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Omaggio alle chiese natie: la Sacrestia del Duomo

Un amico ci prende simpaticamente un po’ in giro per il lunghissimo giro attraverso le chiese di Udine e già trova strano che abbiamo dedicato uno spazio apposti alla Cappella di San Nicolò; ma, a parte il fatto che vi sarebbe troppa sproporzione nel dedicare lo stesso spazio alle piccole chiese di periferia e alla Cattedrale, bisogna precisare, per chi non la conosce, che questa è veramente un edificio imponente e ricchissimo di opere di notevole pregio, e che la Cappella di san Nicolò, cui si accede per un ingresso indipendente, è veramente una chiesa nella chiesa, e merita una trattazione a sé. Per la stessa ragione, e non solo per motivi personali legati alla memoria delle prime lezioni di catechismo e alla vestizione della veste da chierichetto, per servire alla Messa domenicale, ci è impossibile proseguire senza soffermarci almeno un poco sulla sacrestia, o meglio sulle sacrestie, della Cattedrale, che formano un complesso di tutto rispetto sotto il profilo storico-artistico. Senza contare che in anni recenti, nel 2001, al piano superiore è stato portato alla lue un ciclo di affreschi quattrocenteschi, nella Cappella Arcoloniani, che hanno rappresentato una grande e lieta sorpresa per tutta la cittadinanza e hanno confermato quanto fosse vivo e vitale, sotto il profilo religioso e culturale, il capoluogo friulano, che infatti conobbe allora la costruzione dell’ultima e più ampia cerchia di mura, completata nel 1463 e lunga oltre sette chilometri. Gli affreschi sono stati attributi, pur con qualche esitazione, ad Andrea Bellunello, un pregevole artista nato a Belluno fra il 1430 e il 1440 e morto a San Vito al Tagliamento fra il 1497 e il 1506.

L’insieme della sacrestia è formato da ben quattro stanze collegate fra loro, cui si accede dal lato destro della navata, fra il transetto e il portale laterale meridionale del Duomo, quello posto di fronte all’Oratorio della Purità. Entrando , ci si trova al di sotto del grande organo di destra, e subito a destra dell’ingresso c’è l’entrata della sacrestia. Le quattro stanze che la formano sono chiamate, nell’ordine, l’aula dei Mansionari, l’aula dei Canonici, l’aula delle Vestizioni — e infatti è qui che prendevamo dall’armadio le vesti da chierichetti — e un quarto locale, ancora più interno, noto come il Coro invernale o coro Jemale, in aderenza alla parete del presbiterio su cui insiste l’altare del Nome di Maria. Ed è proprio dalla porta di questo locale che noi bambini uscivamo dietro il bellissimo altar maggiore del Torretti, chi con la navicella per l’incenso, chi con la candela in mano, chi con il turibolo da far oscillare per spargere solennemente il fumo dell’incenso — operazione che richiedeva un minimo di destrezza e di decoro e che veniva pertanto affidata ai bambini più abili e più grandicelli -, in attesa di presentarci nel presbiterio per accompagnare il sacerdote che si recava a celebrare, con grande solennità, la santa Messa. Solennità è la parola chiave per capire il senso della liturgia preconciliare: ed è assolutamente inesatto pensare che si trattasse di mero ossequio per gli aspetto formali, una inutile ostentazione di pompa. Al contrario, la solennità liturgica non era che la manifestazione visibile, doverosa e necessaria, di una disposizione dell’animo fatta di raccoglimento, devozione, spiritualità e consapevolezza del Mistero ineffabile che veniva celebrato: il rinnovarsi del sacrificio di Gesù Cristo sulla Croce! Se i fedeli ponessero mente a ciò che significa, scriveva Julien Green, uscirebbero fuori di senno o morirebbero: di gioia. E il sacerdote era colui che celebra quel Sacrificio, fatto alter Christus egli stesso: logico e naturale che lo celebrasse rivolto verso il Santissimo e verso l’alto, perché, da buon pastore, mostrava alle pecorelle la direzione da prendere, in senso metaforico: la direzione dell’Assoluto. Non era per niente una mancanza di riguardo nei confronti dell’assemblea dei fedeli; i quali, difatti, non ne erano per nulla scontenti; così come l’uso della lingua latina, maestosa, plurisecolare, universale, tale da unire idealmente tutti i celebranti e tutti i fedeli del mondo in un solo pensiero e una sola volontà, non era tesa ad escludere alcuno, né a render le cose inutilmente complesse. Quante volte abbiamo sentito dire: ma le povere vecchiette, che ne sapevano del latino? Rispondiamo che le povere vecchiette erano quelle che meglio di tutti conoscevano quelle formule: le ripetevamo sin da bambine, perché così le avevano apprese. E non è un’obiezione valida il fatto che non sempre, né perfettamente, ne intendessero il significato linguistico: quel che importa, era che ne sentivano benissimo il significato liturgico. La Messa non è un’assemblea di eruditi e la fede cattolica non è la fede dei dotti e dei sapienti: la Messa è un rito assolutamente universale, che chiunque può capire anche se conosce solo il giapponese, o il coreano; e la Chiesa è l’unione di tutti coloro i quali credono in Cristo, Dio incarnato, morto, risorto e tornato gloriosamente in Cielo, presso il Padre, in attesa degli ultimi tempi e del Giudizio Finale. Del resto, a parte le vecchiette, i bambini stessi capivano quel che di essenziale c’è da capire: che nella Messa avviene una cosa commovente e sublime, la più grande di tutte: il rinnovarsi del Sacrificio di Cristo, al quale si uniscono in spirito tutti i fedeli che vi partecipano. E quando un chierichetto scuoteva il campanello, noi, che avevamo nove o dieci anni, capivamo, o meglio sentivamo, che il Mistero sfiorava la comunità con la sua ala possente, e che Dio stava rinnovando il miracolo di farsi uomo e di soffrire per gli uomini, e abbassavamo la testa, e non osavamo guardare il celebrante.

