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La medicina egizia e la magia

Non è semplice, per i moderni, capire la medicina egizia, perché essa era inseparabile dalle pratiche magiche e dalla religione. Come quella di altri popoli antichi e di numerosi popoli "primitivi", benché fosse assai più sviluppata sul piano tecnico, tanto che i medici egiziani erano ammirati e stimati dai greci fin dai tempi di Omero, la medicina egizia appartiene a un paradigma culturale che a noi risulta quasi incomprensibile, proprio per la commistione di elementi rigorosamente scientifici, secondo l’idea che noi abbiamo della scienza (si eseguivano perfino trapanazioni del cranio), sia di elementi magico-religiosi: per il morso dei serpenti velenosi, ad esempio, non esisteva altro rimedio che affidarsi alle preghiere alle divinità, specialmente a Iside. Oltre a ciò, tutte le azioni di carattere medico dovevano essere accompagnate da formule apotropaiche, il che ci dà un’idea di come la medicina, per gli antichi egiziani, non era semplicemente una tecnica, o un insieme di tecniche, supportate da un sapere rigoroso, tramandato di generazione in generazione, ma era il riflesso di una relazione fra l’uomo e gli dèi, fra il visibile e l’invisibile, fra il naturale e il soprannaturale. Per noi moderni, gesti e formule apotropaici sono "stregonerie", o, comunque, il segno di una concezione magica del reale; e, un effetti, per gli antichi egiziani la medicina era proprio questo, dal momento che essi partivano da una concezione magica della malattia.

Sappiamo, da papiro Ebers, che esistevano tre categorie di medici: i sacerdoti, i medici civili e gli aiutanti. Tralasciando questi ultimi, i sacerdoti curavano le malattie con l’assistenza delle divinità, mentre i medici civili si servivano ampiamente della magia. Ciò significa che, nella cultura egizia, non esisteva il concetto di malattia sul piano della realtà puramente fisiologica e materiale: le cause delle malattie sono, sì, individuabili sul piano materiale, e quindi in modo "scientifico", però le cause prime hanno a che fare con le forze soprannaturali, con il mondo degli sopirti. D’altra parte, la religione egizia, a quel che ci è dato sapere e comprende, era piuttosto aliena dal misticismo, e quindi era l’altra faccia di una stesa medaglia con ciò che, per noi, è oggi la "scienza". Pertanto è logico che i sacerdoti fossero medici, e i medici fossero, spesso, sacerdoti, e che essi operassero nei templi: i due aspetti, religioso e razionale, non solo erano interdipendenti, ma si compenetravano perfettamente: l’azione fisiologica del medico si accompagnava alle preghiere agli scongiuri in un tutto unico. Ciò era anche il riflesso della concezione complessiva che la cultura egizia aveva della realtà, e particolarmente dell’uomo, con la sua tripartizione fra il piano fisico, quello animico e quello spirituale. La cosa risulta oggi difficilmente comprensibile, perché la medicina si è andata definendo, in Occidente, sempre più come una pratica puramente scientifica; mentre la religione, accanto ad essa, ma al di fuori di essa, è andata sempre più perdendo terreno, sia in generale, sia per quanto riguarda l’atteggiamento degli uomini di fronte alla malattia. L’uomo moderno si attende la guarigione dalla scienza medica e pensa che la cura delle malattie sia una questione meramente razionale, basata sulla logica e sull’esperimento; mentre l’uomo egiziano aveva fiducia nel sacerdote-medico e rivolgeva le sue preghiere agli dèi, non vedendo, in ciò, qualcosa di diverso, e meno ancora d’incompatibile, con la fiducia nella competenza di colui al quale materialmente si affidava. Come non c’era distinzione, né opposizione, fra scienza e magia, così non c’era distinzione, né opposizione, fra religione e scienza. La magia era sia parte della pratica medica, sia parte della religione: si chiedeva l’aiuto degli dèi e l’assistenza degli spiriti, ma senza trascurare affatto, anzi, coltivando al massimo la ricerca sul piano anatomico e fisiologico, quello che noi oggi consideriamo di pertinenza esclusiva della scienza.

Oggi, un medico che unisse le sue terapie nei confronti del paziente, alla preghiera o agli scongiuri, parrebbe qualcosa di assurdo, di totalmente irrazionale, mentre per l’uomo egiziano era la cosa più logica e naturale. Diversa era l’idea dell’uomo, diversa l’idea della malattia, diversa l’idea del mondo soprannaturale. La visione egizia della salute e della malattia era olistica, non ammetteva rigide distinzioni fra ciò che è puramente materiale e ciò che è immateriale; la malattia, pertanto, era opera di agenti fisici, materiali, ma anche di forze immateriali, spirituali. Va inoltre notato che gli egiziani praticavano moderatamente la chirurgia, pur essendo dei maestri in tale campo; di norma, preferivano curare le malattie, fin dove possibile, con l’uso di sostanze di origine animale, vegetale e minerale, ciò che indica una concezione non invasiva della medicina e una fiducia nelle capacità di auto-guarigione dell’organismo. Al confronto, la frequenza del ricorso alle terapie invasive, come la chemioterapia o la chirurgia, propria della medicina moderna, indica un approccio completamente diverso ai problemi medici. Per la cultura moderna, la malattia è un nemico da aggredire e da debellare in una specie di lotta all’ultimo sangue fra il medico e la malattia, anche trascurando il fatto che la malattia non è un corpo estraneo caduto dal cielo, ma un processo che si è verificato all’interno dell’organismo, per cui non è separabile dall’organismo stesso, e soprattutto non è separabile dagli stili di vita che hanno reso possibile l’insorgere della malattia, e proprio quella certa malattia, in quell’organismo, e proprio in quello, in quel determinato momento e non in un altro.

In conclusione, non è escluso che una più approfondita conoscenza e una più attenta riflessione sulla medicina egizia abbiano alcune cose da insegnare, o da suggerire, alla cultura moderna, non tanto sul piano della pratica medica in senso specifico, bensì nella filosofia complessiva da cui guardare al rapporto fra salute e malattia, e quindi anche alla medicina in quanto tale. Che cosa è la salute, che cosa è la medicina? Per rispondere a queste domande, e quindi per perfezionare le cure mediche, potrebbe essere utile studiare con mente aperta, per quanto possibile, una medicina che si è sviluppata nell’arco di tre millenni e che ha fatto dell’Egitto, secondo le parole dell’Odissea, un Paese dove ogni persona era anche un medico.

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Jorgen Hendriksen su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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