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Siamo arrivati al bivio: e adesso?

Con fatica, con dolore, con amarezza, molte persone, molti buoni cattolici, molti non cattolici che si stavano avvicinando al cattolicesimo, guidati dalla luce di Verità che si sprigiona, non certo per merito degli uomini e delle loro opere (o qualche volta anche sì, per quanto parzialmente e imperfettamente) dalla Persona e dalla Parola di Gesù Cristo, stanno maturando la certezza che Bergoglio non è degno di essere papa, che i Bassetti, i Galantino e i Paglia sono solo dei politici, che i Bianchi e i Kasper e i Martin non sono dei teologi cattolici, ma degli eretici impegnati ad adulterare impunemente la vera dottrina cattolica. In altre parole, sono passati dalla fase in cui avevano la sensazione che qualcosa non andasse per il verso giusto, alla fase in cui hanno dubitato, sì, ma di se stessi, e si sono auto-colpevolizzati, e si sono sforzati di essere figli obbedienti della santa Chiesa cattolica; alla fase in cui hanno ricominciato a sospettare, ma con più forza, che questa non sia più la vera Chiesa cattolica, ma una sua tragica contraffazione, per giungere infine ad essere sicuri che le cose stanno proprio così: che non c’è niente che non va in loro, in quanto credenti, se non la poco fede: ma quello è un problema costante di tutti i veri cattolici, e lo è soprattutto dei Santi: sentire che la vera fede implicherebbe una conversone totale della persona, che ancora non c’è stata. In altre parole, si sono sforzati di continuare a camminare, pur con le scarpe piene di sassolini, che provocavano fitte dolorose ad ogni passo, accusando se stessi di lasciarsi turbare da cose in fondo secondarie; hanno fatto chilometri e chilometri con i piedi sempre più piagati, sanguinanti; e solo da ultimo, quando il dolore si è fatto insopportabile, si sono fermati, si sono tolti le scarpe, e si sono resi conto che quelli non erano sassolini, ma frantumi di vetro taglienti. A quel punto hanno capito che qualcuno ce li aveva messi a bella posta; e sono giunti così alla conclusione che il loro sacrificio era stato inutile, che avevano sofferto in silenzio per niente; anzi, che il loro silenzio e il loro stoicismo erano serviti solo a far crescere a dismisura la tracotanza alla persona malvagia che aveva giocato loro quel pessimo scherzo, evidentemente per certi suoi fini inconfessabili. E adesso i camminatori dai piedi insanguinati si stanno chiedendo quali fossero, anzi, quali siano quei fini; si interrogano su chi possa essere stato l’autore di una beffa così atroce; e infine non possono eludere ulteriormente l’amara verità, che quella sporca operazione è stata pensata e voluta, contro di loro, dalle persone più care, dalle più rispettate, da quelle in cui riponevano tutta la loro fiducia.

Certo, è una situazione inedita: in duemila anni di storia della Chiesa, non si era mai presentata, o non si era mai presentata in queste dimensioni. Finora, i fedeli laici avevano sempre potuto contare sulla fedeltà del clero alla vera dottrina; e per quanto vedessero, non poche volte, che i singoli membri di quel clero, e a volte intere comunità religiose, erano tutt’altro che fedeli sul piano del comportamento personale; per quanto vedessero che si trattava di servi iniqui e infedeli dal punto di vista morale, nondimeno quasi mai succedeva che fossero anche delle cattive guide sul piano dottrinale. O, almeno, non capitava quasi mai che fossero delle cattive guide dottrinali in maniera intenzionale e organizzata. In altre parole, il clero non aveva mai dato l’esempio dell’eresia e dell’apostasia, per quanto, a volte, singoli membri di esso vi fossero caduti. Ora, invece, succede che il clero, nel suo complesso, anche se non senza eccezioni, ha imboccato la strada dell’eresia e dell’apostasia generalizzate: il che rende difficilissimo e oltremodo angoscioso, per il credente, accettare l’idea di non poter più fidarsi di esso sul piano della dottrina, di non poter più prendere i sacerdoti come guide nel cammino che conduce verso Gesù  Cristo. E molte persone si stanno rendendo conto che, se questa drammatica realtà si manifesta ora apertamente, durante il pontificato di Bergoglio, in effetti l’eresia e l’apostasia avevano incominciato a strisciare nel giardino della Chiesa già da molto tempo: da più di cinquant’anni, dal Concilio Vaticano II e dalla cosiddetta riforma liturgica voluta da Paolo VI e realizzata dall’arcivescovo massone e piduista Annibale Bugnini. Si stanno accorgendo che tutto ciò che hanno sempre sentito dire, sia dentro sia fuori la Chiesa (strana concordanza, che avrebbe dovuto, di per sé, metterli in guardia!), ossia che il Concilio è stato l’evento più fausto e più benefico, addirittura provvidenziale, in tutta la storia del cattolicesimo, forse non è stato affatto tale, ma anzi, è stato il frutto di una oscura manovra di forze interne ed esterne interessate a manipolare e addomesticare la Chiesa, per trasformarla in un docile strumento di consenso verso il mondo, la sua mentalità e la sua condotta di vita, basati su un edonismo sfrenato e su un utilitarismo cinico e amorale.