La sacrestia, dunque. Certo allora non ce ne rendevamo conto, ma poi abbiamo appreso che in quelle stanze vi è un numero tale di opere artistiche di buona qualità, fra le quali spicca perfino una Crocefissione del Tiepolo, da poter formare il nucleo di una intera pinacoteca americana, o di un paio di sale di una pinacoteca europea fra le migliori. Quanti e quali tesori di bellezza su ogni parete, ogni soffitto, ogni angolo, gettati con dovizia stupefacente, come se, nel nostro Paese, la bellezza fosse una merce inesauribile, che si può quasi sprecare! La recente scoperta degli affreschi del 1400 nella Cappella Arcoloniani ne è un esempio. E poco importa se per noi, bambini, il luogo più importante di quelle aule sontuose fosse il gran sacco di tela, pieno fino all’orlo di caramelle, che don Giuseppe ci distribuiva come premio per aver servito la Messa e che mai, pur passandoci davanti molte volte, avremmo osato toccare di nostra iniziativa, tali erano il senso di rispetto che quel luogo ispirava e l’autorevolezza di quei sacerdoti. Quel che importa è che, pur non sapendo di essere circondati da opere d’autore, dei bambini respirino, per così dire, l’atmosfera della bellezza, della cultura, della spiritualità. Un bambino italiano che vive circondato, anzi immerso un una tale profusione di tesori, ne resta influenzato sino in fondo all’anima, pur senza rendersene conto: riceve un dono che l’accompagnerà per tutta la vita.

Così Arduino Cremonesi descrive le sacrestie del Duomo, nella sua bella e ispirata Udine. Guida storico-artistica (Udine, Arti Grafiche Friulane Editrice, 1978, pp. 142-143):

La sacrestia è composta da tre ambienti ed è stata costruita appena nel 1776 da Luca Andrioli. Merita vistarla insieme al coro jemale per alcune pregevoli opere che vi sono conservate.

Nella prima stanza, detta "dei mansionari, si vedono alle pareti diversi quadri. Sono particolarmente pregevoli due dipinti di Giannantonio Pordenone che si trovavano alle due estremità dell’organo di destra. Rappresentano "Santi Ermacora che battezza le quattro vergini aquileiesi Dorotea, Eufemia, Erasma e Tecla"e "I funerali dei Santi Ermacora e Fortunato". Due buoi quadri di G. B. Grassi presentano la scena delle "Nozze di Cana" e di "Gesù mentre guarisce un infermo". Una tela di Jacopo Palma il Giovane rappresenta "La Madonna con il Bambino", un’atra di Franz Hals (1580-1666) presenta "Isacco che benedice Giacobbe". Notevole infine un "Cristo crocefisso fra santi" di G. B. Tiepolo.

Nella stanza attigua, detta "dei canonici", si è subito colpiti dalla vista di una stupenda slanciata statua collocata sulla parete sinistra e raffigurante la Vergine Assunta. Anch’essa è opera del Torretti che, come si è visto, ha eseguito parecchi lavori nel Duomo. Le pareti sono affrescate da Pier Antonio Novelli con dipinti monocromi alquanto artigianali rappresentanti gli avvenimenti più salienti del Patriarcato ecclesiale di Aquileia. Il loro racconto grafico inizia a sinistra della statua dell’Assunta. Il Novelli ha pure affrescato gradevolmente il soffitto con una composizione simbolica raffigurante l’omaggio della Chiesa alla fede e con le immagini dei quattro evangelisti agli angoli. La terza stanza non c’è niente di particolarmente interessante ad eccezione dell’arredamento ligneo eseguiti dal noto intagliatore Matteo Deganutti che ha curato anche quello delle due stanze precedenti. Il coro jemale, ossia invernale è una specie di piccola pinacoteca nella quale vediamo la "decapitazione di San Giovanni" e "Il martirio di S. Caterina", ambedue tele di Antonio Secanti (sec. XVI). Possiamo pure ammirare un trittico quattrocentesco rappresentante la scena del "Battesimo di Gesù fra i Santo Giacomo e Francesco" e, dalla pare opposta, un polittico del secolo XIV che è considerato molto importante perché è IL PIÙ ANTICO DIPINTO SU TAVOLA ESISTENTE A UDINE. Rappresenta l’incoronazione della Vergine e scene di miracoli compiuti da san Nicolò.

Sono pure notevoli i dipinti di un anonimo artista denominato Maestro dei Padiglioni. Uno ci presenta il "Beato Bertrando in preghiera", ed è la più antica figurazione di quel patriarca. Altri due dipinti del suddetto autore sono costituiti da due portelle che racchiudevano lateralmente il sarcofago del Beato Bertrando: uno rappresenta l’uccisione del patriarca a San Giorgio della Richinvelda e l’altra il "Beato Bertrando che soccorre i poveri".

E a proposito della Cappella Arcoloniani — noi abbiamo già parlato della Cappella Arcoloniani dedicata a San Leonardo, situata in via Gorghi e sopravvissuta alla totale distruzione del palazzo signorile di cui faceva parte — scrive Elena Commessatti nel libro Udine. Una guida (Udine, Odòs Libreria Editrice, 2014, p. 105):

Se proseguite, giungete nella Sagrestia (in fondo alla navate destra), qui i lavori di restauro del 2001 hanno permesso di scoprire gli affreschi dell’antica cappella degli Arcoloniani, che si sono rivelati uno dei cicli più importanti della pittura murale quattrocentesca della regione. La cappella fu costruita nel 1368, ma fu soppressa a seguito dei avori settecenteschi di riadattamento del transetto. Di essa è riaffiorata la parete sud, inglobata nel muro divisorio tra la cappella dei Canonici e la nuova sacrestia settecentesca. Lo strato più antico conserva storie trecentesche di santa Caterina; gli affreschi quattrocenteschi con le storie di sant’Eustachio, di alto livello stilistico, sono di mano di due artisti, uno dei quali viene identificato dallo storico dell’arte Paolo Casadio in Andrea Bellunello. Eccezionale è nel comporto, con la cavalcata di Eustachio e i suoi due figli, la veduta di Udine in quanto costituisce una delle prime figurazioni di città italiane a partire dal 1470 ed è insieme un importante documento storico che fissa l’aspetto di Udine prima del terremoto del 1511. Forse ne è la prima rappresentazione in assoluto. Sempre in sagrestia troverete opere del Pordenone, Grassi, Palma il Giovane e un Tiepolo (Crocefisso con la Vergine, san Giovanni, la Maddalena e san Biagio) e soprattutto la storia del Patriarcato dipinta da Pier Antonio Novelli, interessante per capire come si sia sviluppata a grande narrazione del potere e fondamentale per capire Udine.

Forse è proprio nelle sacrestie del Duomo che si respira la vera spiritualità del cattolicesimo. Per generazioni, dal XVIII secolo, sacerdoti e chierichetti vi sono passati, hanno indossato i paramenti o le vesti, si sono disposti spiritualmente a celebrare il sacrificio della Messa. Colpisce la disinvoltura, per non dir la sciatteria e, in qualche caso, l’irriverenza di certi preti e certi fedeli del giorno d’oggi, i quali par che si rechino in pizzeria, o ad una gita di piacere. L’ombra della sacrestia è la necessaria preparazione allo splendore del Mistero eucaristico. Noi, che abbiamo ricevuto quel tipo di educazione religiosa, ci riteniamo dei privilegiati e siamo convinti che sia stato un errore gravissimo, nato da un fraintendimento totale (se pur non è stato qualcosa di peggio) l’aver distrutto quell’alone di soprannaturalità che avvolgeva la liturgia preconciliare. Lì si sentiva la Presenza Reale di Cristo; oggi si ha l’impressione, molte volte, che i fedeli celebrino se stessi e che il sacerdote svolga una cerimonia qualsiasi, la quale poco ha di sacro. Far vedere l’invisibile per mezzo del visibile, questo era il senso della vecchia liturgia. E ci riusciva.

Ci riescono, i neopreti della neochiesa, i quali, sulla spinta della Scuola di Bologna, che vorrebbe eliminare il misticismo, e della Comunità di Sant’Egidio, che ritiene di avere il monopolio ideale della carità verso i poveri, trasformano le basiliche in ristoranti, coi tavoli imbanditi, la pastasciutta fumante e la carne in sugo, dopo aver rimosso i banchi per la preghiera? Ci riescono i vescovi che suonano la chitarra sull’ambone, e i teologi che riducono la figura di Gesù Cristo alle proporzioni di un semplice uomo di buona volontà? Le chiese e i seminari sempre più vuoti sono la triste risposta…

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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