
La malinconia è il presentimento dell’infinito
7 Marzo 2019
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12 Marzo 2019A dispetto di ciò che seguitano a ripetere i signori della cultura politicamente corretta, compresi molti che dicono e si credono d’essere "contro", ma poi rimasticano e sputacchiano in giro gli stessi slogan, triti e ritriti, fabbricati dal Pensiero Unico di matrice liberal-radicale (anche e soprattutto nella variante post-marxista), il Medioevo è stato la grande, la sola stagione della civiltà europea; poi non ci sono state che la decadenza e l’aberrazione della modernità, cioè l’allontanamento volontario e cosciente dalla propria identità e il rifiuto deliberato e aggressivo della linfa vitale sgorgante dalle proprie radici. Al centro della civiltà medievale c’era la fede in Dio, nel Dio rivelato agli uomini per mezzo dei profeti e infine per mezzo della Incarnazione del suo stesso Figlio: tutto il resto, la vita pratica e la vita intellettuale, l’arte e la musica, la scienza e la filosofia, la poesia e la teologia, ruotava intorno alla fede nel Dio cristiano, il Dio creatore di tutte le cose, visibili e invisibili; il Dio amorevole, che spinge il suo amore fino al mistero ineffabile dell’Incarnazione, della Passione, Morte e Resurrezione; il Dio che non ci lascia soli, perché, dopo la partenza del Figlio, ci lascia in dono la presenza consolatrice dello Spirito Santo; e lascia inoltre agli uomini la Chiesa da lui fondata, strumento necessario e infallibile di verità e di salvezza, con a capo un vicario da Lui stesso scelto per pascere le pecorelle e sforzarsi di far sì che non se ne perda neppure una, come nella parabola del Buon Pastore; anzi, che il gregge si accresca fino a includere l’umanità intera (Giovanni, 10, 11-16):
Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore. Il mercenario invece, che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo le rapisce e le disperde; egli è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre; e offro la vita per le pecore. E ho altre pecore che non sono di quest’ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore.
E DIVENTERANNO UN SOLO GREGGE E UN SOLO PASTORE, dice Gesù Cristo. E ora si confrontino queste parole con quelle del documento firmato ad Abu Dhabi, il 4 febbraio 2109, dal signor Bergoglio insieme al Grande Imam Al-Azha Ahmad Al-Tayyip e che lui stesso si è affrettato a sventolare come un evento di portata mondiale, in un certo senso superiore, per significato, al (fallito) tentativo di san Francesco d’Assisi di convertire il sultano d’Egitto:
La libertà è un diritto di ogni persona: ciascuno gode della libertà di credo, di pensiero, di espressione e di azione. Il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani. Questa Sapienza divina è l’origine da cui deriva il diritto alla libertà di credo e alla libertà di essere diversi.
Diremo di più: non solo l’Europa è una creazione del cristianesimo, quindi senza cristianesimo non c’è più la civiltà europea; ma lo stesso concetto di persona, con tutta la sua nobiltà e dignità, è una creazione del cristianesimo. Niente cristianesimo, niente persona. Prima del cristianesimo non c’era la persona: la dignità di un essere umano dipendeva dalla sua nobiltà. Era massima nei monarchi divini o divinizzati; era nulla negli schiavi, che infatti potevano essere comprati e uccisi senza alcuna remora. Anche i condannati a morte e i prigionieri di guerra erano privi di dignità: infatti li si poteva adibire ad attori di spettacoli cruenti per il divertimento del popolo, nel corso dei quali si uccidevano a vicenda, o venivano divorati dalle fiere, o crocifissi o arsi vivi.
