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Il peccato è il solo vero male del mondo

Secondo il teologo don Paolo Squizzato — lo ha affermato nel corso di un intervista a Tv2000, la TV della C.E.I. — l’Atto di dolore "non ha nulla di cristiano" e ha lamentato che questa "terribile" preghiera, "purtroppo", venga ancora recitata in occasione del sacramento della Penitenza; il suo giudizio si fonda sulla convinzione che "Dio non si può offendere" e che "Dio non castiga", perché Gesù è venuto a insegnarci "un altro tipo di Dio, di Padre". Ciò equivale a dire che la Chiesa cattolica, per millenovecento anni, ha insegnato qualcosa di radicalmente sbagliato; che il catechismo è tutto sbagliato e da riscrivere; e che san Pio X, in particolare, doveva dare i numeri allorché scriveva, al punto 135 del suo Catechismo, che IL PECCATO È UN’OFFESA FATTA A DIO, DISOBBEDENDO ALLA SUA LEGGE. Ora, che Dio non si possa offendere, è un concetto che don Squizzato non ha chiarito neppure sul piano sintattico. Non si può offendere nel senso che gli uomini non sono capaci di offenderlo, o che Lui non si lascia toccare dalle offese degli uomini? Nel primo significato, si tratta certamente di un’affermazione falsa: perché, se il peccato è, come realmente è, un’azione morale volontaria, allora quel che conta è l’intenzione di colui che pecca e non il risultato pratico. Un delitto non cessa di essere tale perché le circostanze esterne lo fanno abortire: quel che conta è se vi era l’intenzione di compierlo. Immaginiamo un uomo che voglia prendere a sassate un suo simile che si trova a parecchi metri di distanza: egli scaglia le pietre con tutta la sua forza, ben deciso a colpire l’altro; se non vi riesce, perché il suo braccio non possiede una potenza sufficiente a colmare la distanza, ciò non toglie che egli voleva colpire e forse uccidere. La stessa cosa si può dire del peccato. È chiaro che l’uomo non è in grado di offendere Dio: come potrebbe la creatura scalfire l’integrità del suo Creatore? Tuttavia, l’intenzione perversa c’è; se non ci fosse, non saremmo in presenza di un peccato. Il peccato è un’azione cattiva commessa in piena consapevolezza; se manca la consapevolezza, allora non si tratta di un peccato. E veniamo al secondo possibile significato. Dio non può offendersi? Non può offendersi con il peccatore, nel significato umano del termine "offendersi"; tuttavia il peccato non lo lascia indifferente. Gesù ha insegnato molte parabole dalle quali energie che i peccati non lasciano indifferente il Padre celeste. Quando i vignaioli omicidi, dopo essersi impossessati della vigna, malmenano e cacciano i servi, e alla fine uccidono perfino il Figlio del padrone, mandato da loro per ricondurli alla ragione, alla fine — sono gli ascoltatori di Gesù che rispondono, e Lui approva quelle parole — il padrone farà morire miseramente quei malvagi e darà la vigna ad altri vignaioli che gli consegneranno i frutti a suo tempo (Matteo, 21, 41). Perciò, non giochiamo con le parole: certo che Dio non si "offende" nel senso volgare della parola, perché Dio non è permaloso o suscettibile, come lo sono gli esseri umani; tuttavia Egli è Padre, e quale padre non soffre di fronte alla malvagità e all’ingratitudine dei suoi figli? Se il padre del figlio prodigo corre incontro a quest’ultimo, e fa festa, pieno di gioia, ciò non attesta chiaramente quanto avesse sofferto in precedenza, credendo che quel figlio si fosse perduto per sempre? E quando Gesù narra la parabola della pecorella smarrita, non vuol forse insegnare che Dio è talmente sollecito della salvezza di ciascun’anima umana, da soffrire all’idea che qualcuna si perda? Il Dio cristiano non è un Dio impassibile; non è chiuso nella sua divina indifferenza, nella atarassia dei filosofi greci; non è imperturbabile, non è olimpicamente distaccato: i peccati degli uomini lo rattristano profondamente. Se così non fosse, perché mai il suo Figlio si sarebbe Incarnato e avrebbe affrontato la Passione e la Morte, per poi risorgere? Solo un Dio che ama immensamente gli uomini, può giungere a tanto; e se li ama immensamente, senza dubbio soffre profondamente davanti allo spettacolo dei loro peccati. Non è toccato da quei peccati in senso materiale, ma ne è ferito, cioè, etimologicamente, "offeso", in senso morale. Questo sì, caro don Squizzato. Non sappiamo dove lei abbia studiato la teologia morale; ma dubitiamo che abbia ben letto e meditato il Vangelo, anche se, in quella famigerata intervista televisiva – rilasciata, oltretutto, pochi giorni prima della Pasqua, cioè in piena Quaresima – lei ha affermato

