
La grazia più grande è amare umilmente se stessi
21 Gennaio 2019
Antonio Santin: quello sì, era un Vescovo
23 Gennaio 2019La santa Messa, quante volte lo abbiamo detto?, è il cuore pulsante della fede cattolica; tutto ruota intorno ad essa, tutto parte da essa e ritorna ad essa, tutto si regge su di essa e si trasfigura per mezzo di essa. Ma che cos’è, la santa Messa? Qualunque bambino del catechismo, qualche decennio fa, avrebbe saputo rispondere prontamente e con sicurezza: è il rinnovarsi del Sacrificio di Gesù sulla Croce, fatto per amore degli uomini; Sacrificio al quale gli uomini si uniscono con le loro preghiere, e al quale partecipano con tutta l’anima, rivolgendola a Dio. Oggi non siamo più tanto sicuri che qualunque cristiano, anche adulto, saprebbe rispondere con altrettanta prontezza e sicurezza; e la colpa è di un clero infedele e bugiardo, che si è allontanato fraudolentemente dalla vera dottrina, al perfido fine di adulterare la fede delle pecorelle di Cristo, per trascinarle, ignare ed incolpevoli, verso l’apostasia. Una quantità di teologi, di vescovi e di sacerdoti, quando parlano di questo argomento – se pure trovano il tempo per parlarne, essendo indaffarati in cose assai più importanti, come i diritti dei migranti, la tutela dell’ambiente, il mutamento climatico — adoperano le espressioni più strane ed ambigue, più azzardate e temerarie, simili ai sermoni di un qualunque pastore protestante, dato che ciascuno di essi si permette di dare la sua particolare interpretazione di ciascun punto della dottrina. La sola cosa che si capisce, anche se si preferirebbe non capire, anche se si preferirebbe pensare d’aver capito male, è che, per molti di loro, la Messa non è propriamente il sacrificio di Cristo, ma un simbolo, una cerimonia nella quale si simboleggia quel Sacrificio, si ricorda quel Sacrificio, si mima quel Sacrificio, non lo si vede al presente, non vi si assiste, non vi si partecipa. Anche perché, secondo loro, tutto sommato non c’è stato un sacrificio, perché — parola di Enzo Bianchi, il "teologo" preferito del Bugiardo argentino – Dio non si compiace della sofferenza umana: e dunque, come potrebbe compiacersi del Sacrificio di suo Figlio? Sempre che Gesù Cristo sia il Figlio di Dio, e non, come dice ancora l’eretico Enzo Bianchi, un semplice profeta che "narrava" Dio agli uomini: come in una bella fiaba.
Un Sacrificio, dunque, anzi, il Sacrificio: quello che ci redime; quello senza il quale il Vangelo sarebbe, effettivamente, solo una bella favola; quello che alimenta la nostra speranza — speranza come virtù teologale e non come semplice desiderio umano che una cosa si avveri. La Redenzione degli uomini, propriamente parlando, viene dalla Resurrezione di Cristo: senza di essa, come dice san Paolo, la nostra speranza è vana; e tuttavia, ci sarebbe la Resurrezione di Cristo, se non ci fosse la sua Passione, se non ci fosse la sua Morte sulla Croce? Gesù si è sacrificato; ha compiuto il sacrificio più grande che si possa fare per gli altri: ha donato la sua stessa vita, dopo aver sopportato oltraggi, percosse, dolori atroci. Nessuno ha un amore più grande di questo — aveva detto, profeticamente, ai suoi discepoli, durante l’Ultima Cena: dare la sua vita per i propri amici. Accostarsi all’Eucarestia significa accostarsi a questo Sacrificio, che si rinnova sotto le specie del Pane e del Vino. Chi non ha capito questo, chi non lo vuol capire, chi è disgustato da un tale pensiero, non ha capito nulla del cristianesimo e non è degno di partecipare alla santa Messa; figuriamoci se è degno, come sacerdote, di celebrarla. Ricordiamoci del miracolo di Bolsena: il sacerdote che dubita della Presenza Reale di Cristo nelle specie del Pane e del Vino, dubita del Sacrificio di Cristo: ma chi dubita di questo, come può credere a tutto il resto? Che razza di cattolico è, costui? La sua "fede" poggia sul vuoto, sul nulla; è una fede per modo di dire; è solo un insieme di credenze ipotetiche, condizionate da un atteggiamento di razionalismo scettico. Non dovrebbe chiamarsi cattolico: è solo un modernista travestito da cristiano.