Neppure la filosofia greca, in tutto il suo splendore, è mai giunta a formulare il concetto di persona, o un concetto equivalente; neppure in Platone e in Aristotele si trova questa semplice nozione: che l’uomo è persona, vale a dire un tesoro preziosissimo, unico, irripetibile, di natura soprannaturale, custodito entro uno scrigno, nobile, sì, ma di natura mortale, e che può anche essere ferito drammaticamente, talvolta sin dalla nascita, evidenziando tutta la fragilità che è propria della condizione mortale. Per le società del mondo antico, Ulisse e Tersite non solo appartengono a ordini sociali separati da una distanza abissale e assolutamente incolmabile — ciò accade anche nel medioevo; ma corrispondono a due tipi di umanità dotati di differente dignità intrinseca. Il primo appartiene all’antropologia dei nobili, dei belli, dei valorosi; il secondo alla razza dei plebei, dei brutti e dei vili. Anche un bambino che nasce con un difetto fisico viene automaticamente escluso dalla società dei veri uomini, nobile o meno che sia la sua famiglia; il padre ha il diritto di sopprimerlo, e in certi casi, come a Sparta, quel diritto coincide praticamente con un dovere sociale. Un altro elemento che ci fa capire come gli antichi non avessero il concetto di persona è il trattamento riservato ai cadaveri. Per la società cristiana, il cadavere va sempre e comunque rispettato, perché appunto è l’involucro dell’anima, cioè un tempio destinato al Signore (anche se poi le azioni del singolo uomo tradiscono tale vocazione); solo in casi gravissimi gli si può negare una sepoltura dignitosa, in terra consacrata; mai, però, è autorizzato il vilipendio del cadavere. Il mondo pre-cristiano non conosce questa delicatezza: l’Iliade narra con compiacimento e con abbondanza di particolari raccapriccianti, decine di episodi nei quali il cadavere del nemico ucciso in battaglia è deriso, insultato, calpestato, vilipeso in ogni modo, perfino legato per i talloni a un cocchio e trascinato nella polvere, per disprezzo e per supremo oltraggio, al fine di renderlo irriconoscibile. Di Agamennone si narra come tagli braccia e gambe, con la spada, a un guerriero troiano e poi lo getti a rotolare come una mola da mulino: ma non si finirebbe più se si volessero elencare altri episodi non meno barbari, e che solo grazie al cristianesimo hanno assunto una connotazione infame e disgustosa.
Per trovare altrettanto sadismo e un gusto altrettanto rivoltante della necrofilia, bisogna arrivare, nel mondo odierno, a certi fumetti e a certi film dell’orrore, per esempio alle storie di Dylan Dog e ai discutibili "capolavori" di Dario Argento, come La terza madre, nella quale, fra le altre amabili cose, si vede una donna che subisce la penetrazione vaginale mediante una lunga asta di ferro, spinta con forza, finché la punta emerge dalla bocca, provocando la fuoriuscita di un lago di sangue. Proprio questa tendenza della "cultura moderna", che trova la sua massima espressione nei cosiddetti giochi elettronici, caratterizzati da atrocità e sadismi d’ogni genere, ci porta al nocciolo del discorso: la cosiddetta civiltà moderna è peggiore della barbarie, perché non solo ha scordato il concetto di persona, ma lo ha rinnegato, dopo averlo conosciuto. Lo aveva conosciuto grazie al cristianesimo; lo ha scordato dopo aver voltato le spalle al cristianesimo e aver costruito una anti-civiltà che nasce dal rifiuto del Vangelo e procede calpestando, stravolgendo e invertendo tutto ciò che esso ha insegnato agli uomini. Si prenda il concetto della dignità intrinseca alla persona umana: sono in molti a credere che sia una "scoperta" dell’illuminismo e che, se l’abbiamo, è per merito della Rivoluzione francese. La verità è che l’illuminismo e poi la Rivoluzione francese, hanno preso quel concetto dal cristianesimo, però lo hanno capovolto, al punto da trasformarlo in una nuova forma di discriminazione: infatti ad essere riconosciuta non è la persona in quanto tale, ma il cittadino, cioè colui che appartiene alla Volontà generale; ma se qualcuno esce da essa e si pone contro di essa, decade da ogni diritto e diventa un nemico dell’umanità, cioè una non-persona. Del resto, è sotto gli occhi di tutti — se lo si vuol vedere — dove ci ha condotti la versione illuminista e massonica della dignità umana: all’aborto, all’eutanasia, alla libertà di drogarsi, alle unioni civili delle coppie omofile. Dove sia la dignità dei nascituri, soppressi nel ventre materno, bisognerebbe chiederlo alle signore femministe e ai legislatori che hanno assecondato le loro richieste. Il tipo umano al quale ci riferiamo è quello rappresentato dalla parlamentare Monica Cirinnà, quella che va in giro con un cartello che reca la scritta: Dio, patria, famiglia: che vita de merda; quella che esige, pretende, che il governo attuale ritiri il patrocinio della Presidenza del Consiglio dei ministri al convegno internazionale delle famiglie, organizzato dal pericoloso ministro Fontana, che si terrà a Verona a fine marzo 2019, definendolo un evento medievale nel quale ci sono ospiti estremisti, pericolosi, discutibili, oscurantisti. Il tutto mentre, da anni, amministrazioni comunali e università statali danno volentieri il patrocinio a nobili eventi culturali come le sfilate del Gay Pride; e mentre il governo approva la distribuzione gratuita, per mezzo della sanità, del farmaco che inibisce lo sviluppo degli ormoni, in omaggio all’ideologia gender che odia l’identità sessuale maschile e femminile così come voluta dalla natura e rivendica all’uomo la libertà di decidere la propria identità, possibilmente quando sarà maggiorenne (nel frattempo i genitori dovrebbero crescerlo senza chiamare il proprio figlio lui o lei, ed evidentemente senza farlo vestire in modo sessualmente riconoscibile; per non parlare della selezione che va esercitata sui giocattoli, questi odiosi e subdoli strumenti della discriminazione di genere).
