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Soltanto l’uomo cristiano è l’uomo totale

Se dovessimo indicare, fra le tante, la causa principale dello smarrimento dell’uomo moderno di fronte al reale, della sua perplessità, della sua alienazione e della sua impotenza, che inizia con il don Chisciotte di Cervantes e l’Amleto di Shakespeare e arriva fino agli antieroi straniti di Svevo, di Pirandello, di Kafka, di Musil, di Joyce e di Beckett, diremmo che essa risiede nella mutilazione e nella frammentazione dell’immagine che egli ha di se stesso. L’uomo moderno, e specialmente l’uomo contemporaneo, non si percepisce più come una unità e non si percepisce più come un essere coerente. Non solo ha smarrito il senso della propria unitarietà, ma ha anche smarrito le ragioni per cui le sue componenti costituiscono un organismo vitale, efficiente, rivolto all’affermazione e quindi alla vita. Al contrario, l’uomo odierno sembra tutto concentrato nella negazione piuttosto che nell’affermazione. Egli percepisce come proprio "io" solo una piccola parte del suo vero essere, e quella sola parte la immagina come enormemente più grande di quella che è davvero; inoltre non riesce più ad armonizzare le componenti del suo organismo, la parte fisica con quella spirituale, questa con quella intellettuale, e questa, a sua volta, con quella morale. Non riesce a padroneggiare i suoi istinti, anzi molto spesso non comprende neppure perché i suoi istinti andrebbero padroneggiati, e lascia ad essi le briglie sciolte affinché lo conducano dove vogliono loro, disordinatamente e senza alcun progetto. Addirittura, molto spesso non riesce ad accordare in se stesse neppure la sua parte fisica, o la sua parte istintuale, o la sua parte intellettuale: in altre parole, dentro di lui gli organi combattono fra di loro, gli istinti si fanno la guerra, i pensieri si contraddicono e si contrastano vicendevolmente. Regna l’anarchia più totale, ma non è un’anarchia gioiosa (anche se talvolta pretende di crederlo e cerca di farlo credere agli altri), bensì un’anarchia dolorosa, nella quale l’uomo infligge a se stesso dei colpi tremendi, senza sosta, ed esce spossato da un cimento implacabile che lo vede comunque sconfitto, dato che nessuno può uscire vittorioso da una contesa inconcludente e distruttiva con se stesso.

Tutto questo accade perché la civiltà moderna nasce come una rivolta deliberata contro Dio, e quindi l’uomo moderno ha volutamente obliato e rimosso le sue radici cristiane. Di conseguenza, si è scordato di quando, immerso nella prospettiva cristiana, era in pace con se stesso e sapeva affrontare con maggiore saldezza le difficoltà e le lacerazioni della vita; al contrario, gli è stato fatto credere, dalla cultura oggi dominane, che l’età cristiana, e specialmente il medioevo, sia stata caratterizzata da una così violenta repressione degli istinti, da aver sfigurato il suo essere naturale, sacrificandolo sull’altare di un irraggiungibile aldilà. Teniamolo bene a mente: quando un nuovo paradigma culturale si sovrappone a quello preesistente, vengono mobilitate tutte le arti della propaganda per convincere i membri della società che sono passati dal male al bene, dalle tenebre alla luce, dall’errore alla verità; e così è accaduto anche, e soprattutto, nel passaggio dalla civiltà cristiana alla sedicente civiltà moderna. Ma la verità è che nella visione cristiana l’uomo è posto come una totalità: nessuna delle sue componenti viene sacrificata a vantaggio delle altre, e tutte si armonizzano vicendevolmente, beninteso secondo una precisa gerarchia di valori, in base alla quale lo spirituale comanda all’intellettuale, l’intellettuale al morale, e il morale all’istintuale. Non è vero che la componente fisica viene ignorata e disprezzata, tanto è vero che il cristianesimo parla della resurrezione dei corpi, e come se non bastasse, parla di un Dio che si è incarnato ed è vissuto sulla terra soffrendo e morendo fra gli uomini, per mano di essi, per poi risorgere. Anche nell’induismo gli dèi si incarnano, ma prendono solo l’apparenza fisica, conservando tutta la loro potenza divina senza alcun residuo di umana fragilità. Inoltre, nelle altre religioni si parla della liberazione dal corpo. Nel buddismo, in particolare, il giudizio sul corpo e sulla vita materiale è talmente negativo che il ciclo delle rinascite svolge appunto la funzione di consentire il totale affrancamento da esso: il Nirvana equivale al superamento totale e definitivo della dimensione corporea.