Credo che proprio noi come Chiesa oggi dobbiamo recuperare, ridare un senso alle parole. Perché per molto tempo, per secoli, abbiamo spolpato di significato le parole. (…) Molto di ciò che propone la Chiesa o ha proposto per secoli è stato qualcosa un po’ di proibito e un po’ di obbligatorio. (…) Io credo che dobbiamo come cristiani soprattutto oggi tornare al Vangelo autentico, a un vangelo "sine glossa" come direbbe san Francesco. (…) Termini come sacrificio, come mortificazione, come fioretti, tutta questa cosa non è evangelica, non c’è nel vangelo.

Ma lei per primo, ha dato un senso esatto alle parole? Lei sa benissimo che la Chiesa non ha mai insegnato che Dio si offendere davanti al peccato, come un essere umano si offende davanti a uno sgarbo a un insulto. Lo sa, ma finge di non saperlo. Lei vuole apparire moderno, vuol essere popolare dicendo le cose che piacciono ai non cristiani o ai cristiani tiepidi e accomodanti, i quali amano fabbricarsi un Dio a misura della loro tiepidezza. E si permette di accusare il clero di aver spolpato si significato le parole del Vangelo, addirittura per dei secoli: alla faccia della modestia. Ma ora è arrivato lei, è arrivato Enzo Bianchi, è arrivato Paglia, è arrivato Bergoglio, e il senso delle parole finalmente è tornato, giusto? Sono arrivati dei preti moderni e al passo coi tempi, come il parroco della chiesa di San Rocco, a Gorizia, don Ruggero Dipiazza, il quale, a quanto riportato da una fedele, ha detto di non credere alla Transustanziazione, e quindi dà in mano la Particola consacrata a un extracomunitario che se la mette tranquillamente in tasca e se ne va via, e poi racconta tutto questo ai fedeli, come se fosse la cosa più naturale del mondo; o come quel don Fredo Olivero, a Torino, che non fa recitare il Credo ai suoi parrocchiani, perché lui, tanto, non ci crede. Ma voi preti moderni, in compenso, sapete come si torna al Vangelo autentico, dopo secoli di adulterazioni; meno male che siete arrivati voi, e avete tratto la Chiesa fuori dai suoi errori secolari: quanto siamo fortunati, noi cattolici di oggi, a vivere in un tempo così meraviglioso, il tempo dei don Dipiazza, dei don Olivero e dei don Squizzato. E come sono stati sfortunati, invece, i nostri genitori e i nostri nonni, e come siamo stato sfortunati noi stessi, da bambini, ad avere appreso i rudimenti della fede cattolica dal Catechismo di san Pio X, dove tutto è così schematico, così riduttivo, così rigido e scarsamente misericordioso! Figuriamoci: nessuno ci aveva insegnato che Gesù non castiga i peccati! Strano, però; infatti ci sembra che Gesù Cristo, in parecchie occasioni, abbia pronunciati frasi come questa: (Matteo, 13, 41-43):

Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente dove sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, intenda!

Ma voi, che vi ritenete migliori dei Padri della Chiesa, di s. Agostino, di s. Tommaso, di santa Teresa d’Avila, di santa Veronica Giuliani, di s. Giovanni Bosco, della serva di Dio Lucia dos Santos, di santa Faustina Kowalka, di s. Pio da Pietrelcina, tutti uomini e donne che hanno avuto il privilegio di poter gettare uno sguardo sull’Aldilà e vedere anche la sorte dei dannati, all’inferno, voi vi permettete di dire che bisogna tornare a un Vangelo "autentico", a un Vangelo sine glossa. Perché, quello insegnato finora non è il Vangelo autentico? È un Vangelo apocrifo, inattendibile? Ditecelo voi, che siete dei campioni di scienza teologica, oltre che di modestia cristiana: abbiate il coraggio di dirlo chiaro e tondo: prima di voi, fino al vostro arrivo, la Chiesa non aveva capito praticamente nulla, era proprio fuori strada. Parlava perfino di sacrificio, di mortificazione, di fioretti: eh, che brutte cose! Che zavorra, che moneta fuori corso, che merce avariata! I fioretti, poi: figuriamoci! Ma come si poteva essere così crudeli, così insensati, da tormentare i poveri bambini insegnando loro che Gesù e la Madonna gradiscono l’offerta di un piccolo fiore, di una rinuncia, di un "fioretto", appunto. Suvvia: neppure i barbari idolatri delle più buie foreste africane arrivavano a un tale grado di feticismo, d’idolatria! E pensare che i nostri genitori, e persino alcuni di noi, hanno avuto un’infanzia così infelice, da sentirsi dire, sul peccato, cose raccapriccianti come queste (da: mons. Giuseppe Perardi, Nuovo Manuale del Catechista per l’insegnamento della dottrina cristiana, Torino, R. Berruti & C., 1943, pp. 231-232):

1. È cosa importantissima saper bene ciò che è il peccato, poiché talora anche dai fanciulli se ne parla con leggerezza, come di cosa da nulla e talora anche se ne ride e si disprezza chi teme il peccato.