Ma chi ha capito che cos’è la Messa, chi è consapevole del Sacrificio, del Sacrificio di Cristo per gli uomini, e dell’unione spirituale dei fedeli con Lui, nell’offrire a Dio quel Sacrificio cruento (Gesù non ha fatto finta di morire!, è veramente morto sulla Croce; e sulla Croce non c’è finito per caso…), non può accostarsi ad esso con leggerezza, con superficialità, con piglio frivolo e mondano. Com’è possibile accostarsi al Corpo e al Sangue di Cristo senza la necessaria umiltà, senza la doverosa compunzione? Ci sono fedeli che si presentano vestiti in maniera inappropriata, specie d’estate; fedeli che prendono l’Ostia in mano come se fosse un boccone qualsiasi; fedeli che tornano al loro banco ridacchiando e scherzando con i loro vicini, specie fra i più giovani: nessuno ha insegnato loro che cos’è quel pezzetto di Pane? Il male, però, parte dal clero. La consegna della Particola sulla mano, stando ritti in piedi, è la logica conseguenza di tutta l’impostazione liturgica avviata dal Concilio Vaticano II, tendente a trasformare il Mistero eucaristico in una specie di assemblea del popolo. In quell’assemblea, il popolo è protagonista, non Dio; il popolo è al centro, il popolo fa, il popolo ha diritto… Questo è uno stravolgimento totale del significato della santa Messa. Nella santa Messa non è il popolo che celebra se stesso, ma è il sacerdote che celebra il Sacrificio di Cristo: tanto è vero che la Messa è perfettamente valida anche se il sacerdote la celebra da solo. Quello che conta non è che ci sia la gente, ma che ci sia Cristo. A che serve la chiesa piena di folla, se i fedeli si accostano al sacrificio in maniera irrispettosa, e irrispettosa perché inconsapevole?
Osservava, a questo proposito, lo scrittore Julien Green, nel suo Pamphlet contre les catholiques de France (nn. 39-50; in: Giovanni Barra, Aspettando Gesù. Meditazioni per l’avvento, Torino, Borla Editore, 1965, pp. 78-80):
Le persone che ritornano dalla messa parlano e ridono: credono di non aver visto nulla di straordinario. Non si sono accorte di nulla perché non si sono data la pena di vedere. Si direbbe che abbiano assistito a qualcosa di semplice e di naturale, e questa cosa, se non si fosse prodotta che una vola, sarebbe sufficiente a rapire in estasi un mondo appassionato.
Esse ritornano dal Golgota e parlano del tempo.
Questa indifferenza impedisce che divengano folli.
Se si dicesse loro che Giovanni e Maria discesero dal Golgota parlando di cose frivole, direbbero che è impossibile. Tuttavia non agiscono altrimenti.
Ritornano dall’aver assistito a un’esecuzione capitale: appena un istante dopo non vi pensano più. Questa mancanza d’immaginazione impedisce che vengano prese dalle vertigini e che muoiano.
Si direbbe che ciò che gli occhi non vedono affatto non abbia importanza; in realtà soltanto questo ne ha, e soltanto questo esiste.
Ve ne sono di quelle che rimangono in piedi durante l’elevazione, ed io non so qual è quello che desta meraviglia, l’elevazione stessa o l’atteggiamento di coloro che l’osservano.
Se questa elevazione non fosse che un simbolo della Verità! Ma È LA VERITÀ STESSA, presentata sotto un aspetto che è proporzionato alla debolezza umana. Gli Ebrei non potevano sopportare lo splendore del viso di Mosè, e Mosè non era che un uomo. Mosè temeva di morire per aver visto il viso del suo Creatore (Giud., 12, 22), ma non aveva visto che un angelo. Che cosa vi è di nascosto sotto le specie del pane e del vino? Più di un angelo e più di Mosè certamente. Uno dei caratteri più sorprendenti della messa è ch’essa NON UCCIDE LE PERSONE CHI VI ASSISTONO.
Esse ascoltano la messa tranquillamente, senza lacrime, senza commozione interiore; è meraviglioso. Che cosa occorrerà dunque per commuoverle? Qualcosa di comune.
Per vedere fino a qual punto sono povere di cuore, è necessario esaminare ciò che si è fatto per esse, ciò che si fa tutti i giorni, in tutte le parti del mondo, per salvare le loro anime disattente. La loro povertà di cuore non è né grande né piccola; è infinita. Potenze, troni e dominazioni sono meno forti di questa imbecillità d’animo.
Se potessero meravigliarsi, sarebbero salvate; ma esse fanno della loro religione una delle loro abitudini; cioè qualcosa di vile e di naturale.
È l’abitudine che danna il mondo.
