
Dobbiamo ripartire da zero: prima di tutto, i preti
31 Dicembre 2018
Alla modernità resta solo la commedia dell’apocalisse
1 Gennaio 2019Ci hanno derubati di tutto: della patria, dell’identità, dei confini, dei valori, dell’educazione, del matrimonio, della famiglia, della scuola, dell’informazione, della cultura, dei risparmi, del lavoro, del futuro, della speranza e, da ultimo, anche della chiesa e della fede in Dio. Tutte queste cose non le abbiamo smarrite: ci sono state rubate. Se uno paga una merce e posa il portafogli sul bancone, in un negozio molto affollato; poi, nelle fretta, esce con l’acquisto ma dimentica di riprendersi il portafogli, si può dire che l’ha smarrito, a causa della distrazione della stanchezza, eccetera. Ma se uno viaggia sulla metropolitana e un borseggiatore gli sfila abilmente il portafogli dalla tasca del cappotto, senza che costui se ne accorga, quello è un furto. Tale è la nostra situazione attuale: tutto ci è stato rubato; tutto ci è stato sottratto silenziosamente, da abili borseggiatori: ce l’hanno fatta sotto il naso, e quando ci siamo accorti del furto, era ormai troppo tardi. Diremo di più: molti non se ne sono accorti neanche in seguito; molti sono convinti che le cose siano ancora là dov’erano prima; molti non credono a chi denuncia il furto, ma se la prendono con lui, lo accusano di mentire, di seminare il panico, di non capire i tempi nuovi, e lo accusano di essere un cattivo cittadino e un pessimo cristiano.
I risparmi, per esempio: si vede che queste persone s’immaginano di averli ancora, dopo averli affidati alla banca per l’acquisto di vari prodotti finanziari. Non si sono ancora rese conto che, da quel momento, il loro denaro non è più "loro": è entrato in un ciclo che non ha più nulla a che fare con le regole classiche del deposito bancario; è stato affidato non si sa bene a chi, per fare non si sa affatto cosa, e con esiti che non sono per niente garantiti. Il fatto è che molti di noi ragionano e vedono il mondo pensando che sia ancora, sostanzialmente, quel di una, o perfino due generazioni fa: invece, anche nei casi in cui la superficie è rimasta la stessa, o molto simile, la sostanza è totalmente cambiata. E così la patria, che è sparita, anzi, se intesa nel senso classico, è diventata improvvisamente un disvalore: un concentrato di chiusura, di egoismo, di nazionalismo e di populismo, e magari qualcosa di ancor più brutto, il sovranismo, ovviamente venato di razzismo. Il tutto per fare spazio ai nuovi arrivati: i migranti, i nuovi Gesù Bambini, le nuove Sacre Famiglie che chiedono, che esigono, accoglienza, solidarietà, integrazione: la religione dei migranti ha preso il posto della religione della patria; e, come sempre avviene quando si afferma una nuova religione, la vecchia diventa qualcosa di orribile, di indecente, che deve essere demonizzata e ripudiata. La famiglia? Ora ci sono il genitore uno e il genitore due, ora ci sono la fecondazione eterologa e l’utero in affitto: pareva, almeno all’inizio, una battaglia per dare dignità ai "diversi", troppo a lungo e ingiustamente discriminati, e invece era una battaglia avente lo scopo di distruggere la famiglia, quale l’abbiamo sempre conosciuta e quale è sempre esistita, in tutte le civiltà e in ogni tempo: quella fondata sull’unione durevole di un uomo e di una donna, al fine della procreazione e dell’allevamento dei figli.
