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25 Marzo 2019L’Italia è in recessione; l’Italia è in declino; l’Italia è il fanalino di coda della Ue… da quanto tempo ci sentiamo dire e ripetere queste frasi? Il punto è che a dircele sono proprio gli stessi che portano la massima responsabilità di una così drammatica situazione. l’Italia non è solamente in declino: l’Italia sta morendo. Sta morendo biologicamente, spiritualmente, economicamente. Ma perché? La domanda ha un suono quasi surreale, se si pensa che ancora vent’anni fa l’Italia era la quarta potenza economica mondiale, avendo superato sia la Francia, sia la Gran Bretagna. Davanti a lei c’erano solo Stati Uniti, Germania e Giappone. E poi, che è successo? Perché siamo diventati il Paese delle culle vuote? Perché abbiamo accumulato un debito pubblico così enorme, e, quel che è peggio, perché abbiamo permesso che passasse dalle mani degli investitori italiani a quelle degli investitori stranieri? In che modo abbiamo perso circa un terzo del nostro potenziale industriale, in appena un decennio? E perché esportiamo giovani laureati e importiamo analfabeti di dubbia provenienza? Chi ha almeno cinquant’anni e può fare un confronto fra le città italiane di trent’anni fa e quelle di oggi, ha l’impressione che ci sia stata una guerra. Si sono svuotate, si sono immiserite, si sono rimpicciolite; in compenso, si sono riempite di stranieri, che in molti casi hanno preso in mano quasi tutto il piccolo commercio, la ristorazione, e una bella fetta dell’artigianato. I prezzi immobiliari sono crollati, ad ogni via si vedono locali e appartamenti vuoti, con su appeso il cartello di vendesi o affittasi. Lavoro non se ne trova; i piccoli imprenditori chiudono le fabbriche e investono in prodotti finanziari; parecchi falliscono, e alcuni si suicidano. L’esercito dei poveri cresce ogni giorno: ormai è normale vedere degli anziani che recuperano la frutta e la verdura andata a male nei mercati generali, e dei giovami che sbarcano il lunario portando le pizze a domicilio o facendo i telefonisti nei call center.
Eppure, l’Italia è un Paese dalle grandi risorse potenziali. Ha il più alto risparmio privato d’Europa, tanto per cominciare. Poi, ha delle riserve auree che sono tra le più consistenti al mondo. Le manifatture italiane hanno ancora un’ottima reputazione all’estero, e così la tecnologia elettronica e certi settori dell’agroalimentare. Gli italiani sono un popolo intelligente: questo lo riconoscono tutti; intelligenti e pieni d’iniziativa; quando riescono a fare squadra (il che succede di rado) non li ferma nessuno, praticamente non hanno competitori. Il loro declino non è un processo inevitabile, non è scritto nelle stelle. Si tratta di identificare le cause che tengono bloccato un Paese di sessanta milioni di abitanti, che imprigionano energie costrette a languire, inutilizzate o sotto-utilizzate, o a espatriare. L’emorragia di giovani che vanno a lavorare all’estero si è prodotta negli ultimi lustri e ha assunto proporzioni allarmanti: si calcola che in una famiglia su tre c’è un giovane che si è trasferito all’estero o che progetta di farlo. In pratica, i giovani non credono più nel loro Paese e si sono congedati moralmente da esso, ancor prima di averlo lasciato fisicamente. O forse è il Paese che non crede più in loro? Propendiamo per la seconda ipotesi. Non è normale che il problema dell’emigrazione giovanile non venga posto in cima all’ordine del giorno da parte dei governi che si sono succeduti negli ultimi anni; non è normale che si faccia finta di nulla e che di questo enorme problema si parli poco e solo di sfuggita, senza mai approfondirne le origini. Un Paese che non sa trattenere i suoi giovani, dopo aver dato loro un diploma e una laurea, è un Paese che ha deciso di morire, perché i giovani sono la speranza del futuro, anche in senso strettamente biologico. Il più delle volte, un giovane italiano che si trasferisce in Gran Bretagna, in Olanda, in Canada, negli Stati Uniti o in Australia, non desidera più ritornare in Patria. Si sposa, mette su famiglia e rivolge la sua vita e il suo lavoro alla nuova Patria d’adozione: un guadagno netto per quei Paesi; netto, nel senso letterale del termine: si tratta di manodopera qualificata che arriva e produce, senza essere costata un centesimo. E una perdita netta per noi: dopo averli cresciuti, istruiti, resi abili al lavoro, l’Italia perde i suoi figli e si riempie, un po’ alla volta di vecchi, di pensionati.