Senza dubbio lo shock di una tale scoperta, specialmente per i membri sani de clero, deve essere stato tremendo. Se è stato drammatico per i laici, che cosa può aver significato nella vita dei consacrati? Che cosa può aver voluto dire nella vita delle centinaia di francescani e francescane dell’Immacolata, commissariati, umiliati, perseguitati, molti dei quali hanno perso la speranza e sono usciti dalla loro condizione di religiosi? Che cosa possano provare un monaco o una suora, che hanno offerto la loro esistenza a Dio e al voto mariano che fu già di san Massimiliano Kolbe, e che hanno visto in san Pio da Pietrelcina la figura del vero sacerdote, da imitare e venerare, quando sono stati strappati dalla dolce chiostra, come direbbe Dante, non per violenza di nemici della Chiesa, ma per opera del papa stesso? Se il dolore di Piccarda Donati, strappata a forza del convento e dal velo monacale, è terribile, sì, ma lenito in qualche modo dal fatto di essere stato provocato da uomini a mal più che a ben usi, come sarà il dolore dei francescani e delle francescane dell’Immacolata, sapendo che la loro persecuzione è partita dal Vaticano? Proviamo a metterci nei panni dei sacerdoti, dei vescovi e dei cardinali che si sono resi conto della deriva apostatica della Chiesa, e che non hanno trovato ascolto, anzi, sono stati circondati da un silenzio ostile, e fatti oggetto di malevola attenzione da parte dei vertici della Chiesa stessa, quasi colpevoli di voler creare, loro, delle divisioni nel corpo mistico di Cristo. Cosa avrà provato il cardinale Caffarra, vedendo ignorata sia la lettera con i dubia espressi, rispettosamente e privatamente, da lui e da altri tre cardinali, sia la richiesta di un incontro privato col pontefice, sia, infine, il documento reso pubblico per sollecitare una risposta? Che cosa avrà provato vedendo che il papa, nel corso di un incontro non programmato, e pur stando seduto a pranzo proprio di fronte a lui, non gli ha mai rivolto la parola su ciò che gli stava tanto a cuore: ricevere i sospirati chiarimenti in fatto di dottrina, per il bene della Chiesa e per la chiarezza morale di milioni e milioni di fedeli? Chi può dire che la sua morte non sia stata provocato, o affrettata, dal dolore per aver ricevuto un simile, oltraggioso trattamento, non solo sul piano pastorale e della fede, ma anche sul piano personale ed umano, e questo proprio da un papa che ha fatto della misericordia la parola d’ordine del suo pontificato? Chi può dire che il tumore al cervello che ha colpito monsignor Antonio Livi, uno degli ultimi, grandi teologi cattolici  che sono anche membri del clero, non abbia origine proprio da un simile dolore, da una simile amarezza? Vedere la deriva della Chiesa, lo sgretolamento dell’autentica dottrina, e vedersi, contemporaneamente, osteggiato, bistrattato (per esempio da Marco Tarquinio, il direttore del giornale su cui scriveva da decenni, L’Avvenire, e ciò per aver rilevato le intollerabili eresie propagata dal sedicente teologo Enzo Bianchi), messo in un angolo, mortificato dal papa e dalla sua corte di pretoriani, e non difeso quasi da alcuno?

