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Torniamo a regalare dei buoni libri ai nostri figli

Fino a pochi decenni or sono era normale che gli adulti regalassero un libro ai bambini e ai pre-adolescenti. Nelle famiglie in cui uno dei genitori faceva l’insegnante — ad esempio, il papà professore o la mamma maestra — la cosa era frequente; ma era consuetudine un po’ in tutte le famiglie. E non solo i genitori, ma anche gli zii, i nonni, i padrini e le madrine del Battesimo e della Cresima, i catechisti o le catechiste, il parroco. I libri non erano manuali di ricerche scolastiche per la storia, la geografia, le scienze naturali, ma erano quasi sempre romanzi o libri edificanti; c’erano la Bibbia, magari in edizione ridotta, e i Vangeli. Anche libri devozionali e apologetici sulle vite dei Santi o le apparizioni mariane, specie quella di Fatima. Attraverso di essi, il bambino si familiarizzava con la trascendenza, con la purezza, con l’ideale della vita cristiana. Se erano illustrati, e di solito lo erano, magari con riproduzioni di quadri famosi, il bambino riceveva anche un prezioso stimolo di natura estetica e culturale: concepiva naturalmente l’idea del bello, e la associava all’idea del sacro. Si formava in lui, così, spontaneamente, inconsciamente la convinzione che Dio non è solamente la Verità, la Bontà e la Giustizia, ma anche la somma Bellezza. Alla faccia di chi sostiene che il cattolicesimo ha inculcato nelle giovani generazioni la tristezza, il sospetto e il disamore verso le cose belle. Quanto ai romanzi, gli adulti puntavano infallibilmente sui classici, e non sbagliavano. Potevano essere autori di valore assai diseguale, Luisa May Alcott o Alessandro Manzoni, Vamba o Lev Tolstoj, Jack London o Elisabetta Werner, però il risultato era lo stesso: abituare il bambino a scegliere un romanzo per amico, a farsi trasportare sulle ali della fantasia, accendere le sue riserve inesauribili d’immaginazione. Perché ogni bambino le ha, quelle riserve; ma è necessario che gli venga fornito lo stimolo per tirarle fuori. Se gli si regalano solo computer e telefonini, giochi elettronici e tablet (che non sono la stessa cosa dei libri di carta), esiste il serio pericolo che tanti tesori di fantasia rimangano inespressi, avvizziscano e muoiano in lui, come il seme in un campo dalla terra fertile, bruciato da una siccità prolungata, con tutti i germogli che non arriveranno mai a diventare piante.

Gli adulti dovrebbero riscoprire il piacere intelligente di regalare dei bei libri ai loro figli, ai loro nipoti, ai loro figliocci di Battesimo o di Cresima. Può darsi che i ragazzini, delusi, vedendo che non si tratta né di vestiti, né di orologi, né di gingilli elettronici, né di completi da tennis, li buttino in un angolo, con un’alzata di spalle. Non importa: la finestra pedagogica è stata aperta. Forse domani, dopodomani, fra un anno, fra quattro anni, in un noioso pomeriggio di pioggia, quel ragazzo tirerà fuori il libro dallo scaffale, lo sfoglierà con una certa curiosità, comincerà a leggerlo… e ne resterà catturato. Ne cercherà altri, ne acquisterà o se li farà regalare; imparerà a gironzolare per le librerie o fra le bancarelle dei mercatini (meglio il secondo caso: perché una volta i libri per ragazzi erano fatti assai meglio di oggi). A volte le giovani piante germogliano molto tempo dopo che il seme è stato affidato alla terra. Per questo diciamo che l’adulto, il genitore, l’insegnante, devono possedere, o coltivare, la virtù della pazienza, specialmente ai nostri giorni. Sono troppe le voci discordanti che rintronano le teste dei giovanissimi, troppi gli stimoli che li sollecitano e li confondono, spingendoli anche su strade sbagliate. La musica che ascoltano è, molto spesso, brutta e demenziale; i loro passatempi, vuoti e insignificanti; la televisione domina il loro immaginario, e se non la televisione, il cinema: il cinema hollywoodiano, la fabbrica dei sogni idioti per eccellenza. Regalare libri ai bambini e ai giovinetti è come seminare del buon seme in un campo inaridito: se si aspetta troppo, il momento favorevole passerà per sempre. Se un bambino non ha ricevuto lo stimolo giusto al momento giusto, poi non ci sarà nulla da fare. Un buon libro insegna a sognare, ma insegna anche a pensare, attraverso l’ordinata architettura dello scrivere. I libri scritti per i giovanissimi, o le opportune riduzioni di romanzi famosi, ma impegnativi, sono altrettanti esempi di bella scrittura; e la limpida scrittura discende dalla chiarezza del pensare.