C’è stata una rivoluzione globale, e molti di noi non se ne sono accorti: e dire rivoluzione globale significa che perfino le nostre categorie di pensiero dovrebbero essere riviste e aggiornate, altrimenti non avremo gli strumenti logici e concettuali, per non parlare di quelli meramente linguistici e descrittivi, per capire quel che sta succedendo intorno a noi. Questa riflessione non vuol essere un piagnisteo vittimistico, ma un grido di battaglia. Dobbiamo imparare a ragionare con chiarezza e a reagire nella maniera appropriata; dobbiamo incominciare a gridare: Al ladro! C’è un disegno, c’è una regia, per toglierci tutte le cose più importanti, tutti i punti di riferimento e persino gli strumenti necessari alla nostra vita: ebbene, dobbiamo reagire, dobbiamo insorgere, dobbiamo ribellarci. E, per prima cosa, dobbiamo denunciare apertamente i ladri, i truffatori e i rapinatori, che ci stanno derubando nella maniera più sfacciata e metodica, ridendo di noi, beffandoci per la nostra stupidità. Al politico che ci dice che l’Italia non è la nostra patria, ma la patria di qualunque africano o asiatico pretenda di entrarci, non si sa perché, sovente per delinquere, dobbiamo gridare in faccia: Ladro, taci! Non sei degno di parlare! Al legislatore che ci dice che dove c’è l’amore, c’è la famiglia, e che autorizza ogni sorta di procedure, mediche e legali, per assicurare la prole alle coppie d’invertiti, dobbiamo buttare in faccia: Ladro, taci! Non sei degno di parlare! E se un giornalista ci viene a dire che ha ragione l’Europa, che ce lo chiede l’Europa, che dobbiamo rispettare gli impegni con l’Europa, magari lo stesso che, poi, rinfaccia al governo attuale d’essersi fatto dettare la manovra economica dai signori di Bruxelles, a costui dobbiamo gridare: Ladro, taci! Non sei degno di parlare! Non se ne può più di questi mentitori spudorati, di questi bugiardi incalliti, di questi ladri, di questi traditori prezzolati; non son degni neppure di farsi vedere in giro; dovrebbero tornare nelle fogne, o essere processati per alto tradimento, e subire la sorte dei traditori in tempo di guerra.
Perché noi siamo in guerra, se per caso qualcuno non l’avesse ancora capito; noi italiani, noi popolo: e non siano stati certo noi a dichiararla, ma ce l’hanno dichiarata, come del resto a tutti gli altri popoli, i signori della grande finanza mondiale. Noi siamo nel mirino più di altri perché, per la prima volta, abbiamo osato alzare la testa; perché abbiamo fatto il gesto, molto blando, in verità, di volerci riprendere quel che è nostro, quel che ci appartiene: un poco di dignità, un poco di sovranità, un poco dei nostri sudati risparmi; e subito i signori dell’usura mondiale ci hanno dichiarato guerra. E ce la faranno sino alla morte, a colpi di spread, e, se non basterà lo spread, con qualcosa di peggio: non possono accettare un compromesso, devono vederci a terra, devono assolutamente infiggerci una lezione che valga per tutti gli altri popoli. E, se qualcuno non l’avesse ancora capito, il Pd e le sinistre — ma anche, per ragioni contorte e meschine che lui solo conosce, il solito Berlusconi — sono tutti al servizio di quei signori. Per questo vanno tanto d’accordo con George Soros, lo ricevono come un capo di Stato (come fece il bravo Gentiloni), e per questo sono un culo e una braga col signore argentino che indegnamente usurpa e deturpa il seggio di san Pietro. Ecco cosa significano il ditino puntato di Delrio, i sermoni di Fiano e i lazzi scomposti di quel Renzi che molto tempo fa aveva detto che si sarebbe ritirato a vita privata, se gli italiani non l’avessero più voluto: sono gli ascari del potere finanziario, i caporali di un potere esterno che vuol mettere, o rimettere, la cavezza a questa recalcitrante Italia, la quale, nei loro pianicriminali, deve essere deindustrializzata e ridotta al ruolo di campo profughi permanente, altro che quarta potenza economica mondiale, com’era sino a vent’anni fa. Perciò, a chi ci fa la guerra, dobbiamo rispondere con la guerra: a muso duro, senza paura. Cominciando col fare piazza pulita dei traditori di casa nostra, che sono la quinta colonna del nemico. La stampa, per esempio, e le televisioni, sono tutte, o quasi tutte, quinte colonne del nemico. Nel senso letterale del termine: sono pagate da lui, al preciso scopo di confonderci le idee, disinformarci sistematicamente, portarci allo scoraggiamento e alla resa. È questa la loro funzione, e non altra: preparare la nostra disfatta, la nostra resa. Ci sono bene allenati, del resto; è un gioco che hanno già fatto nel 1940-43. E sono stati ampiamente remunerati, per averlo fatto. Altrettanta gratitudine dai poteri forti si aspettano ora, se effettivamente l’Italia capitolerà. Non sono solamente sciacalli, sono anche parricidi: è la patria, la nostra madre comune, che essi vogliono vedere a terra. Del resto, se affrontati con decisione, balbettano, non sanno che dire: li abbiamo visti, i Monti, i Cacciari, per esempio nella trasmissione Di martedì, davanti a Francesca di Donato: balbettavano, farfugliavano, cercavano di rifugiarsi nell’ironia, menavano il can per l’aia, ma non sapevano che dire. Che cosa c’è da dire, infatti? È tutto talmente chiaro, se si è disposti a guardare anche ciò che è sgradevole: l’Italia è in venduta, e in essa c’è chi fa il tifo per il migliore offerente.