Noi conosciamo personalmente alcuni di questi casi. Eravamo amici ed estimatori di un santo sacerdote, anziano, ma ancora perfettamente in salute e lucidissimo, il quale, quasi da un giorno all’altro, si è ammalato ed è tornato alla casa del Padre. Abbiamo visto il suo turbamento, la sua tristezza, di fronte a quel che succede oggi nella Chiesa; ne abbiamo parlato con lui e ci siamo resi conto che, pur se non diceva una parola, né mai l’avrebbe detta, di critica aperta verso questo pontificato e verso le nuove tendenze di tanti preti e vescovi, ne era tuttavia intimamente e profondamente addolorato, e ne soffriva sino in fondo all’anima. La sua coscienza integerrima di cristiano e di sacerdote gli rendeva impossibile prendere le cose, come si usa dire (impropriamente), "con filosofia". La sua anima generosa ne soffriva, invece, e molto; siamo certi che ne sanguinava. E conosciamo anche un altro bravo e onesto sacerdote che è morto d’infarto letteralmente in un attimo, e anche per lui sospettiamo che non sia stata una morte del tutto "naturale". Nel corso di una conversazione con un amico, era stato posto di fronte alla questione sul giudizio che si può dare del papa attuale e della sua azione; e sappiamo che era stato assai colpito, anche se apparentemente era rimasto impassibile, dal durissimo giudizio espresso dal comune amico. Aveva detto che ci avrebbe riflettuto; tre ore dopo era morto. Avevano pranzato insieme, e dopo il pranzo era uscito a fare la sua solita passeggiata. Era stato stroncato da un malore fulmineo. Una semplice coincidenza, una fatalità? Forse. Ma di casi del genere ne conosciamo parecchi. Proviamo a metterci nei panni di un consacrato che aveva deciso di offrire la sua intera vita a Dio e alla Chiesa, e che ora si vede giunto a un bivio, lo stesso bivio al quale sono giunti anche i laici:  se andare lungo la strada segnata da Dio, per mezzo della parola e della vita di Gesù Cristo, oppure lungo la strada indicata dalla neochiesa postconciliare, e specificamente da Bergoglio, da Bassetti, da Galantino, da Paglia, da Martin, da Kasper e da Bianchi. Perché di un bivio si tratta, non c’è il minimo dubbio: o si va da una parte, o si va dall’altra. Per la prima vola nella sua storia due volte millenaria, la via intrapresa dalla Chiesa non coincide con la via indicata da Gesù Cristo. Il Signore disse infatti: Io sono la via, la verità e la vita; chi ha visto me, ha visto il Padre; e nessuno viene al padre se non per mezzo di me. Ma Bergoglio dice altre cose: molto, troppo diverse. Parla dei migranti, parla dei diritti civili, parla dell’ambiente, parla del clima. Parla poco del peccato e niente della vita eterna; poco della grazia e niente del giudizio. Parla poco della divinità di Gesù e ancor meno della mediazione della Vergine Maria. E quel che è peggio, alterna continuamente affermazioni cattoliche e affermazioni semi-eretiche, e non poche volte decisamente blasfeme, come quando disse che Gesù si è fatto serpente e si è fatto diavolo, o come quando ha voluto festeggiare, con tanto di emissione filatelica, i 500 anni della "riforma", ovvero dell’eresia micidiale e dello scisma di Lutero, salutandola (sono parole di Galantino) come un dono dello Spirito Santo.

È furbo, molto furbo, il signore argentino. Sta attento a non esporsi in maniera troppo esplicita; però non lascia passare un solo giorno senza aggiungere un pezzetto di vetro rotto nelle nostre scarpe di pellegrini e credenti. Vuole portarci all’apostasia, ma non ha il fegato di dirlo chiaro e tondo. Dice una cosa cattolica il mattino e una cosa non cattolica il pomeriggio. E anche quando dice cose cattoliche, le dice sempre in una maniera tortuosa, ambigua, fuorviante; oppure le dice con una rozzezza brutale, intollerabile. Quando dice che abortire è come pagare un sicario perché ammazzi qualcuno, ad esempio: ma si è mai visto un papa parlare a questo modo? Se davvero vuol far capire che l’aborto è male, che è un grave peccato, possibile che non gli venga in mente niente di meno atrocemente rozzo? Se è vero che la decisione di abortire è una decisione drammatica, possibile che manchi di rispetto in maniera così clamorosa a quelle donne, a quelle madri? Qualunque insegnante di catechismo o di religione che si fosse espresso in quei termini davanti agli studenti, sarebbe stato severamente ripreso dal suo vescovo; e qualunque sacerdote avesse detto una cosa simile nella omelia della santa Messa, sarebbe stato costretto a giustificarsi e, probabilmente, spostato ad altra sede, se non peggio. Ma la sua tecnica preferita è quella di seminare dubbi, insinuare incertezze, disorientare senza averne l’aria. La Madonna non è nata santa, dice: ma quando mai? È nata senza il Peccato originale, questo dice la vera dottrina cattolica: sì o no? Oppure: Dio non è cattolico. Oppure: Fare proselitismo è una solenne sciocchezza. Oppure: Maria ha pensato, dopo la morte di Gesù: sono stata ingannata! E ancora: Nessuno sa perché esiste la sofferenza. Di simili "sparate", potremmo elencarne a centinaia. E come parla dei suoi critici: li insulta ogni giorno, trasformando l’ambone della cappella di Santa Marta in una tribuna da cui lanciare fango a palate, tutti i giorni. Li chiama cani selvaggi; retrogradi ed eretici; cristiani dal cuore piccolo, eretici pelagiani e sepolcri imbiancati. Non si rivolge mai con simili espressioni se non a quanti non condividono la sua linea: che è, lo ha detto sin dal primo giorno, quella di cambiare la Chiesa. Ma ne ha la facoltà, ne ha il diritto? La Chiesa è proprietà del papa? Ecco: questo è il bivio al quale sono giunti i cattolici: consacrati e laici. Dobbiamo fare una scelta: le due strade, quella di Gesù e quella di Bergoglio, si dividono; vanno in direzioni opposte. Certo, è importante capire che la deviazione della Chiesa è cominciata assai prima di Bergoglio; sta di fatto, però, che ora è giunta al punto che è impossibile ignorarla. Non si capisce neppure qual è la vera Chiesa e quale quella falsa e apostatica: sono mescolate insieme in modo che Dio solo, che legge nei cuori, le può distinguere. Perché un giorno verranno separate, questo è certo. Preghiamo che quel giorno ci trovi dalla parte giusta del bivio…

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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