Altri, più bravi di noi, hanno già indicato le ragioni strettamente economiche e finanziarie di questo declino, di questo suicidio; a noi preme evidenziare il tratto comune fra il declino economico, quello biologico e quello spirituale. Perché l’Italia sta morendo, perché gli italiani hanno imboccato la via del suicidio? Le ragioni sono parecchie, naturalmente; alcune sono di portata mondiale e riguardano, in diversa misura, anche molti altri Paesi. A noi interessa cogliere quel che vi è di specifico nella situazione italiana, e ci sembra che lo si possa sintetizzare in questa breve espressione: l’Italia è un Paese bloccato. Non c’è crescita perché tutto è legato, imbrigliato, imbalsamato. Non funziona l’ascensore sociale. Perché non vediamo e non vedremo mai, in Italia, un giovane inglese, o tedesco, o americano, mantenersi facendo il lavapiatti, tranne, forse, per ragioni contingenti e per un brevissimo periodo, mentre in Gran Bretagna, in Germania, negli Stati Uniti, ci sono migliaia di giovani italiani che sono andati precisamente a fare i lavapiatti? Perché in quei Paesi l’ascensore sociale funziona: si comincia facendo i lavapiatti, tuttavia, se si possiedono intelligenza, buona volontà e spirito d’iniziativa, si può arrivare a diventare anche direttori di ristorante: qualche volta nel giro di pochi anni. Da noi, è tutto fermo: chi fa il lavapiatti oggi, lo farà anche fra vent’anni. Lo spiegava molto bene Barbara Pavarotti in una conferenza che si può ascoltare sul sito di Byoblu del 21 marzo 2019, intitolata Il laboratorio per la distruzione dell’Italia. I dati sono impressionanti: si parla di 300.000 partenze di giovani ogni anno. Come negli ani della grande emigrazione, tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900: solo che allora esportavamo contadini e manovali, non laureati di ottimo livello. Ora, la domanda è questa: la nostra classe dirigenti non se ne accorge? I politici, i banchieri, gli industriali, i professori universitari, i giornalisti non se ne sono accorti? E perché non ne parlano che assai raramente? Ma soprattutto perché non fanno qualcosa? E qui arriviamo alle dolenti note.
Certo che se ne sono accorti. Non ne parlano e non fanno nulla perché non gliene importa nulla o perché, ai livelli più alti, ciò fa parte della loro politica, che poi è quella dei grandi poter finanziari internazionali. In altre parole, i nostri banchieri, politici, industriali, sono asserviti alle grandi banche mondiali, e si sono fatti volonterosi aguzzini del popolo italiano, spingendo il Paese verso politiche suicide, in piena coscienza di ciò che stanno facendo. Ci vorrebbe un tribunale di Norimberga per giudicare costoro e i loro crimini: primo dei quali, il crimine di alto tradimento. Ma non c’è da stupirsi, a meno di essere ipocriti. Sono i figli dell’articolo 16 del Trattato di Parigi del 1947, quello che vietava al governo italiano di perseguire i traditori che avevano favorito la causa nemica sin dal primo giorno della Seconda guerra mondiale. Sappiamo poi che medaglie e decorazioni americane, britanniche e francesi sono piovute sui petti di ammiragli e generali; non sappiamo quanto denaro sia finito nelle tasche di signori più o meno noti, anche in abito civile, i quali si sono egualmente adoperati per la vittoria degli Alleati e per la sconfitta del proprio Paese. Cioè, guarda caso, il nostro. Le classi dirigenti italiane hanno questo vizio sin dalla nascita della Repubblica democratica e antifascista: il vizio di essere dei traditori congeniti, abituati a favorire gli interessi di potenze straniere e danneggiare deliberatamente la causa nazionale. I nostri marinai, nel 1940-43, si stupivano di vedere che il nemico sapeva sempre quando partivano le nostre navi per portare i rifornimenti all’esercito del Nord Africa, e quale rotta avrebbero seguito. Oggi non dovremmo meravigliarci del fatto che uomini come Monti, Letta, Gentiloni e Renzi abbiano stretto con Paesi stranieri dei patti scellerati, chi impegnandosi ad accollare al’Italia tutti i migranti del Mediterraneo, chi svendendo alla Francia un pezzo di mar Tirreno, chi favorendo l’acquisto dei titoli di Stato che finanziano il debito pubblico, da parte di speculatori stranieri, con meccanismi perversi che solo la Banca d’Italia — una banca privata che finge di essere pubblica, ma intanto bada esclusivamente ai suoi privati interessi — poteva escogitare. Quale Paese normale avrebbe permesso a una grande industria, come la Fiat, di espatriare e andare a pagare le tasse all’estero, senza pretendere prima il rimborso delle somme favolose che i governi italiani, per decenni, hanno erogato per finanziarla? E quale Paese normale avrebbe accolto la visita di un bandito della grande finanza come George Soros alla stregua di quella d’un capo di Stato di un governo amico, quando quel signore ha provocato al nostro Paese, in un giorno solo, il 16 settembre 1992, un danno valutabile in qualcosa come 48 miliardi di dollari — un terzo del valore della lira? Un Paese normale, un uomo così lo avrebbe arrestato, imprigionato e processato per direttissima, e possibilmente lo avrebbe messo al muro. Da noi, Gentiloni lo ha accolto con baci e abbracci, poi si sono chiusi in una stanza a parlare non si sa di che.
