
Ennesima omelia scandalosa e
15 Aprile 2019
Io devo esser maciullato dai denti delle belve…
16 Aprile 2019La nostra società è moralmente allo sbando; e l’incendio della cattedrale di Notre Dame, a Parigi, il pomeriggio del 15 aprile 2009, è l’immagine simbolica di questo sbandamento, di questa apostasia dalle proprie radici. Da anni, da decenni, abbiamo smesso di parlare ai giovani del bene e del male; abbiamo smesso di insegnar loro che alcune cose sono buone e vanno fatte, altre sono cattive e vanno evitate. Il permissivismo e il relativismo si son dati la mano, frutti velenosi del ’68: se non c’è più la verità, non c’è più neanche la morale; la verità è soggettiva, e così anche la morale è soggettiva. Buono è quel che piace a me; e poco importa se quel mio "bene", o presunto tale, provoca il male degli altri. Abbiamo smesso di parlare ai bambini, agli adolescenti, ai ragazzi, del male e del bene; abbiamo smesso di parlar loro del giusto e dell’ingiusto, del vero e del falso. Le religioni? Sono tutte lecite e buone; non c’è differenza; portano tutte a Dio. I comportamenti sessuali? Sono tutti leciti e buoni: vengono dalla natura, dunque è sbagliato inibirsi, reprimersi. L’arte, la poesia, la letteratura, la musica? Va bene tutto, è tutto arte: anche una secchiata di vernice gettata a caso sulla tela; anche un vasetto pieno di escrementi; anche un frenetico rullar di tamburi, monotono, ossessionante, senza fantasia; anche strillare quattro parole nel microfono, senza armonia, senza senso, magari quattro bestemmie, o quattro parolacce, così, tanto per épater les bourgeois. La scuola? Sempre meno cultura, sempre meno italiano, greco, latino, matematica, e sempre più progetti: progetto sulla salute, progetto sulla sessualità, progetto sull’educazione civica, progetto sulla lotta alla mafia (anzi, alle mafie, come vuole don Luigi Ciotti), progetto sull’accoglienza, progetto sull’inclusione, progetto sull’ambiente, e naturalmente sciopero per il clima, dietro alla piccola Greta, che un vescovo tedesco ha paragonato a Gesù Cristo per l’importanza storica della sua missione. Chiacchiere, un mare di chiacchiere; chiacchiere, per di più, di marca prettamente ideologica; almeno fossero chiacchiere che partono dalla vita, dalla vita vera, dalla realtà vera. Ma no: la realtà non conta, è incidentale; conta l’ideologia. E se l’ideologia dice che la natura umana è buona, e che il male viene dall’esterno (come insegna Rousseau), allora sarà senz’altro così. Per cui avere o non avere settecentomila clandestini che vivono spacciando droga e rapinando case, o farne venire degli altri ancora, non è importante: importante è accogliere. Il problema non sono le cose, ma la società. Il problema non è la droga, né la delinquenza, né la malattia mentale: il problema è la società che non accoglie, si chiude a riccio e ha paura del cambiamento. Il problema è la società che non accetta la pazzia, non accetta la devianza, non accetta l’anormalità. Il problema non è la sodomia, ma l’omofobia; non è l’immigrazione/invasione, ma il razzismo; non l’ignoranza, la pigrizia e la superficialità, ma il genitore o il professore troppo severo. Insomma il problema non sta in chi viola le regole (quali regole?), in chi calpesta la morale (quale morale, poi?), in chi crea problemi e difficoltà agli altri, oltre che a se stesso: il problema consiste nel fatto che c’è ancora qualcuno che fa resistenza, che non si adegua, che non accetta. Un buon esempio di questa mentalità è dato da quel cattivo maestro che fu Franco Basaglia, colui che ottenne la chiusura dei manicomi e che gettò sulle famiglie dei malati di mente un peso insopportabile, lasciandole soli coi loro drammi. Citiamo una sua frase che compendia perfettamente la mentalità sessantottesca, che allora pareva espressione di una cultura ribellistica è oggi è divenuta l’uniforme imprescindibile del politicamente corretto: La follia è una condizione umana. On noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. Il problema è che la società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia. Capito? Follia e ragione stanno sullo stesso piano, perché "esistono" entrambe. Non ha importanza che l’uomo sia uomo grazie alla ragione, e che senza di essa, precipitando nella follia, perda la sua umanità. No: la follia è parte di lui, quindi va accettata. Il problema non è la follia, ma la società che non è abbastanza civile da accettare la follia così come accetta la ragione. Non fa una grinza sul piano logico, vero?
