
E si commosse, perché erano pecore senza pastore
8 Febbraio 2019
Dunque, va bene anche la religione del Diavolo?
9 Febbraio 2019Secondo alcuni filosofi e teologi del XX secolo, la storia contemporanea è caratterizzata da una eclissi di Dio. È un’immagine suggestiva, perché l’eclissi si verifica quando un corpo celeste si pone fra la Terra e un altro corpo celeste, occultandolo; però è un’immagine che non va alle cause del fenomeno, cioè non spiega che cosa si ponga fra gli uomini e Dio. Se Dio si è eclissato, vuol dire che qualcosa si è posto fra Lui e gli uomini, impedendo a questi ultimi di vederlo. Che cosa? Secondo il filosofo Martin Buber (1878-1965), questo qualcosa è una ipertrofia dell’ego. Più precisamente, è una prevalenza della relazione Io-Esso rispetto a quella Io-Tu. La relazione Io-Tu è, secondo lui, la relazione tipica e fondamentale della dimensione umana: l’incontro fra due soggetti che si riconoscono nella loro pienezza e che divengono capaci di aprirsi al mistero dell’altro, arricchendosi vicendevolmente. Nella relazione Io-Esso, invece, l’altro non è più un soggetto, ma un semplice oggetto: un oggetto da osservare da studiare, o da possedere, o da usare. Qualche volta — e qui la riflessione di Buber sfiora un terreno particolarmente interessante e poco studiato — perfino la relazione di aiuto e di solidarietà può degenerare in una relazione Io-Esso, perché l’altro rischia di diventare una appendice dell’io, un mezzo perché l’io possa glorificare se stesso e porsi, ancora e sempre, al centro. Solo quando la relazione avviene su un piano non utilitaristico di alcun genere, solo quando i due io s’incontrano a metà strada e si aprono l’uno all’altro in una modalità puramente disinteressata, solo allora il tu si pone veramente come tu, cioè come soggetto e non come oggetto; e solo allora si crea una dimensione autentica della vita, perché l’ipertrofia dell’ego tende ad adulterare e falsificare la realtà delle relazioni umane.
Crediamo che in questa analisi ci sia una buona parte di verità. Con questa importante precisazione, tuttavia: che è l’eclissi di Dio ad aver reso gli uomini incapaci di dire tu, non l’incapacità di dire tu che ha creato l’eclissi di Dio. Dire "tu", con la lettera minuscola, richiede uno sforzo non indifferente: l’io recalcitra, resiste, cerca di opporsi: è tropo faticoso riconoscere il tu, perché questo dà all’io, per un riflesso condizionato, il timore di una diminuzione, di un indebolimento e quasi di un attentato alla propria pienezza. Solo nella relazione con Dio, cioè con un Tu assoluto, l’io depone la sua paura ancestrale di essere sminuito e accetta di porre qualcosa di diverso da sé: appunto riconoscendo qualcosa che è molto più grande di sé. Gli altri io, invece, per lui sono solo dei concorrenti sgraditi, ai quali non vorrebbe riconoscere il proprio stesso statuto ontologico: vorrebbe considerarli sempre e solo come oggetti, non porli come soggetti, perché solo così riesce a rassicurarsi e a non sentirsi minacciato nella propria pienezza e nella propria integrità. Sappiamo quanto è difficile riconoscere i meriti di un altro essere umano: la gelosia è quasi istintiva, e ci vuole uno sforzo della volontà per trattenerla, per imbrigliarla, per porle un freno; mentre riconoscere l’infinità di Dio e la sua onnipotenza non sminuisce l’io, perché l’io e Dio sono due enti che possiedono uno statuto ontologico radicalmente differente, quindi il loro rispettivo valore è incommensurabile. L’uomo non si sente sminuito ad adorare Dio quanto si sente sminuito a riconoscere un altro io, e trattarlo come un "tu", cioè come un soggetto e non come un oggetto. Per un essere dalla coscienza di sé tanto sviluppata, ma anche tanto fragile, come l’uomo, è relativamente facile porre come un tu gli esseri che giacciono su un altro piano ontologico: o più alto, come Dio, o più basso, come gli animali. È frequente che delle persone ombrose, irascibili, tiranniche, amino in maniera viscerale, quasi morbosa, i loro animali domestici. Questo accade perché amare un cane non implica una diminuzione del proprio io: non c’è competizione fra due creature di specie diversa. Ma porre un altro io umano, riconoscere i meriti e il valore di un tu, quello è un altro paio di maniche: per farlo, bisogna avere un forte equilibrio interiore, cioè una coscienza di sé che sia sufficientemente sviluppata, ma anche equilibrata, vale a dire non minata da un inconscio senso di debolezza o da un segreto auto-disprezzo.