E mentre accadono queste cose; mentre 4 milioni e 300 mila nascituri vengono soppressi ogni anno in Europa, mediante l’aborto legalizzato; e mentre viene praticata l’eutanasia di un piccolo bambino inglese, i cui genitori avevano chiesto, invano, aiuto al papa, questi, o meglio colui che si fa chiamare tale, ma che papa non è, sia perché eletto irregolarmente da un conclave di cardinali massoni, sia perché il papa, cioè il pastore del gregge, non lo vuole proprio fare, semmai si comporta come un lupo che divora le pecore, ecco che un giorno proprio questo signore si accorge che per duemila anni la Chiesa ha sbagliato e cambia il catechismo, affermando che la pena di more è sempre illecita e che il Magistero (il suo) la condanna senza se senza ma, benché nessun teologo, nessun papa, nessun santo, prima di lui e prima del Concilio, avessero mai espresso una tale idea, ma, al contrario, tutti hanno sempre affermato che, in casi estremi, essa è lecita. Questo è un altro buon esempio di come l’idea della dignità della persona umana sia stata stravolta dalla cultura moderna e, da qualche annoi a questa parte, dalla stessa chiesa cattolica, o meglio da quella contro-chiesa che ne ha preso il posto, e che non parla, né agisce cine la vera Sposa di Cristo dovrebbe parlare e agire, bensì come piace al mondo: cioè al mondo moderno, a questo mondo di tenebre che rifiuta Cristo perché odia la Verità.
Dunque, il dato sul quale dobbiamo riflettere è questo; e ci sembra che dovrebbe attirare l’attenzione non solo dei cattolici, ormai veramente pochi, ma anche di quanti, pur non essendolo, o non professandosi tali, hanno, però, sufficiente onestà intellettuale e autonomia di giudizio per rendersi conto di quel che sta accadendo: se si perde del tutto l’eredità della civiltà cristiana (e non la civiltà cristiana in quanto tale, che si è già perduta da due o tre secoli), assisteremo a una paurosa regressione dell’essere umano da persona a soggetto meramente biologico, sempre più dimentico non solo della legge divina, ma anche di quella naturale. Una signora progressista, parlando l’altro giorno alla televisione, ha sostenuto che per lei, nel rapporto coi suoi figli, ciò che conta non è il fatto di essere la loro madre, ma il fatto di amarli. È una strana affermazione: se domani dovesse non amarli più, che ne sarebbe di quei bambini? E davvero il fatto di essere madre non significa niente? È chiaro a cosa tende un simile discorso: i sentimenti sono tutto, la natura è niente; l’amore viene prima dei legami familiari naturali: dove c’è amore, c’è famiglia. Perciò è famiglia anche una convivenza formata da persone adulte, magari dello stesso sesso, che si sono procurate dei "figli" in qualsiasi modo, anche comprandoli su catalogo, purché, beninteso, in nome dell’amore. Ma quale amore? Amore di chi? Amore dei bambini, oppure di se stessi? E dove vanno a finire la dignità della persona, la sua unicità, la sua irripetibilità, una volta che passano pratiche come l’utero in affitto e la fecondazione eterologa? Una volta che passa l’interruzione di gravidanza come normale pratica contraccettiva, e l’eutanasia come soppressione di una vita non più degna di essere vissuta? Chi stabilisce che quella vita, e specialmente la vita di un bambino, o di una persona incapace di intendere e di volere, non vale la più la spesa d’essere conservata? Questi scenari inquietanti sono già realtà. Quel che ci manca ancora di vedere, ma che sta già incominciando, sono la clonazione di esseri umani e la nascita di esseri umani con il DNA modificato a tavolino. È quasi certo che nel prossimo futuro i cybog entreranno a far parte della nostra società, dopo aver popolato i film di fantascienza. E come li dovremo considerare? Persone, evidentemente, no. Oppure anche la parola persona subirà, come già tante, una torsione semantica e verrà usata per abbracciare ogni forma di ‘vita’, naturale e artificiale, umana o post-umana? Senza il Vangelo, i peggiori incubi saranno realtà.
Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash