
Omaggio alle chiese natie: la cappella della Osoppo
29 Gennaio 2019
Omaggio alle chiese natie: commiato
30 Gennaio 2019Siamo così arrivati alla fine del nostro pellegrinaggio fra le chiese di Udine, sul filo della memoria. È stato un duplice viaggio, nello spazio e nel tempo, che ci ha permesso di misurare quanto profondamente è cambiata la società negli ultimi decenni: al punto che i nostri nonni, e forse anche i nostri genitori, se tornassero sulla terra a vedere come vanno le cose quaggiù, non riuscirebbero a capacitarsi che sia trascorso meno di mezzo secolo dall’ultima volta che hanno visto e udito coi loro occhi e coi loro orecchi quel che accadeva nel mondo in cui noi, oggi, ci troviamo a vivere. E se il disagio è grande per noi, che da loro abbiamo ricevuto gli esempi e i modelli di vita, quasi sempre buoni, sovente ottimi, non riusciamo neanche a immaginare il dolore e la tristezza che proverebbero loro, vedendo quel che i loro figli e nipoti hanno saputo fare dei loro insegnamenti, vale a dire disperderli come spruzzi d’acqua nella sabbia del deserto, facendo in modo che nessun’altra pianta buona riuscisse ad allignare là dove loro avevano creato, con il lavoro, i sacrifici e gl’ideali, un vero e proprio giardino. Questa visione del mondo di cinquant’anni fa è troppo idillica, è viziata da un eccesso di nostalgia che ci porta a idealizzarlo? Ce lo siamo chiesti insistentemente e proprio per questo ci siamo sforzati di spingere lo sguardo il più a fondo possibile, per non fare torto al presente e per non abbellire oltremisura quello che Franz Werfel avrebbe chiamato il mondo di ieri. Tuttavia, per quante volte ponessimo il confronto, ogni volta siamo giunti alla stessa, identica conclusione: negli ultimi cinquant’anni la società ha conosciuto un disastroso regresso, che da ultimo si è fatto addirittura precipitoso; è come se dei virus di morte fossero penetrati nel suo organismo e avessero distorto il modo di sentire e di pensare della maggior parte delle persone, trascinando l’intero corpo sociale in una deriva inarrestabile, morale e spirituale, in fondo alla quale già s’intravvede il punto d’arrivo: la dissoluzione totale e definitiva del nostro mondo, la decomposizione dell’attuale paradigma culturale, un gigantesco sconvolgimento non solo sociologico e antropologico, ma anche biologico e materiale. La cosiddetta globalizzazione sta facendo il vuoto, il deserto; sta spazzando via, come un rullo compressero, identità, culture, appartenenze; sta rimescolando le comunità umane, specialmente la nostra, italiana ed europea, come se fossero semplici pezzi di un gioco ad incastro. Entro pochi altri decenni non vi sarà più l’Europa, semplicemente perché non vi saranno più gli europei; non vi sarà più la Chiesa, quella vera almeno, semplicemente perché non vi saranno più i cattolici, tranne pochi individui costretti a nascondersi nelle catacombe; non vi sarà più la cultura, né la morale, così come le abbiamo conosciute, ma vi sarà il totale e incontrastato impero dell’ignoranza eretta a sistema e del relativismo più spinto e aggressivo. Cinquant’anni fa c’era ancora la Patria, c’era la famiglia, c’era la fede in Dio, c’erano i confini, c’era un esercito, c’era una moneta sovrana, c’erano il lavoro, il risparmio, le pensioni, c’era la certezza del diritto, c’era la chiara distinzione fra il bene e il male, fra il vero e il falso, fra il giusto e l’ingiusto, fra il bello e il brutto. Orta tutte le distinzioni, anche le più necessarie alla vita, beninteso a una vita ordinata e da esseri umani, non già da bestioni ciechi e irragionevoli, sono cadute, e nessuno si azzarda a ricostruirle: vige una cappa di conformismo culturale così pesante, che ciascuno si guarda bene dal fare anche solo uno starnuto fuori dal politicamente corretto; in compenso, vige e regna sovrana una smisurata ipocrisia, secondo la quale non c’è mai stata un’epoca della storia più liberale, più tollerante, più democratica di questa. Cinquant’anni fa, inoltre, c’era l’infanzia, quella vera; e con essa c’era la speranza nel futuro, perché i bambini sono la speranza del futuro. Ma oggi i bambini sono pochi, sono sempre di meno; siamo in un mondo di vecchi, sempre più soli e sempre più egoisti; di vecchi che non vogliono invecchiare, che non vogliono cedere il passo alle nuove generazioni, che vorrebbero occupare all’infinito tutti i posti; e i pochi bambini non sono più tali, hanno rubato loro l’infanzia, mediante un sistema educativo folle e irresponsabile, e, ancor più, mediante l’abuso della tecnologia elettronica, specie dei telefonini.