Scriveva Martin Buber (1878-1965) a questo proposito (da: L’eclissi di Dio, Torino, 1990; cit. in: Storia delle religioni, a cura di Giovanni Filoramo, Laterza, 2005, e La Biblioteca di Repubblica, vo. 9, Ebraismo, pp. 326-327):
Che cosa intendiamo esattamente quando parliamo di un’eclissi di Dio, che sopravviene proprio adesso? Usando questa metafora partiamo dall’ardito presupposto che ci sia possibile, mediante il nostro "occhio spirituale", meglio: mediante l’occhio dell’essere, scorgere Dio come vediamo il sole e che quindi qualcosa può frapporsi fra la nostra esistenza e la sua, come tra terra e sole. Soltanto la fede, e nessun’altra istanza, indica l’esistenza dello sguardo sull’essere, per nulla illusorio, che non fornisce immagini, ma rende possibili tutte le immagini; tale sguardo non è da mostrare, lo si sperimenta soltanto, l’uomo l’ha sperimentato. Ma anche l’altro, quello che si frappone, lo si sperimenta oggi. Ne ho parlato quando ne sono venuto a conoscenza e con l’esattezza che tale conoscenza mi permetteva.
La doppia natura dell’uomo, considerato quale essere tanto generato dal "basso" quanto inviato dall’"alto", determina la dualità delle sue caratteristiche fondamentali. Queste non si possono afferrare nelle categorie dell’essere-per-sé del singolo uomo, bensì in quelle dell’essere-uomo-con-uomo. Come essere inviato l’uomo esiste di fronte all’esistente dinanzi al quale è posto. Come essere generato egli si trova accanto a tutto l’esistente del mondo, vicino al quale è messo. La prima di queste categorie ha la sua realtà vivente nella relazione Io-Tu, la seconda nella relazione Io-Esso. La seconda relazione ci conduce soltanto ad aspetti di un esistente, non al suo essere stesso; anche il contatto più intimo con un altro rimane soverchiato dall’aspetto, se quest’altro non è diventato per me un Tu. Unicamente la prima relazione, capace di generare la vera immediatezza tra me e un esistente, mi porta non ai suoi aspetti, ma proprio a lui stesso — naturalmente soltanto all’incontro esistenziale con lui, non a considerarlo nel suo essere come oggetto; non appena si stabilisce una considerazione oggettiva ci è dato di nuovo soltanto un aspetto e ancora soltanto un aspetto. È quindi unicamente la relazione Io-Tu quella in cui possiamo incontrare Dio, poiché di lui, in contrasto con ogni alto esistente, non possiamo scorgere nessun aspetto oggettivo; anche le visioni non forniscono rappresentazioni di tipo oggettivo, e chi si sforza, dopo un’interruzione della piena relazione Io-Tu, di fissare un’immagine postuma, ha già perduto la visione.
Nelle due relazioni Io-Tu e Io-Esso, l’Io non è certamente però sempre il medesimo. Ma dove e quando gli esseri che uno ha d’attorno vengono veduti e trattati come oggetto di osservazione, di riflessione, di uso, forse anche di sollecitudine e di aiuto, ecco allora che un altro Io è pronunciato, un altro Io insorge, esiste un altro Io che non quello che si rivela dove e quando uno con tutto il suo essere entra in un rapporto essenziale con l’essere che gli sta di fronte. Tutti coloro che conoscono in sé entrambe le relazioni — e la vita umana porta a conoscere in sé l’una l’altra — sanno di che cosa sto parlando. Entrambe collaborano alla costruzione dell’esistenza umana; si tratta soltanto di vedere quale delle due sia di volta in volta l’architetto e quale l’assistente. Anzi è importante che la relazione Io-Tu sia l’architetto; poiché naturalmente come assistente non serve e, se essa non comanda, vuol dire che sta già scomparendo.
Nel nostro tempo la relazione Io-Esso si è molto gonfiata e quasi incontestata, ha assunto la direzione e il comando. Signore di quest’ora è l’Io di tale relazione, un Io che tutto possiede, tutto fa e a tutto si adatta, incapace di pronunciare il Tu e di andare incontro a un’esistenza con autenticità. Questo Ego [Ichheit] ormai onnipossente, con tutto quell’Esso intorno a sé, non può naturalmente riconoscere né Dio, né un reale Assoluto, che manifesta la sua origine non-umana all’uomo. L’Ego si inserisce in mezzo, oscurandoci la luce del cielo.
Tale è l’ora presente. Ma come sarà la prossima? Secondo una superstizione moderna il carattere di una età funge da fato per l’epoca seguente. Da esso ci si lascia prescrivere che cosa sia possibile e quindi lecito fare. Si dice che non si può andare controcorrente. Ma forse vi sarà una corrente nuova, di cui non conosciamo ancora la sorgente? Con altra immagine: la relazione Io-Tu è andata nelle catacombe — chi può dire con quanta maggiore potenza tornerà alla luce? Chi può dire quando la relazione Io-Esso sarà di nuovo indirizzata al posto e alla funzione di assistente?
