
Ma lo sa che sta spaccando la chiesa? Sì: e allora?
18 Febbraio 2019
Perché i gesuiti vogliono distruggere la Chiesa
20 Febbraio 2019C’è un mistero negli ultimi mesi di vita e soprattutto nella morte dello scrittore americano Morris K. Jessup (Rockville, Indiana, 2 marzo 1900-Miami-Dade County, Florida, 20 aprile 1951). O forse no. Allora diciamo meglio: c’è un velo di mistero. Abbastanza da aver stimolato interrogativi senza risposta e sollevato prospettive un po’ allarmanti. Ma non abbastanza per poter escludere che non ci sia proprio alcun mistero e che si sia trattato di un normalissimo, si fa per dire, caso di suicidio, forse dovuto a uno stato di depressione legato a problemi personali. Eppure, non pochi si so domandati se si sia trattato veramente di suicido o se dietro quella morte non ci sia qualcosa i più torbido, di più allarmante; qualcosa che avrebbe potuto toccare anche a un altro, se si fosse venuto a trovare nella stessa stazione di Jessup. E a farsi tali domande non sono stato solo gli amici dello scomparso, ma anche delle persone che non lo avevano conosciuto personalmente, e che forse non avevamo letto neppure i suoi libri, però non potevano fare a meno di notare alcune stranezze, o, se si preferisce, alcune curiose e insolite coincidenze, vagamente inquietanti, che, negli ultimi anni della sua vita, avevano accompagnato lo scrittore.
Il punto centrale, infatti, è che Jessup non era uno scrittore nel senso che generalmente si dà a questa parola; non era un romanziere, e nemmeno un novelliere, tanto meno un poeta; non scriveva biografie, né saggi di letteratura o di filosofia, e neppure s’interessava di critica musicale o critica d’arte, o cinematografica. Aveva fatto studi regolari di astronomia presso l’Università del Michigan, situata ad Ann Arbor, ottenendo il titolo di Bachelor of Science nel 1925 e quello di Master of Science l’anno dopo, senza però concludere il percorso fino al dottorato; in compenso, lavorò per qualche tempo presso un osservatorio astronomico, quello di Lamont-Husey. Mostrò fin da giovane una notevole apertura mentale e si interessò anche di archeologia, partecipando ad alcune spedizioni archeologiche in Perù e nella penisola messicana dello Yucatan. Ma già lo attraevano campi di studio che oggi vengono definiti di frontiera, il magnetismo e l’antigravità soprattutto. Inoltre, si interessò tempestivamente al fenomeno degli UFO (oggetti volanti non identificati), dopo che il pilota Kenneth Arnold, nel 1947, aveva fatto il primo e forse più celebre avvistamento, nei cieli del Monte Rainer(Stato di Washington), di ben nove di tali oggetti; e dopo che, l’anno seguente, si ebbe il drammatico incidente del pilota Thomas Mantell, che perse la vita dopo aver cercato vanamente d’inseguire un UFO che sorvolava la città di Maysville (Kentucky). Probabilmente era un genio, e come tutti i geni era anche piuttosto disordinato, o almeno dispersivo; seguiva contemporaneamente diversi filoni di ricerca e a un certo punto, sui trent’anni, lo troviamo, come tanti suoi connazionali di quel tempo, e non solo di quel tempo, arrabattarsi fra svariati mestieri doversi, in apparenza del tutto slegati dai suoi interessi intellettuali e dagli studi universitario compiuti: per esempio, il venditore di pezzi di ricambio per automobili. Non dimentichiamo che quelli erano gli anni della Grande Depressione e che milioni di americani avevano peso il posto di lavoro o non riuscivano a trovarne uno. Di certo, vi è un po’ di incertezza per quanto riguarda i suoi studi universitari; gli sono stati attribuiti anche studi di astronomia e matematica alla Drake University di Des Moines (Iowa), che in realtà pare non aver fatto; e anche sulle sue campagne archeologiche regna qualche confusione. Quel che è certo è che nel 1930 si trovava a Cuzco, sulle Ande peruviane, e questo lui stesso è stato in grado di documentarlo. Ad ogni modo, nel 1955 pareva aver trovato la sua strada: quel’anni uscì il primo di una serie di libri fortunati, The Case for the UFO.