Non ci prendiamo neanche il disturbo di confutare una simile sciocchezza: la cosa grave è che queste sciocchezze sono andate al potere, seminando tragedie. I magistrati buonisti che assolvono i criminali sorpresi in flagranza di reato, con la motivazione che soffrono di "disagio ambientale", o quelli che mettono l’intero governo sotto inchiesta per "sequestro di persona", per aver cercato di ritardare lo sbarco dell’ennesima infornata di falsi profughi, sono figli di questa cultura. Coi nostri orecchi abbiamo udito degli psichiatri predicare, nelle scuole superiori, nei famosi "progetti" di cui sopra, che i malati di mente fanno paura perché evocano la pazzia che è in noi, le parti oscure che sono in noi. E va bene: filosoficamente e psicologicamente, questo discorso può anche essere accettabile. Ma non nel senso che intendono quei signori; non nel senso che ciò risolva il problema, cioè che se noi accettassimo la nostra parte oscura, ecco che la pazzia, chi sa come, cesserebbe di essere un problema. Che significa: che gli schizofrenici rinsavirebbero? I maniaci, i depressi cronici, i nevrotici gravi, i violenti compulsivi, di colpo tornerebbero sani ed equilibrati? Quante chiacchiere, quante sciocchezze si contrabbandano per moneta buona; e, quel che è peggio, si tenta d’indottrinare i giovani. Accettare la parte oscura di sé? Ma che vuol dire accettare? Se uno scopre di avere degli impulsi incestuosi, oppure omicidi, in che modo, di grazia, dovrebbe "accettare" la cosa? Qui non è questione di accettare, ma di curare. Chi è malato si deve curare; chi è squilibrato, deve cercare di ritrovare il suo equilibrio; e chi è pericoloso per se stesso e per gli altri, deve essere aiutato a ritrovare la padronanza di se stesso. Non si risolve affatto il problema dicendo che il problema non è la malattia mentale, ma l’ipocrisia della gente che non osa guardare la propria parte oscura. Questa è, al massimo, una verità parziale; ma è soprattutto un modo sbagliato di porre la questione. I problemi non si risolvono cercando di addossarne la colpa agli altri, ma affrontandoli e risolvendoli là dove si manifestano. Diversamente, non si fa che alimentare la misera filosofia che non affronta mai le cose sbagliate, perché intanto c’è qualcun altro da rimproverare, qualcun altro che è il vero responsabile; filosofia il cui esito è, da un lato, l’inerzia di fronte ai problemi, dall’altro la costruzione di feroci sensi di colpa da parte di chi non c’entra affatto, o c’entra solo in maniera assai marginale. Pare quasi che si voglia scaricare la responsabilità della pazzia sull’intera società. Ma è strano che questi stessi signori, da cinquant’anni almeno, dicano e ripetano che la pazzia è generatrice di arte, di musica, di teatro, di bellezza, di creatività. Senza la pazzia, non avremmo i capolavori di Van Gogh!, dicono. Sarà. Evidentemente non li sfiora l’idea che, forse, i capolavori di Van Gogh li abbiamo nonostante la malattia mentale che attanagliava il grande artista; né che il prezzo da pagare per tali opere d’arte sia decisamente salato. Eppure, sempre quel tale psichiatra snocciolava dei dati pescati chissà dove, secondo i quali i crimini sono più frequenti fra la popolazione sana di mente, che fra i pazzi. Ma dove vogliono arrivare, con simili chiacchiere: a proclamare che pazzo è bello, così come i loro amici strillano che gay è bello? Infatti, in base alla filosofia oggi dominante, quando un comportamento sociale si diffonde, la morale deve prenderne atto, la legislazione lo deve rendere lecito, la società lo deve considerare normale. Insomma è la prassi che determina il codice, non è il codice che indirizza e disciplina la prassi. Un aborto, in una società che non ammette l’aborto, è un delitto; ma dieci, cento, mille aborti, sono un fenomeno sociale: e i fenomeni sociali vanno accettati. E così l’omofilia, l’eutanasia, l’immigrazione/invasione. Si può discutere se un profugo, vero o finto, ha il diritto di sbarcare nel nostro Paese; ma se i profughi, veri o falsi, sono settecentomila, allora non si discute più: il loro è l’esercizio di un diritto, il nostro dovere è quello di accoglierli. Si può anche discutere se è giusto che un professore maschio, un giorno, si presenti in classe coi tacchi a spillo, le calze a rete, la minigonna e la parrucca, per far vedere che si sente donna; ma se i casi sono diversi, allora non si discute più: ogni individuo, educatore o discente fa lo stesso, ha il diritto di esprimersi e di esser se stesso, mentre la scuola ha il dovere d’includere. Punto.