I momenti più importati nella storia dell’uomo, di questa possibilità personificata, sono i cambiamenti che accadono così, causati da forze dapprima invisibili e inosservate. Naturalmente ogni età è la continuazione di quella precedente; ma una continuazione può essere conferma oppure rinnegamento. Nelle profondità avviene qualcosa che non ha ancora un nome; già domani potrebbe giungere un cenno dall’alto, al di sopra delle teste degli arconti terreni. L’eclissi della luce di Dio non è l’estinguersi, già domani ciò che si è frapposto potrebbe ritrarsi.
Dobbiamo chiederci, a questo punto, per quale ragione l’uomo moderno, e specialmente l’uomo contemporaneo, abbia vissuto una così pronunciata ipertrofia dell’io, responsabile dell’eclissi di Dio. Riprendendo quanto detto prima, ci sembra che la ragione principale consista nelle condizioni proprie della civiltà moderna: nelle quali l’io è esaltato e glorificato, perché la civiltà moderna nasce da un’idea faustiana e titanica delle possibilità umane, che possono pienamente manifestarsi solo volgendo le spalle a Colui che, con la sua sola presenza, le ha sempre mortificate, cioè Dio; ma, al tempo stesso, nelle quali la tendenza egualitaria e democratica accentua ed esaspera fino al delirio il senso di costrizione e di gelosia dell’io nei confronti degli altri io, determinando l’assoluta prevalenza di quella relazione che Martin Buber chiama Io-Esso rispetto a quella Io-Tu. Nella società di massa, in particolare, ogni io si sente rivale degli altri io, coi quali è a troppo stretto contatto di gomito; la caduta, almeno teorica, delle barriere di classe (perché la realtà è un’altra cosa), l’accesso generalizzato a quei servizi e a quelle conoscenze che, prima, erano riservate a una élite, hanno creato una sensazione di insicurezza diffusa, nella quale ciascun io teme di essere aggredito e soverchiati dagli altri. C’è stato un generale indebolimento dei ruoli, una caduta delle competenze esclusive: moltissime persone si sentono in grado d’intromettersi in ambiti sociali e professionali che non sono di loro competenza, semplicemente perché una superficiale infarinatura d’informazioni dà loro la sensazione, generica e perlopiù inconsistente, di reale competenza. Si vede così la mamma che pretende si far lezione alla maestra su come insegnare al proprio figlio, oppure l’avventore di un bar che si sente in grado di spiegare a tutti come andrebbe governata una nazione di sessanta milioni di abitanti, economia e politica estera incluse. Molti, troppi si sentono capaci di far tutto. Alpinisti dilettanti pretendono di scalare le montagne più difficili e sciatori principianti si avventurarono fuori pista, in maniera spericolata. In questa generale confusione, ciascuno pretende e rivendica per sé un ruolo speciale, e la stessa cosa fanno tutti gli altri: è il caratteristico fenomeno dell’individualismo di massa, una palese contraddizione in termini.
Ma che c’entra tutto questo con l’eclissi di Dio? C’entra, perché un io che si sente superiore agli altri io, o comunque non inferiore a nessun altro, è un io malato d’ipertrofia e patologicamente incapace di dire tu, cioè di porre l’altro come un soggetto anziché rapportarsi ad esso come un oggetto; ma se ciò accade anche la relazione con Dio, che è il Tu assoluto, ne risulta inevitabilmente compromessa. Così come non si arriva al tu direttamente, ma passando attraverso il Tu divino, nel senso che l’io non arriva ad amare il prossimo se non passa per l’amore di Dio, perché è solo l’amore di Dio che rende possibile l’amore per il prossimo; così è il deteriorarsi delle relazioni umane, provocato dalle condizioni di vita tipiche della modernità, che spinge l’io a rifiutare in maniera ancor più rabbiosa la relazione positiva e costruttiva con gli altri io, e ad allontanare sempre più la relazione col Tu divino. In altre parole: se non si può giungere al prossimo se non passando per l’amore di Dio, non si può neanche amare Dio se si giunge alla rottura fisiologica della relazione con l’altro. Ma la modernità, come abbiamo visto, nasce proprio da un progetto di rifiuto di Dio, visto come una presenza minacciosa, opprimente, castrante (Freud insegna). Quindi, la via d’uscita dal vicolo cieco dell’eclissi di Dio consiste nel togliere ciò che si è frapposto fra l’uomo e Dio: che è l’io narcisista e patologico. E come lo si toglie, se non riconoscendo lo statuto ontologico dell’uomo come creaturale, e quindi come debitore nei confronti di Dio, che è la sorgente dell’essere? Non c’è niente da fare: per ripristinare il giusto rapporto con l’altro, bisogna ripristinare il giusto rapporto con Dio; e per farlo bisogna ripristinare il giusto rapporto con se stessi. È una relazione triadica: l’uomo deve tornare a riconoscersi per quel che è, ossia creatura; a quel punto tornerà ad adorare il suo Creatore: e solo allora saprà vedere e porre l’altro come un tu…
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