La fine di questo scrittore e ricercatore anomalo e piuttosto scomodo è stata rievocata da William L. Moore e Charles Berlitz nel libro da essi scritto a quattro mani Esperimento Filadelfia (titolo originale: The Philadelphia Experiment, London, Book Club Associates, 1979; traduzione dall’americano di Daniela Origlia, Milano, Sonzogno, 1979, pp. 50-52):
Dopo il fallimento delle sue speranze di esplorare i crateri del Messico nel 1958, Jessup non aveva affatto trascurato i suoi doveri di professore pur continuando a scrivere e pubblicare. Per quanto questo suo proposito di darsi ai suoi libri non fosse immediatamente coronato da successo, voleva comunque continuare a tentare, a che se ciò comportava una notevole riduzione del suo tenore di vita; si sentiva più libero, soprattutto da quando i figli erano cresciuti e se n’erano andati e la moglie lo aveva lasciato. Quindi, chiusa la grande casa che aveva comprato appena fuori Miami, se ne tornò nell’Indiana, suo paese natale, dove si occupò di una piccola pubblicazione astrologica. Nel frattempo egli continuava la sua carriera di scrittore, mentre si faceva sempre più vivo in lui l’interesse per i fenomeni fisici, forse perché pensava che potessero offrire qualche spiegazione ai suoi dubbi crescenti. Coloro che ebbero qualche rapporto con lui durante questo mesi dicono che Jessup sembrava emotivamente molto turbato e appariva sempre più teso e angosciato. Una delle sue antiche medium, che era stata a pranzo da lui durante una delle sue visite ad Ann Arbor all’inizio del 1958, disse di essere rimasta colpita dal "cambiamento delle sue vibrazioni". E osservò in maniera molto originale: "Esse si erano scatenate… come da una specie di base astrale". I primi segni della fine risalgono al tardo ottobre del 1958, quando Jessup si mise in viaggio dall’Indiana a New York, con il pretesto di ottenere dei contatti con delle associazioni e delle case editrici specializzate in astronomia. Al momento tale viaggio non destò nessuna particolare curiosità, ma dato che Jessup si era recato già parecchie volte a New York, dove aveva molti interessi. Così nessuno dei suoi amici o conoscenti poté immaginare nemmeno lontanamente che non l’avrebbe mai più rivisto vivo. Ai primi di novembre, probabilmente proprio la sera della vigilia d’Ognissanti, Jessup venne invitato a casa di uno dei suoi amici di New York, il famoso naturalista Ivan T. Sanderson. Sanderson aveva fondato la SITU, Society for the Investigation of the Unexplained, che ha sede a Little Silver, nel New Jersey. A proposito di quest’ultima visita di Jessup, Sanderson ha scritto un articolo sul fascicolo n. 4 (settembre 1968) di "Pursuit", il giornale della sua società. Da questo articolo noi citiamo liberamente quanto segue:
«Allora, cioè nel 1958, avvenne tutta una serie di avvenimento assolutamente misteriosi. (…) Cominciarono a capitare le cose più impensabili, che potrebbero fornire il materiale per un grosso libro. Tutto iniziò con un’orrenda tragedia. Un giorno (…) Morris Jessup era ospite a casa mia, a New York. C’era più o meno una dozzina di persone presenti, prima, durante e dopo il pranzo. A un certo punto Morris chiese a tre di noi se potevamo andare a fare due chiacchiere nel mio studio. Ci andammo. Allora ci diede in mano la copia originale con le nuove note e ci raccomandò di leggerla con grande attenzione guardandoci in maniera circospetta. "Nel caso che mi debba capitare qualcosa", aggiunse. Un atteggiamento del genere ci sembrava eccessivamente drammatico, ma dopo aver letto questo materiale, bisogna ammettere che cominciammo ad avere tutti quanti il presentimento di una qualche tremenda disgrazia incombente (…). Morris era un padre di famiglia esemplare e aveva molto a cuore il futuro benessere dei suoi nipotini. Tuttavia durante questo ultimo incontro, era estremamente turbato e ammetteva che tutto preso dal suo interesse puramente intellettuale per i fenomeni naturali, era completamente assorbito in un mondo irreale di pura follia. Parlò anche del suo terrore per l’infinita serie di "coincidenze" che gli erano capitate nel lavoro e nella vita privata; per di più, temeva di venire accusato di essere del tutto pazzo, se si fosse messo a descrivere tutte le sue disgrazie. Quel che ci disse in pratica è sostanzialmente: "Non sto diventando matto eppure sono certo che stanno effettivamente succedendo delle cose completamene assurde e non sono frutto della mia fantasia malata. Se leggete questo libro, capirete perché sono giunto a questa conclusione. Ora, posto che abbia ragione, ho la sensazione che fra non molto debba succedere qualcosa di tremendo; e, se capita qualcosa e nessuno ha letto QUESTO materiale, diranno subito che ero evidentemente un pazzo. Si sa come una voce del genere si diffonda rapidamente tra la gente ignorante. Così si arriverà alla conclusione che nella mia famiglia alligna il tarlo della follia". Una situazione davvero molto tragica da affrontare, anche per le sue conseguenze. Subito promettemmo, solennemente, a Morris che avremmo fatto con scrupolo quanto ci aveva chiesto. Lui aggiunse che il materiale poteva essere pubblicato soltanto a condizione che certe persone che aveva citato dessero la loro approvazione.»