Contro questa deriva relativista e permissivista, frutto tardo e putrescente del Proibito proibire di sessantottesca memoria, è necessario porre un argine: bisogna tornare alla nozione del bene del male; bisogna tornare a inculcare nei giovani l’amore della virtù e l’odio del vizio. Virtù, vizio, sono parole obsolete: non si trovano più sui manuali di pedagogia – cioè, volevamo dire sui manuali di scienza dell’educazione; perché anche pedagogia è diventata una parola obsoleta. Figuriamoci: sono diventate obsolete le parole padre e madre (dice la Francia laicista e progressista, quella che ha bruciato, o lasciato che andasse a fuoco, la cattedrale di Notre Dame, e che non ha battuto ciglio quando centinaia di altre chiese venivamo attaccate, profanate, incendiate), logico che si smettesse di parlare della virtù e del vizio. Ed è proprio per questo che bisogna tornare a parlarne. La virtù è la pratica costante e abituale del bene; il vizio è l’abitudine e l’indurimento nel male: logico che se non si parla più del bene e del male, non si parla neanche, e a maggior ragione, della virtù e del vizio. E invece abbiamo bisogno proprio di questo: di far capire ai giovani che non basta fare il bene ogni tanto, bisogna sforzarsi di farlo sempre, come stile di vita; e che non basta evitare il male in una singola occasione, bisogna odiarlo ed evitarlo sempre, per quanto possibile; e, se non lo è, chiedere l’aiuto di Chi può tutto, anche aiutarci a vincere il male che, da soli, non sappiamo affrontare.
Si potrebbe obiettare che ormai la società occidentale si è del tutto laicizzata e secolarizzata, e che quindi ha poco senso proporre un modello educativo e un codice morale d’ispirazione cristiana. Rispondiamo in due modi, restando all’interno di questa obiezione e uscendo all’esterno, cioè contestandola. La prima risposta è che anche una società post-cristiana può giungere, per via puramente razionale, alla conclusione che ripristinare un codice etico, tornare a parlare del bene e del male, indicare ai giovani che il male porta a delle conseguenze disastrose, mentre il bene favorisce le persone, le famiglie e le comunità, sono cose assolutamente necessarie e altamente desiderabili. Certo, possono sorgere discrepanze sul modo d’intendere il bene e il male: perché il relativismo, che è l’anima della laicizzazione, non vuol neanche sentir parlare di un bene e di un male assoluti. Ma questo è appunto il limite delle società laicizzate e secolarizzate: che hanno rifiutato la tradizione, hanno disprezzato le radici, hanno voluto distruggere il codice morale dei padri, però non sono in grado di funzionare, perché tendono a disperdersi e a smarrirsi nel disordine delle prassi soggettive erette a norma di vita. Questo è un limite intrinseco del liberalismo e di tutte le filosofie e di tutti i sistemi di governo che ad esso si ispirano: il liberalismo, infatti, è questo: pensare che la società ad altro non serva che a proteggere, servire ed estendere indefinitamente la libertà del singolo individuo. E che sia un modello disfunzionale, lo mostrano i fatti: è evidente che se la società serve solo a tutelare la libertà del singolo, ma il singolo non è tenuto a dare alla società che il minimo indispensabile, il rispetto delle leggi e il pagamento (minimo) delle tasse, si crea uno squilibrio a tutto favore dell’individuo e, alla lunga, a danno della comunità; ma neanche l’individuo, alla fine, starà bene, se la società in cui vive viene usata unicamente in maniera strumentale dai suoi componenti. La società smetterà di funzionare in maniera accettabile, sarà paralizzata dalla somma degli egoismi individuali; e gli individui soffriranno di tutte le conseguenze negative di una società che tende ad implodere. Piaccia o non piaccia, l’Europa post-cristiana dovrà ripercorrere almeno in parte il cammino degli ultimi secoli e scoprire la necessità di una morale condivisa, che faccia perno su dei valori molto solidi, se non proprio perenni.
La seconda risposta che diamo è che appunto la constatazione dei disastri prodotti dal relativismo ci induce a considerare sbagliata una prospettiva che rifiuti, puramente e semplicemente, l’esperienza cristiana, e la consideri conclusa una volta per sempre. Proprio l’estremo grado di disorientamento, angoscia e perdita di certezze, in cui versano i membri di questa società, testimonia a favore della perenne attualità del modello di vita cristiano. Davvero vogliamo proseguire sulla strada del nichilismo e del consumismo, impoverendoci sempre più e diventando sempre più dipendenti dalle cose di cui ci stiamo circondando? Davvero vogliamo seguitare la discesa verso il caos, verso il disordine sistematico, maligno, che sta colpendo a morte i fondamenti del vivere civile: Dio, la patria e la famiglia? E davvero vogliamo abbandonare i nostri figli a una libertà sregolata e scriteriata, senza punti di riferimento, senza modelli positivi ai quali ispirarsi, ma solo i modelli demenziali e nichilisti dei cantanti, degli artisti, degli squallidi divi dei social network, gli influencer, seguiti ciecamente, stupidamente, da milioni di followers/pecoroni? Se è questo che vogliamo, mettiamoci il cuore in pace: quando la nostra società avrà bruciato le ultime riserve, spirituali e materiali, immagazzinate da generazioni di uomini e donne assai migliori di noi, si spegneranno le luci, ci sarà un grande silenzio, e sul nostro mondo scenderà una notte senza stelle…
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