È opportuno, per mettere meglio a fuoco ciò che si intende per uomo cristiano totale, riportare una pagina del grande filologo tedesco Erich Auerbach Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale (titolo originale: Mimesis. Dargestellte Wirklichkeit in der abendländischen Literatur, Berna, 1946; traduzione dal tedesco di Alberto Romagnoli e Hans Hinterhäusen, Torino, Einaudi, 1956), là dove commenta i caratteri di Farinata degli Uberti e di Cavalcante Cavalcanti nella Divina Commedia di Dante:

Nel nostro passo, vi sono due dannati, i quali vengono introdotti in stile illustre, e la cui personalità terrena è conservata con piena realtà nella loro dimora ultraterrena. Farinata è, come sempre, grande e superbo, e Cavalcante ama la luce del mondo e suo figlio non meno, anzi nel suo dubbio, più caldamente che in terra. Così ha voluto Dio, e così tutti questo s’inserisce nel realismo figurale della tradizione cristiana.Mai prima esso fu spinto tanto lontano; mai, forse nemmeno nell’antichità, è stata impiegata tanta arte e tanta potenza espressiva per raggiungere una tale intensità, quasi dolorosa, di rappresentazione della forma terrena dell’essere umano. Ciò è consentito a Dante appunto DALLA INDISTRUTTIBILITÀ CRISTIANA DELL’UOMO TOTALE, e proprio per averla espressa con tanta potenza e con tata realtà, egli aprì la strada all’autonomia dell’essenza terrena; egli creò nel mezzo del’aldilà un mondo di personaggi e di passioni terrene, che esce dalla cornice e diventa indipendente. La figura supera il compimento, o meglio, il compimento serve a dare ancora maggior rilievo alla figura. Si ammira Farinata e si piange con Cavalcante; quello che più,ci commuove non è che Dio li abbia dannarti, ma che l’uno si incrollabile e che l’altro provi un così acuto rimpianto del figlio e della dolce luce. La terribile condizione dei dannati serve soltanto quale mezzo per accrescere l’effetto di questo sentimenti del tutto terreni.

Tralasciamo, in questa sede, le considerazioni propriamente estetiche dell’Auerbach e anche la sua convinzione che, nella Divina Commedia, il contesto religioso e morale sia "cornice" e che la realizzazione artistica dei personaggi e delle situazioni oltrepassi di molto tale cornice; cioè, in definitiva, che Dante apra la strada, forse inconsapevolmente, all’autonomia dell’essenza terrena nella cultura occidentale. Sono le opinioni di un dotto e geniale filologo, ma sono pur sempre opinioni; e, ai nostri occhi, hanno il torto di rammentare troppo da vicino la netta distinzione fra "poesia" e "non poesia" di crociana memoria, distinzione che non ci trova assolutamente d’accordo. A parte questo, dicevamo, ci preme qui evidenziare un fatto: che Dante, proprio perché poeta cristiano, e poeta cristiano dalla punta dei piedi alla radice dei capelli, è anche il vero poeta dell’uomo e della sua più profonda umanità; e questo accade appunto perché la visione cristiana, e solo la visione cristiana, ha una concezione totale dell’uomo, ossia una concezione che non trascura nulla, non disprezza nulla, vede e considera tutto, ogni aspetto, ogni impulso e ogni moto dell’anima, dal più basso al più alto; e, nondimeno, non lascia agli impulsi e ai moti interiori la libertà di disgregarsi a loro piacimento, ma impone ad essi la signoria della ragione naturale, in primo luogo, e della coscienza cristiana, in secondo luogo. Si noti come Dante si commuove e addirittura sviene davanti al dramma umano di Paolo e Francesca; ma se tale è la sua reazione umana, nondimeno egli non esita un momento a ritenere, e giudicare, che il loro peccato sia meritevole dell’inferno. E questa non è sovrastruttura, non è cornice, non è il contrario della poesia, ossia dottrina, ma è tutt’uno con la sua umanità, e anche con la sua commozione e la sua tenerezza quando parla con l’anima di Francesca. Dante, cristiano intergale, ha dell’uomo una visione integrale, che tutto abbraccia e nulla esclude: in questo senso, e solo in questo senso, si può anche dire che egli apre la strada all’autonomia dell’essenza terrena. Ma l’essenza terrena, per lui, è inimmaginabile al di fuori della relazione con Dio; l’uomo, per lui, semplicemente non ha senso, anzi non è neppure pensabile, prescindendo dalla relazione d’amore con il suo Creatore. Non si faccia di Dante un umanista ante litteram; la questione, del resto, è già stata ampiamente dibattuta, specialmente a proposito del XXVI canto dell’Inferno, quello del folle volo di Ulisse e dei suoi compagni verso l’ignoto; Dante non è un precursore degli umanisti, ma è, al contrario, il massimo dei poeti medievali. Perché, se lo mettano bene in testa i critici progressisti e neopositivisti, il medioevo non è stato affatto una stagione culturale e spirituale di mortificazione dell’uomo, ma, al contrario, la sola età della storia nella quale l’uomo ha trovato la sua piena e gioiosa affermazione nella realtà del cosmo. Prima, con le religioni pagane, egli era soggetto al capriccio degli dèi: era come le foglie al vento, che cadono e non lasciano traccia di sé; poi, con la cosiddetta civiltà moderna, è diventato una scheggia impazzita, un essere disancorato dalle proprie radici e totalmente alienato, smarrito in un cosmo (ordine) divenuto caos, cioè disordine incomprensibile e non più ricomponibile.