Due giorni dopo questa conversazione, Jessup partì da New York, ma i suoi amici dell’Indiana non lo videro arrivare, né lo avrebbero più rivisto. Dopo un po’ di tempo cominciarono a preoccuparsi e alla fine si venne a sapere che aveva avuto un serio incidente automobilistico in Florida, dove si era recato direttamente da New York. Quando fu dimesso dall’ospedale, invece di tornare a casa nell’Indiana, si trattenne a Miami e a metà aprile scrisse a un amico, il presentatore radiofonico Nebel, una lunga e sconsolata lettera che si poteva interpretare come l’annuncio di un prossimo suicidio. Il 20 aprile fu trovato in fin di vita; inutile la corsa all’ospedale. Apparentemente si era tolto la vita con il gas di scarico dell’automobile, non lontano dalla sua casa di Coral Gables. Fra i suoi amici, alcuni rifiutarono tuttavia di credere che Jessup si sia davvero suicidato, mente uno dei più intimi, il famoso naturalista Ivan Sanderson, uno dei padri della criptozoologia, cui lo legavano interessi scientifici non ortodossi, come l’attrazione verso le pieghe inesplorate del mondo naturale, sostenne, in alcune interviste e nel libro Uninvited Visitors (Visitatori non invitati), che la morte di Jessup era da ricollegarsi alle lettere che aveva ricevuto da un misterioso individuo chiamato Carlos Miguel Allende e alla faccenda del cosiddetto Esperimento Filadelfia, alla quale lo scomparso si era intensamente dedicato negli ultimi tempi della sua vita.
In breve, ma esiste una vasta bibliografica su questo argomento, l’Esperimento Filadelfia, se mai avvenne, ebbe come protagonista una nave da guerra della Marina americana, il cacciatorpediniere Eldridge, che il 28 ottobre 1943 sarebbe stato fatto smaterializzare nel porto di Filadelfia, per essere trasportato nel porto di Norfolk, in Virginia, nel giro di pochi minuti, e poco dopo riportato nel suo ormeggio iniziale, non senza gravi conseguenze per gli uomini dell’equipaggio, alcuni dei quali sarebbero impazziti: il tutto grazie alle ricerche di un team di scienziati, fra i quali il professor John Von Neumann, che avrebbero sperimentato la possibilità di realizzare il teletrasporto mediante la formulazione di nuove e rivoluzionarie teorie sull’elettromagnetismo e i campi di forza gravitazionali. Molto più tardi, nel 1990, saltò fuori addirittura un preteso reduce dell’equipaggio della Eldridge, un certo Alfred Bielek, che sostenne di aver sofferto di seri problemi e di essersi trovato per due volte a vivere nel futuro, assistendo a un mondo completamente diverso dal nostro, prima di ritornare alla realtà attuale. Ma le verifiche fatte non permisero di confermare neppure la presenza della nave nel porto di Filadelfia, nella data dell’ipotetico esperimento. Ad ogni modo, Jessup, che s’interessava di UFO e di teorie alternative alle loro capacitò di volo rispetto a quelle convenzionali, basate sulla tecnologia terrestre dei razzi a propulsione, si era trovato coinvolto nelle ricerche sull’Esperimento Filadelfia dopo aver ricevuto, nel 1955, tre lettere da un certo Carlos M. Allende, nelle quali, insieme a una quantità di appunti di natura fisica sull’elettromagnetismo, il mittente affermava di essere stato testimone oculare della scomparsa, e della successiva materializzazione, del cacciatorpediniere, trovandosi a bordo di una nave ancorata nei pressi, la Andrew Furuseth. Poi la corrispondenza s’interruppe. Qualche mese dopo giunse un’ultima lettera, questa volta firmata Carl M. Allen, in cui il mittente, che era stato richiesto di fornire ulteriori dettagli, sostenne di non poterlo fare, ma che la verità sarebbe emersa da sedute ipnotiche sulle persone che erano state coinvolte nell’esperimento, e delle quali lui conosceva il destino. Una verifica all’indirizzo del mittente rivelò che si trattava di una fattoria abbandonata in cui erano vissute alcune persone, una delle quali poteva forse coincidere con il misterioso Allende o Allen. Le cose stavano a questo punto quando Jessup venne convocato dall’Ufficio Ricerche Navali di Washington e interrogato in merito a una copia del suo libro The Case for the UFO, giunta colà in una busta senza indicazione del mittente, e fittamente annotata da qualcuno che mostrava di possedere insolite conoscenze sulla teoria einsteniana dei campi unificati e che, inoltre, faceva riferimento all’Esperimento Filadelfia. Pare che di quel libro con le relative annotazione sia stata fatta una edizione riservata a cura dell’Ufficio Navale, per approfondire la questione e sottoporla a ulteriori indagini. Fra l’altro, l’ignoto estensore delle note, frammiste a divagazioni filosofiche, ipotizzava una connessione fra gli extraterrestri e l’esperimento stesso. E furono appunto le copie di quella edizione che Jessup diede ai suoi amici newyorkesi quella sera a casa di Sanderson. Una leggenda metropolitana? Segreti militari? Fantasie? Di certo c’è solo la strana morte d’uno scrittore.
Fonte dell'immagine in evidenza: Wikipedia - Pubblico dominio