2. IL PECCATO È UN’OFFESA FATTA A DIO. Vi pare poca cosa offendere Dio? Voi intendete facilmente che il male dell’offesa è tanto più grave quanto più grande e degna è la persona offesa. È male che un fanciullo offenda un compagno, un fratello, più male se offende il padre, il sacerdote, il Sovrano, il Vescovo, il Papa. E che male sarà dunque offendere Dio di maestà infinita, il Creatore, il Sommo Bene, Dio onnipotente che un giorno ci giudicherà?

3. Il peccato offende Dio perché è disobbedienza alla sua legge. Chiunque disobbedisce, offende colui che legittimamente gli comanda, sia il maestro, sia il padre. Col peccato, si disobbedisce a Dio, il quale è l’autorità suprema e somma e dalla quale dipendono tutte le autorità. Se un padre ha diritto di essere obbedito dai figli, e giustamente si ritiene offeso dalla loro disobbedienza, Dio che ha supremi e infiniti diritti sull’uomo, sua creatura, non dovrebbe tenersi offeso dalla disobbedienza di lui?

Il peccato è disobbedienza alla legge di Dio anche quando si trasgrediscono i precetti della Chiesa; perché la Chiesa è fondata da Gesù Cristo e da Lui ha ricevuto il potere di fare precetti; e quindi chi disobbedisce alla Chiesa disobbedisce a Dio che col Quarto comandamento c’impone di essere sottomessi e obbedire ai superiori in autorità. Chi disobbedisce ai superiori in autorità, disobbedisce a Dio da cui viene loro il potere di comandare, e perciò pecca contro la legge di Dio.

4. Da ciò appare che il solo vero male del mondo è il peccato, perché, per se stesso, come offesa di Dio, è anche suo male. Se considerate questa verità non vi accadrà mai, come accade a taluni fanciulli, di parlare del peccato quasi fosse cosa da nulla, di riderne, di disprezzare altri compagni con quelle parole sarcastiche: "Ha paura di far peccato; non ardisce far questo perché è peccato!" Solo una grande ignoranza o una malizia diabolica possono metter sulle labbra d’un cristiano parole sì orrende.

Ecco, dunque, da dove viene la vostra sfrontatezza nel minimizzare la gravità del peccato e perfino, come fa il gesuita James Martin, a proposito della sodomia, nell’affermare baldanzosamente che il peccato non è più peccato, e che è il catechismo a sbagliare: dal fatto che vi sentite le spalle coperte dal signore che si fa chiamare papa, ma che è stato eletto da un conclave di cardinali massoni e nemici della Chiesa, al preciso scopo di distruggerla. Quell’uomo malvagio, e che si crede astuto, il quale non teme Dio, perché si inginocchia e bacia i piedi agli uomini, ma non s’inginocchia mai davanti all’Altissimo; e che non si perita di strumentalizzare perfino la Via Crucis del Venerdì Santo, per trasformarla in un grande spot pubblicitario a favore dell’immigrazione/invasione africana dell’Italia, e contro il governo di cui è ministro Matteo Salvini; quell’uomo che il suo superiore, padre Kolvenbach, sconsigliava di nominare anche solo vescovo, perché lo definiva volgare, bugiardo, simulatore, ammantato di falsa umiltà, disobbediente e fortemente divisivo, vi protegge e v’incoraggia nei vostri atteggiamenti. Per definire i quali non si può che scegliere fra le due alternative indicate da monsignor Perardi: o sono il frutto di una grande ignoranza, oppure di una malizia diabolica. Noi propendiamo per entrambe, ma più per la seconda che la prima: perché l’ignoranza, di per sé, non giunge mai fino al capovolgimento delle verità della fede, se accompagnata dall’umiltà e dal timor di Dio; mentre per arrivare a tanto è necessario che vi sia la piena consapevolezza di fare il male. Ora, voi sapete molto bene quel che state facendo: vi state assumendo una responsabilità gravissima, incalcolabile: quella di accusare la Chiesa di aver insegnato false dottrine per millenovecento anni, mentre ora voi soli, a partire dal Concilio Vaticano II, dite la verità sul nostro Signore Gesù Cristo. Voi dunque state gettando nella confusione le anime che vi sono state affidate. Ma ricordate quel che dice Gesù Cristo a proposito di chi dà scandalo?…

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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