Chi crede nel dialogo con le altre religioni e con le sette (non, si badi, con le singole persone che seguono le altre religioni e le altre sette) è uno storicista e un relativista, non più un cattolico. Riconoscimento della piena legittimità del giudaismo, anzi, pieno riconoscimento della "verità" degli ebrei, in quanto pur sempre eredi dell’Alleanza divina? Ma quando mai! Tanto varrebbe dire che il cristianesimo è nato per sbaglio e che Cristo poteva risparmiarsi tanto l’Incarnazione che la Passione e la Morte sulla Croce: se il popolo eletto c’era già, e se la Rivelazione era destinata ad esso soltanto, perché mai Gesù si sarebbe preso la briga di fondare una sua Chiesa? Perché mai avrebbe raccomandato a san Pietro, ripetendoglielo pere tre volte: Pasci le mie pecorelle? E perché avrebbe detto che ci sono altre pecorelle che devono essere raggruppate, affinché vi siano un solo gregge ed un solo pastore? Forse parlava per scherzo? Possibile che avesse voglia di scherzare su delle cose tanto serie? E poi ancora, secondo i padri conciliari: basta con gli anatemi, basta con le difese contro l’eresia, avanti con la dolcezza e la misericordia? Ma quando mai! I nemici di Cristo esistevano, allora come oggi, come sempre: abolire le difese, inibire lo spirito di residenza, mortificare il senso della militanza cattolica e la fierezza di essere seguaci di Cristo, equivale a una autodistruzione deliberata: non si possono abbassare le difese quando si è sotto attacco. Come dite, che la Chiesa non è sotto attacco? E i trecento morti, in gran parte cristiani, che la Pasqua del 2019 ha fatto registrare nello Sri Lanka, per opera di terroristi islamici, sono acqua fresca? Anche se i mass-media hanno fatto di tutto per far credere che si sia trattato di un "terrorismo" di matrice generica, e che abbia colpito a caso, non si sa chi, magari dei semplici turisti occidentali: nossignori, sono stati attacchi contro i cristiani, mirati e pianificati in base al criterio dell’odio religioso. Come sarebbe, che la Chiesa non è sotto attacco? E tuttavia l’attacco più insidioso non è quello che viene dall’esterno, ma quello che sale dal’interno. Una Chiesa che non parla più dell’aborto; che non condanna la sodomia, anzi la liberalizza; che non si pronuncia sull’eutanasia; che autorizza la Comunione ai divorziati risposati: che razza di chiesa è? Non possiamo più nemmeno scriverla con la lettera maiuscola, perché non è più la Sposa di Cristo, ma una sua immonda contraffazione, creata allo scopo di confondere e perdere le anime: è la Sinagoga di Satana. Per la restaurazione della vera Sposa di Cristo, che è immortale, perché non si regge solo (per fortuna!) sulle gambe degli uomini, sulle loro umane qualità, sulle loro capacità, diciamolo forte e chiaro: fuori i profanatori dalla Chiesa! Fuori, a pedate nel sedere! Hanno insozzato, hanno insudiciato abbastanza; hanno sparso veleno a piene mani, ingannando i fedeli, traviando le anime. Il giudizio di Dio sta loro sospeso sul capo. E anche sul nostro, se saremo così deboli, così vili, così tiepidi, meschini e opportunisti, da tollerare oltre questa inaudita profanazione.

Fonte dell'immagine in evidenza: sconosciuta, contattare gli amministratori per chiedere l'attribuzione

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
Hai notato degli errori in questo articolo?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.