Per quanto riguarda gli argomenti, affidandosi a un classico si va abbastanza sul sicuro: sentimenti, avventura, fantasia, natura, biografie di uomini e donne esemplari: tutto questo va bene. Ci permettiamo di suggerire un valido criterio di scelta, nel vasto mare dei possibili autori: sono buoni quei libri nei quali si parla con amore e rispetto di Dio, della Patria e della Famiglia; sono cattivi i libri nei quali se ne parla male, o non se ne parla affatto. Inutile dire che sono addirittura micidiali i libri "per bambini" ispirati all’ideologia gender, i libri di "fiabe" nei quali si parla di due pinguini maschi che s’innamorano e si sposano, o di bambini felici e contenti che vivono con due mamme o con due papà, come se fosse la cosa più bella e naturale del mondo. Libri del genere sono tossici; e le persone che li leggono ai bambini negli spazi a loro destinati nelle confortevoli librerie progressiste, dove mamme dalle idee ultra liberali li hanno parcheggiati affinché vengano sistematicamente indottrinati, non sono amici dell’infanzia, ma agenti della dissoluzione e corruttori dell’innocenza dei fanciulli. Per loro valgono le parole di Gesù Cristo: Sarebbe meglio, per chi dà scandalo a uno di questi piccoli, che gli venisse legata una macina da mulino al collo, e che venisse gettato nel mare. Parole tremende; parole eloquenti: eppure, i cattolici dei nostri giorni, o sedicenti tali, si direbbe che se ne siamo completamente dimenticati, oppure che non le tengono in alcun conto. Viceversa, sono caduti nell’oblio scrittori molto validi e autentici maestri della gioventù, come Giuseppe Fanciulli: la cultura politicamente dominante ne ha decretato la rimozione. Peccato soprattutto che anche la cultura cattolica si sia tacitamente adeguata ad un tale ostracismo; fino agli anni ’60 non era così, e i romanzi per l’infanzia di Giuseppe Fanciulli si stampavano e si vendevano tranquillamente nelle librerie cattoliche; e così pure quelli di Léon Bloy, tanto più impegnativi e problematici, ma autenticamente cattolici, ovviamente destinati ad un pubblico un poco più grande. Poi, silenzio e oblio: è evidente che lo "spirito" del Concilio Vaticano II è passato anche di qui, con la sua pestilenziale influenza: ha fatto sì che il clero e la cultura cattolica condividessero il bando che gli intellettuali laicisti hanno dato a gran parte degli autori cattolici, mentre sono stati valorizzati al massimo degli autori che si dicono cattolici, ma cattolici non erano e non sono, fino alla presente aberrazione, di vedere nelle librerie paoline i libri di noti eretici, oltretutto assai mediocri, un Vito Mancuso o un Enzo Bianchi, oltre che di un Hans Küng e dell’immancabile Karl Rahner; e non parliamo di romanzieri decisamente irreligiosi e anticristiani, presentati nondimeno, con la massima disinvoltura, come se fossero autori che si possono leggere senza danno morale; come se non fossero autentico veleno per la visione della vita che emerge dalle loro pagine e che intossica i giovanissimi e inesperti lettori, ignari delle indifesi davanti alla malizia infernale che si cela dietro certe ideologie. Chi regalerebbe a un bambino di undici anni un romanzo di Pirandello, o a un ragazzo di tredici, un libro di Italo Svevo? Non sono letture adatte a un giovanissimo, a meno che abbia sviluppato un personale spirito critico e delle salde convinzioni spirituali e religiose, cosa assai improbabile, perché tali qualità si sviluppano solo nel corso dell’età adulta — e non è neanche detto che si sviluppino. Regalare libri è una bellissima cosa, specie se lo si fa al posto di regalare computer e telefonini; ma non tutti i libri sono buoni e non tutti i romanzi sono adatti a un giovanissimo lettore. Ora succede di vedere esposti, in vetrina e sugli scaffali, dei libri di religione destinati appunto a bambini e pre-adolescenti, scritti da eretici conclamati, come Enzo Bianchi, nei quali, fin dal titolo, si nega la divinità di Gesù Cristo; pertanto non si può fare a meno di domandarsi: che ci fanno quei libri, nelle librerie cattoliche? Ce ci fanno gli articoli di quel signore, e la pubblicità dei suoi libri, su riviste come Famiglia Cristiana e giornali come L’Avvenire? È successo qualcosa, evidentemente; qualcosa di così sconvolgente, che non può essere detto; infatti l’ordine di scuderia è di fare finta che non sia successo assolutamente nulla, mentre la vera Chiesa è stata oscurata da una contro-chiesa massonica, ispirata dal diavolo, il cui scopo è gettare le anime nella confusione, allontanarle dal vero Dio e precipitarle nell’abisso, dove non c’è più speranza di salvezza.