Ma come è possibile che siamo giunti a queste conclusioni, semplicemente passando in rassegna le chiese della nostra città natale e misurando la distanza fra il ricordo che ne avevamo, legato alla nostra infanzia, e la realtà presente? Non solo è possibile, ma è perfettamente logico e naturale, beninteso se si hanno occhi per vedere realmente, e non solo per guardare le cose; e se si è interessati a fare due più due, cioè a trarre le doverose e necessarie deduzioni da ciò che si offre al proprio sguardo. Abbiamo scoperto che, da quando ce ne siamo andati, molte nuove chiese sono state costruite, tutte in periferia, per servire la popolazione dei nuovi quartieri suburbani; però abbiamo visto che il numero totale delle chiese cattoliche regolarmente officiate è, in realtà, diminuito. In centro, molte chiese sono state chiuse e diverse sono state "imprestate" ad altri culti, cioè alle diverse comunità ortodosse presenti in città, e che allora non c’erano. Niente di male, in questo: piuttosto che lasciarle cadere in degrado, è meglio che siano state cedute in uso agli ortodossi, che sono dei cristiani seri; molto più seri, in questo momento storico, della maggior parte dei cattolici: quando celebrano la santa Messa, lo fanno con tutta la solennità e la sacralità del caso e certo non permetterebbero mai le disgustose esibizioni moderniste, ecumeniste, interreligiose e perfino omosessualiste, che ormai impazzano nelle parrocchie cattoliche. Tuttavia, la chiusura di una chiesa al culto cattolico è pur sempre una cosa triste; e anche se è vero che il fenomeno è dovuto, almeno in parte, al trasferimento di molti udinesi dal centro alla periferia, considerata ormai più vivibile e più godibile dei vecchi quartieri storici, come del resto avviene in tutta Italia e in tutta Europa, all’origine del fenomeno c’è anche, e soprattutto, una ragione di tipo spirituale e religioso: la popolazione ha perso la fede, e il clero ha, in ciò, una responsabilità non secondaria. Pertanto è inutile costruire nuove chiese, peraltro sempre più brutte e sempre meno simili a chiese, perché il problema non è quello di avvicinare le chiese alle case della gente, ma è proprio quello opposto, di avvicinare la gente alle chiese. In altre parole, la gente si è allontanata dalla religione e ciò che il clero dovrebbe fare, invece di costruire nuove chiese, è rendere la Chiesa più credibile: non seguendo le strade del mondo, non cercando l’approvazione del mondo, e nemmeno investendosi di una missione puramente mondana, quella della lotta conto la povertà, o per l’accoglienza dei migranti, o per la tutela dell’ambiente e degli equilibri ecologici; e neppure per il riconoscimento civile e religioso dei diritti negati delle persone omosessuali, compreso quello di farsi prete o quello di "sposarsi" in chiesa. Non sono queste le cose che riavvicineranno la gente alle chiese, ma la spiritualità dei sacerdoti, la loro capacità di annunciare fedelmente la Parola di Dio, che è Parola di vita eterna e non parola di sociologi, o di sindacalisti, o di teologi pieni d’ammirazione per il mondo moderno, e azzoppati da un complesso d’inferiorità nei confronti di esso, al quale reagiscono trascinando la dottrina sempre più lontano dalla vera fede che la Chiesa ha tramandato per quasi duemila anni. Se mai la fede tornerà ad accendersi nelle anime, la gente sarà disposta a fare un chilometro di strada a piedi, pur di recarsi alla santa Messa; ma se la fede si spegnerà del tutto, la gente smetterà di recarsi in chiesa, anche se la chiesa fosse davanti alla porta di casa; oppure ci andrà, ma non per incontrare e adorare il Signore, non per pregarlo e ascoltare la sua Parola di vita eterna, né per celebrare devotamente il sublime Sacrificio eucaristico, offerto in remissione dei peccati del modo, bensì per glorificare se stessa, per celebrare l’uomo, per esaltare la comunità civile mediante una specie di culto assembleare auto-referenziale e, a ben guardare, totalmente laico immanentista.