Julien Green scriveva queste cose non nel 1965, a conclusione del Concilio, ma nel 1924: circa quarant’anni prima. Egli, da convertito, vedeva il contrasto stridente che esiste fra ciò che è la Messa, nel suo intimo e vero significato, e il comportamento dei fedeli. Quel che è avvenuto a partire dal 1962, e specialmente dal 1969, con l’introduzione della nuova Messa di Paolo VI, ha esaltato ancor di più quell’atteggiamento sbagliato che già lo scrittore francese aveva notato tra i fedeli nel terzo decennio del XX secolo. E non solo l’ha esaltato, ma lo ha giustificato con una riforma liturgica, diretta da un arcivescovo massone — Annibale Bugnini — che è stata concepita e voluta al preciso scopo di desacralizzare il sacro e di introdurre la peste dello spirito massonico dentro l’assemblea dei fedeli. Lo spirito massonico, spirito luciferino di superbia e di rivolta contro il vero Dio, ha suggerito che la Messa di Pio V era una reliquia del passato e che non rispondeva più alle necessità dei tempi nuovi, e soprattutto al sentire del "cristiano moderno". Che cosa sia questo cristiano moderno, non è affatto chiaro: il cristiano è cristiano e basta,"antico" e "moderno" sono qualificazioni che non hanno a che fare col Vangelo, né con la Rivelazione, il cui significato è perenne, ma con la società mondana, soggetta ai mutamenti, alle mode, alle tendenze. La Chiesa, quella vera, ha sempre saputo che Dio parla per l’eternità, e che l’eternità è la meta cui essa tende, e verso cui deve indirizzare le pecorelle del gregge di Cristo. E Gesù è perennemente presente nel Miracolo eucaristico, che perennemente si rinnova, anche alla presenza del solo celebrante: Sacrificio di amore e di riparazione.
Ora, è proprio questo aspetto che la Massoneria ecclesiastica voleva intaccare e, un poco alla volta, svuotare completamente di significato. Alla Massoneria non piace Gesù Cristo; meno ancora piace l’idea che Gesù ha redento il mondo mediante il Sacrificio di se stesso. Ciò fa sentire i fedeli infinitamente obbligati verso di Lui e ricorda loro che, senza di esso, non ci sarebbe la Redenzione, cioè rimarrebbero immersi nei loro peccati. Ma per la Massoneria non ci sono peccati, semmai errori, una cosa puramente umana. Tutte queste idee sono tipiche della modernità, e infatti il mondo moderno è una creazione della Massoneria. La prima democrazia moderna, gli Stati Uniti d’America, sono una creazione della Massoneria; e anche la più antica democrazia europea, la Francia, è una sua creazione e un suo strumento. Nella Chiesa, la componente filo-massonica ha sempre avuto questo obiettivo: scardinare la vera Messa, agendo dall’interno; stravolgere la vera dottrina, senza dichiararlo, anzi presentando le "riforme" come semplici iniziative di aggiornamento pastorale. Il modernismo, la pestifera eresia che si diffonde all’inizio del XX secolo, è stato preceduto e preparato dall’americanismo, sorto in seno alla comunità cattolica statunitense; e la seconda ondata del modernismo, quella degli anni del Concilio, e che ora si è impadronita dei vertici della Chiesa, è stata preceduta dall’eresia del gesuita francese Teilhard de Chardin. Anche nel Concilio i vescovi progressisti francesi, insieme ai tedeschi, sono stati l’anima della rivoluzione neomodernista. Guarda caso, l’ondata dell’apostasia strisciante è partita dai Paesi ove la Massoneria è più forte e dove, evidentemente, si era infiltrata maggiormente in profondità nella Chiesa. La manovra, all’inizio sottile e attuata con circospezione, ora si va facendo sempre più scoperta, come se dalla regia occulta fosse stato diramato l’ordine di stringere i tempi. I buoni cattolici sono sconcertati, amareggiati, disperati: non sanno che fare, dove andare, a chi rivolgersi. Non pochi si chiedono se la Messa, abbassata al livello di un rito quasi profano, sia ancora valida; se vi sia la Presenza Reale di Cristo nella santa Eucaristia. Noi riteniamo di sì, nonostante tutto. Il Magistero ha sempre insegnato che la validità dei Sacramenti non dipende dall’intenzione soggettiva del celebrante, né dal suo essere in stato di grazia: l’importante è che sia stato regolarmente consacrato. Alcuni tuttavia arrivano a dire che, dopo il Concilio, nessuna consacrazione si può ritenere valida. Questo è un grave errore: benché deturpata da indegne presenze e da indegne intenzioni, la Chiesa è sempre la Sposa di Cristo, e resta sempre valida la promessa di Gesù, di proteggerla sino alla fine. Perciò, coraggio: i fedeli saranno vagliati come il grano, ma le porte degli inferi non prevarranno…
Fonte dell'immagine in evidenza: Catalogo Generale dei Beni Culturali | Giovan Andrea Commodi - Sant'Ignazio celebra la messa (1622-1638)