Anche qui si vede quanto esiziale sia stato l’atteggiamento di buonismo e di dialogo indiscriminato che si è diffuso come un virus a partire dal Concilio Vaticano II. È scomparsa, letteralmente, la percezione del pericolo; si è volatilizzata la virtù della prudenza; di colpo, tutti i nemici sono diventati amici, o, quanto meno, dei degni interlocutori, animati dalla massima buona volontà: di conseguenza, tutti i libri sono diventati perfettamente idonei e parimenti consigliati, e ogni cautela a proposito della "buona stampa" è stata abbandonata, come un inutile fardello del passato. E tutto questo è avvento nello spazio di pochi anni, meno di un decennio, fra la prima metà degli anni ’60 e la metà degli anni ’70: si confrontino i cataloghi delle case editrici cattoliche in quell’arco di tempo, in tutti gli ambiti, dalla psicologia alla letteratura, dalla teologia alla morale, e si vedrà, vistosissimo, questo impressionante fenomeno, che allora è stato poco osservato perché il clima generale era quello, e il clero progressista intronava gli orecchi dei fedeli con le sue parole d’ordine basate sulla riforma liturgica, l’aggiornamento pastorale, l’approfondimento della fede, l’apertura verso l’altro, il dialogo, la misericordia, l’inclusione: ma erano altrettanti cavalli di Troia coi quali, in buona o in cattiva fede, si preparava la caduta della città e l’invasione da parte delle forze nemiche. Perché le forze nemiche esistevano, non erano un’invenzione di un clero pre-conciliare ottuso e sospettoso; sono sempre esistite, e in quegli anni erano più attive che mai, anzi erano penetrate dentro la Chiesa e stavano preparando l’assalto finale. Quello al quale stiamo assistendo in questo secondo decennio del terzo millennio. Chi avrebbe dovuto vigilare, non ha vigilato; chi avrebbe dovuto lanciare l’allarme, ha taciuto; chi avrebbe dovuto vedere e capire, ha girato la testa dall’altra parte e ha fatto finta di non capire, di non vedere. Adesso il nemico è entrato, ha conquistato le posizioni-chiave: è quasi impossibile, al presente, distinguere il buon grano dal loglio; le erbacce hanno invaso tutto il campo. Una sola posizione non hanno conquistato, e non la conquisteranno mai: l’anima soprannaturale della Chiesa, sulla quale aleggia, potente, sicuro, lo Spirito Santo. Chi si rifugia sotto la sua ala, è al sicuro. Non gli saranno risparmiate le angosce, le tribolazioni, forse la stessa persecuzione: per qualcuno, anzi, essa è già cominciata; tuttavia gli sarà risparmiata la sola sciagura che è da temere assolutamente, perché ad essa non c’è rimedio: la perdita della fede. Ed ecco, io sono con voi ogni giorno, sino alla fine del modo: sono le parole di Gesù. Di che aver paura, se le si tiene a mente?

E adesso torniamo ai libri. Insegnare ai bambini a sfogliarli, a leggerli o a farseli leggere; insegnare loro che sono dei buoni amici, che sono dei compagni di strada preziosi — ma solamente quelli che gli adulti, con intelligenza, con discernimento, avranno giudicato adatti — significa dar loro gli strumenti non solo per sognare e coltivare la fantasia e il senso estetico, ma anche quelli per formarsi, un po’ alla volta, uno spirito critico, e per schermare e fronteggiare adeguatamente i messaggi negativi che vengono da cento altre parti, a cominciare dalla televisione, dai social e dai giochi elettronici. Leggere Zanna bianca, per un bambino di dieci anni, oppure Cortés e la conquista del Messico di R. Gallson, o Caraibi in fiamme di F. A. Stone, o Dalla Terra alla Luna di Verne, o Il barone di Münchhausen, di Rudolf Erich Raspe, significa non soltanto viaggiare con la fantasia dalle foreste dello Yukon all’impero degli Aztechi, e dal regno della Filibusta alle imprese spaziali, ma significa anche sviluppare, un poco alla volta, il senso della storia, il senso della giustizia, il senso dell’avventura, il senso della libertà, il senso del bene. Leggendo Piccole donne, una bambina svilupperà il senso degli affetti familiari; leggendo I quattro libri di lettura di Tolstoj, i bambini svilupperanno il senso morale e la capacità di riflettere sulle cose della vita. I pirati della Malesia, di Salgari, trasmetterà il senso dell’amicizia; e La sorellina rapita, di Karl May, insegnerà, commuovendo e appassionando il giovane lettore o la giovane lettrice, l’importanza di lottare per difendere le persone che amiamo, sen arrendersi mai, neanche davanti a situazioni che appaiono umanamente disperate. Ma il libro più bello e più prezioso di tutti, il Vangelo, magari in una versione adatta ai lettori più giovani e con delle belle illustrazioni (non, per intenderci, nello stile scialbo e irriverente del tanto decantato pittore e mosaicista Marko Ivan Rupnic, il solito gesuita in vena di dissacrare il sacro), lascerà forse nell’animo del bambino un’impronta incancellabile, che lo accompagnerà, magari inconsciamente, anche nell’età adulta. L’intelligenza del bambino, più ancora di quella dell’adulto, si muove per immagini: un bel disegno dell’Ultima Cena, con Cristo seduto al centro della tavola che benedice il pane e il vino, mentre gli Apostoli lo guardano e lo ascoltano devoti, e il solo Giuda Iscariota si alza e se ne va con aria fosca, mentre fuori della porta le stelle brillano alte nel cielo della Città Santa, agisce su di lui più di cento discorsi. La fantasia e la memoria del bambino devono esser coltivate, se no si atrofizzano; non dobbiamo scordarcene mai…

Fonte dell'immagine in evidenza: Photo by Wallace Chuck from Pexels

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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