È triste dirlo, ma è così: le classi dirigenti italiane vivono di rendita sulle posizioni acquisite, sovente non per merito, ma per raccomandazione: sono blindate nelle rispettive trincee e non hanno alcuna intenzione di mollare l’osso fino all’ultimo dei loro giorni. Per questo il Paese è bloccato e i giovani se ne devono andare all’estero. Nella loro Patria matrigna, tutto è concentrato nelle mani di una casta inamovibile, che vive dieci o venti volte al di sopra del tenore di vita del cittadino comune e non ha la minima idea dei sacrifici che quest’ultimo deve fare per sbarcare il lunario e mandare avanti la famiglia e la bottega. Un giudice, un primario d’ospedale, un parlamentare, un amministratore pubblico di una grande industria, un vescovo, tutti costoro godono di tali e tanti privilegi, di una tale impunità — possono contare su una buonuscita milionaria anche se si lasciano disastri finanziari dietro le spalle — se ne infischiano di come vive il cittadino comune: loro vivono su un altro pianeta. Abitano in un attico del centro o in una villa con piscina in collina, regalano collane di perle alle mogli o alle amanti, mandano i figli in una università americana, fanno le vacanze a Cortina, viaggiano con le auto blu o con l’elicottero privato. Che ne sanno di che significa vivere con mille euro al mese, in un condominio infestato dalle prostitute nigeriane e dagli spacciatori, pure nigeriani, in un quartiere degradato, dove si ha paura sia ad uscir di casa che a restare in casa, o con un negozio che è già stato svaligiato quattro, sei, otto volte, e con i rapinatori arrestati e rimessi in libertà dal solito magistrato di sinistra perché, poverini, non hanno altro mezzo di sostentamento? Dai loro attici, dalle loro ville con piscina, costoro possono anche pensare di aver la sacra missione d’introdurre le unioni omosessuali, l’eutanasia e le adozioni gay nella nostra legislazione, per rendere l’Italia un Paese più civile; possono anche pensare che la cosa più urgente e necessaria da fare sia distribuire a spese della sanità pubblica il farmaco che blocca lo sviluppo degli ormoni, affinché i genitori progressisti e lungimiranti possano aiutare i loro figlioletti a decidere se vorranno cambiar sesso prima della pubertà: ma il Paese reale è lontano da loro quanto la Terra lo è dalla Luna. Una simile classe dirigente è, semplicemente, una classe dominante: una classe parassita di traditori, di speculatori e di folli, che sta dirigendo la nave dello Stato, deliberatamente, verso gli scogli, per provocare il naufragio. Sono pericolosi: bisognerebbe fermarli subito, prima che sia troppo tardi.
E non soltanto sono dei traditori e dei servi d’interessi stranieri; sono anche inefficienti, pigri, e, cosa più grave ancora, infinitamente arroganti. Se almeno avessero il buon gusto di tenere un profilo basso, di non dar tropo nell’occhio: ma no, devono strafare, devono esibirsi il più possibile, convinti, come sono, di rappresentare quanto di meglio esiste in fatto di razza italiana. Loro sono l’Italia migliore; loro sono i migliori. I più buoni, i più tolleranti, i più aperti, i più sensibili, i più caritatevoli, i più misericordiosi, i più filantropi, i più onesti, i più puliti, i più progrediti, i più solidali, i più inclusivi, i più generosi. Gli altri, quelli che attentano ai loro privilegi e alle loro posizioni di rendita, sono i fascisti, i razzisti, i populisti, gli ignoranti, i rozzi, gli stupidi gl’incivili, i cafoni, gli oscurantisti, i medievali, i pericolosi. E poiché bisogna pur combattere per difendere quel che si possiede, costo dedicano gran parte del loro tempo e delle loro energie ad alimentare una propaganda incessante, una mobilitazione permanente. Grazie a loro viviamo da sempre in un clima da guerra civile, con la spada di Damocle del fascismo e del nazionalismo che ci pende sul capo, ma che, se ci affideremo interamente ai paladini della democrazia, forse riusciremo a tener lontana. Grazie a loro, la nostra società ha incubato la sindrome sovietica e ne porta la tabe, qualsiasi cosa accada. In Italia, unico Paese al mondo, vige un tacito pregiudizio contro chi fa impresa, contro chi ha iniziativa, contro chi guadagna (onestamente) grazie alla propria intelligenza e al proprio lavoro. Sicuramente costui avrà qualcosa da nascondere, se ha fatto i soldi vuol dire che è un nemico del popolo, e dunque paghi. Nessuno lo dice, ma molti giudici, politici, amministratori, professori e giornalisti lo pensano. Lo pensano anche i neopreti della neochiesa, indottrinati dai neoteologi e spronati dal neopapa, il compagno don Bergoglio. E sempre per placare questi sensi di colpa verso i poveri ci dicono e ripetono che abbiamo il dovere umano e cristiano di accogliere i poveri migranti…
Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Christian Lue su Unsplash