Da quanti abbiano detto emerge che l’allontanamento dell’uomo occidentale dalla propria matrice cristiana ha coinciso con l’inizio della sua dissociazione, particolarmente dell’anima dal corpo, e quindi della sua crescente e irrimediabile infelicità. Lungi dall’aver mortificato il corpo, il cristianesimo lo ha nobilitato e santificato. Come dice san Paolo (1 Corinzi, 6, 9-19):

Non illudetevi: né immorali, né idolàtri, né adùlteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il regno di Dio.

E tali eravate alcuni di voi; ma siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio! «Tutto mi è lecito!». Ma non tutto giova. «Tutto mi è lecito!». Ma io non mi lascerò dominare da nulla.  «I cibi sono per il ventre e il ventre per i cibi!». Ma Dio distruggerà questo e quelli; il corpo poi non è per l’impudicizia, ma per il Signore, e il Signore è per il corpo. Dio poi, che ha risuscitato il Signore, risusciterà anche noi con la sua potenza.

Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? Prenderò dunque le membra di Cristo e ne farò membra di una prostituta? Non sia mai! O non sapete voi che chi si unisce alla prostituta forma con essa un corpo solo? I due saranno, è detto, un corpo solo. Ma chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito. Fuggite la fornicazione! Qualsiasi peccato l’uomo commetta, è fuori del suo corpo; ma chi si dà alla fornicazione, pecca contro il proprio corpo. O non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartenete a voi stessi? Infatti siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo!

Per la mentalità moderna, rozzamente edonista e materialista, il corpo è fatto per il piacere, perché l’uomo è un animale puramente biologico, non è il figlio di Dio, fatto a immagine e somiglianza del suo Creatore; pertanto, il fatto che il cristianesimo predichi e insegni (o piuttosto bisognerebbe dire: predicava e insegnava?) la pudicizia e la castità, viene interpretato come una forma di disprezzo e di censura nei confronti del corpo. La verità è esattamente all’opposto: proprio perché il cristianesimo ha una concezione integrale dell’uomo, esso insegna che tutto, in lui, e dunque anche il corpo — lo stesso vale per l’intelligenza, per la volontà, per gli affetti merita il massimo rispetto e va trattato con cura e con temperanza. Come potrebbe disprezzare il corpo, se Gesù Cristo, il Figlio di Dio, ha preso un corpo umano ed è nato da una donna, vero Dio e vero uomo? Non uomo solo in apparenza, come Krishna, ad esempio, ma vero Dio e vero uomo; e come uomo ha sofferto, è morto sulla Croce ed è stato sepolto. Questo fatto è stato di enorme importanza per ogni aspetto della vita, a cominciare dall’arte. Solo l’arte europea ha glorificato il corpo, spiritualizzandolo e ingentilendo le sue funzioni, e ciò grazie al cristianesimo. Se Cristo non si fosse incarnato, non avremmo i capolavori dell’arte sacra, le Natività, le Madonne, le Crocifissioni; non avremmo i ritratti degli Apostoli, dei Santi, dei Martiri, delle Vergini e dei Beati: non avremmo nulla, come nulla dell’uomo vi è nell’arte islamica, perché, in quella cultura, rappresentare l’uomo, che è fatto a immagine di Dio, equivarrebbe a una mancanza di rispetto nei confronti del Creatore. E lo stesso discorso vale per gli artisti ebrei. Non fosse altro che per questo immenso rispetto di tutto ciò che è umano; per questa comprensione della bellezza esistente nell’uomo, corpo, anima e spirito, noi tutti dovremmo benedire e ringraziare il cristianesimo, checché ne dica lo stupido Bertrand Russell, e dirci cristiani: perché cristiana è la nostra visione del mondo e la nostra concezione dell’uomo, anche se abbiamo perso la fede e ci siamo allontanati da quel modello. Le nostre radici, tuttavia, sono lì e non altrove. Ecco perché la modernità è intrinsecamente malvagia: perché ci separa da Dio e perciò da noi stessi.

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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