Lo stato di salute di una comunità ecclesiale si misura dal numero e dalla qualità delle vocazioni religiose. Se i seminari si svuotano; se una città di centomila abitanti, come Udine, ha perso il suo seminario, lo ha ceduto a un liceo e ha ceduto anche la sua antica chiesa a una comunità ortodossa; se, per salvarne almeno le briciole, ha dovuto unire le forze con altre due diocesi e trasferirlo fuori città, quello è un segno chiarissimo del fallimento della vita cristiana. Tutto il resto — le manifestazioni esteriori, l’accoglienza dei "migranti", gli spettacoli ricreativi, le Giornate Mondiali della Gioventù, i campi scout, magari con i capi scout omosessuali dichiarati e militanti, come nel caso di Staranzano, nella diocesi di Gorizia, dove è stato il parroco che ha dovuto fare le valigie perché il suo arcivescovo ha scelto di piacere al mondo piuttosto che a Dio — è assolutamente secondario. Se un seminario resta vuoto, o quasi, mentre qualche decennio fa rigurgitava di aspiranti sacerdoti, ebbene qualche domanda i pastori se la dovrebbero fare, invece di sbavare d’ammirazione per il Bugiardo argentino il quale, una picconata dopo l’altra, una eresia dopo l’altra, sta smantellando quel poco che ancora rimane in piedi della vera e santa Chiesa cattolica. E se i preti sono pochi, sempre di meno, la soluzione non è fare le donne prete o celebrare i funerali senza prete; e nemmeno, come dice il Bugiardo argentino, vendere le chiese e magari venderle proprio agli islamici, come si voleva fare in diocesi di Brescia, affinché le trasformino in moschee: questa non è solo una resa, è un vero e proprio tradimento, che meriterebbe un processo per direttissima e la più severa condanna nei confronti dei pastori traditori. Le chiese, anche dal punto di vista materiale e finanziario, sono state costruite, nel corso del tempo, da generazioni e generazioni di fedeli cattolici; per questo le gente ha fatto le donazioni, ha sopportato i sacrifici, ha offerto giornate di lavoro gratuito in qualità di muratore, o di falegname, o di elettricista: per dare alla comunità dei fedeli un nuovo tempio di Dio. Non un Dio qualsiasi, ma il Dio cristiano e cattolico (checché ne dica il grande Bugiardo, Dio è cattolico, almeno se siamo ancora cattolici), quello che si è manifestato a noi nella Persona di Gesù Cristo, il quale ha offerto per noi il suo Corpo e il Suo sangue, e continua ad offrirlo a noi, e noi a Dio, nell’atto del Sacrificio eucaristico. Con quale diritto, adesso, sia morale, sia legale, questi pastori mercenari e traditori si arrogano i diritto di vendere le chiese ai fedeli della false religioni, affinché questi vi adorino le loro false divinità: quelle chiese che sono state costruite con la fede, la pazienza, il sacrificio e l’amore di tanti e tanti buoni cattolici?
Il crollo della pratica religiosa è il riflesso del crollo del sentimento religioso, quello vero e non quello ridicolo e fasullo, che si alimenta di idolatria papista e di pagliacciate pseudo liturgiche, come le chitarrate del vescovo di Noto o le pizzate in chiesa dell’arcivescovo di Napoli. E il sentimento religioso sta evaporando per la stessa ragione per cui è evaporato il sentimento patriottico e il sentimento della sacralità della famiglia, sicché ora nelle caserme, al posto dei giovani italiani addestrati a servire e difendere la Patria, ci sono centinaia di falsi profughi africani, come alla Cavarzerani di via Cividale, che si permettono di scatenare sommosse per lamentarsi del cibo, come è accaduto nel novembre 2018; e al posto delle case abitate da famiglie numerose ci sono le case sfitte, vendute dalla gente e acquistate dalle banche, che a loro volta le rivenderanno a qualche istituto di credito, a qualche multinazionale dei supermercati, o a qualche miliardario per impiantarvi alberghi, ritrovi di lusso e circoli privati con piscina, golf e sauna finlandese. Ma una società che non sa riempire le sue chiese di fedeli, le sue caserme di giovani cittadini e le sue case di famiglie fiduciose nel futuro, cioè di famiglie formate da un uomo e una donna, che non pensano ad abortire o a evitare le gravidanze in ogni modo, ma a far nascere dei bambini, è una società votata al suicidio. Tutto questo lo abbiamo visto, con infinita tristezza, ripercorrendo le chiese — e, attraverso le chiese, la storia, l’arte, la cultura, le attività economiche, della nostra città natale – e siamo certi di non aver esagerato nella severità della diagnosi, anche se questo che stiamo facendo è un discorso che non piace, perché urta frontalmente contro la favola bella del multiculturalismo, dell’accoglienza, della valorizzazione del diverso e contro tutti gli altri slogan insulsi e truffaldini coi quali si riempiono la bocca i nostri politici e ora anche i nostri sacerdoti, mal guadagnando lo stipendio che percepiscono, non per favorire il caos e la dissoluzione, ma per tutelare i cittadini e per pascere le pecorelle della Chiesa di Cristo, secondo il comandamento del divino Maestro. È molto, molto triste che le cose siano arrivate a questo punto; ma sarebbe ancora più triste far finta di nulla e continuare la recita imposta dal copione della cultura dominante, progressista, buonista e relativista, ultima espressione del nichilismo da cui è affetta, congenitamente, la civiltà moderna. Certo, fare finta di nulla è una scelta come un’altra. Si prende lo stipendio e si può perfino fare carriera e aver qualche meschina soddisfazione, seguitando a ripetere le menzogne che intossicano i giovani e perpetuano, aggravandolo, lo stato di dissoluzione in cui versa la nostra società.
Noi, però, non ci stiamo. Non siamo disposti ad assecondare questo ignobile tradimento, perpetrato ai danni della nostra civiltà proprio da coloro i quali dovrebbero custodirla, proteggerla e difenderla, e che per questo sono pagati, onorati e rispettati. C’è del marcio in Danimarca (Something is rotten in the state of Denmark) dice un ufficiale dell’Amleto, Marcello; eccome se ce n’è, anche qui, oggi…