Non è una novità, è sempre stato così: fin dal 1492, quando Ludovico il Moro chiamò nella Penisola un re straniero per risolvere una questione italiana, come ha ricordato Alberto Bagnai in parlamento, rivolgendosi ai signori del Pd, quelli che un tempo erano devotissimi all’Unione Sovietica e oggi sono altrettanto devoti all’Unione Europea, ma sempre con la stessa forma mentis: quella dei servi inveterati di un potere straniero, in nome e per conto del quale esercitare un sotto-potere coloniale nel proprio Paese. C’è un solo vocabolo adatto per definire quei signori: miserabili. E ancor più miserabili gli ultimi, patetici generali dell’esercito sempre più evanescente di Forza Italia, ridotti a recitare lo stesso ruolo, ma con due elementi d’infamia aggiuntivi: primo, trovarsi ora spalla a spalla con i loro nemici di sempre, quelli che hanno denunciato instancabilmente come la causa e l’origine di tutti i mali del nostro Paese, e di unirsi a loro nel ripetere che bisogna rispettare quanto ci chiede l’Europa, quella stessa Europa che li ha fatti fuori nel 2011, in maniera sporchissima, mediante un colpo di stato finanziario internazionale; secondo, ma assai più grave, militare non al servizio di un’idea, ma di un uomo, il quale ha mostrato ad abundantiam di che pasta è fatto, quali sono le cose in cui crede, quali sono i fini che persegue. Un uomo animato da una qualche idealità, al suo posto, già da tempo avrebbe allevato un gruppo di successori in grado di proseguire la propria opera: invece, a ottant’anni passati, costui continua a pensare unicamente a se stesso, non cede un millimetro di potere, crede forse di essere immortale, oppure desidera che ogni cosa rovini dopo di lui: appartiene alla trista genia degli avvelenatori dei pozzi. Loro non ci saranno più, ma le nuove generazioni non troveranno da bene. Moriranno di sete nel deserto, e questa sarà la loro miserrima, infernale vendetta postuma.
Ma il tradimento più odioso, il più imperdonabile, quello che suscita la maggiore indignazione, è il tradimento del clero. Al signore argentino che ogni giorno, e perfino nel santo Natale, seguita a parlarci dei migranti, del loro diritto di venire in Italia e del dovere degli italiani di accoglierli, e che, falsificando i Vangeli, presenta Gesù, Maria e Giuseppe come dei migranti, bisogna rispondere: Ladro, taci! Non sei degno di parlare! E al falso prete e falso teologo Enzo Bianchi, che spiega ai bambini cattolici che Gesù era un profeta che narrava Dio agli uomini, bisogna gridare: Ladro, taci! Non sei degno di parlare! E a monsignor Paglia, che glorifica Pannella e fa affrescare una chiesa, profanandola, con orribili dipinti che esaltano il peccato contro natura, bisogna gridare: Ladro, taci! Non sei degno di parlare! E a quel prete di Torino che non fa recitare il Credo ai fedeli, durante la Messa, dicendo che lui non ci crede, e lo sostituisce con la melensa canzoncina Dolce sentire, bisogna gridare: Ladro, taci! Non sei degno di parlare! E a quei teologi e quei vescovi che invece di parlare di Dio e dell’anima, della grazia e del peccato, ci parlano del clima, dell’ambiente, della natura da rispettare e della benzina verde, dobbiamo buttare in faccia: Ladri, tacete! Non siete degni di parlare! Si può forse discutere con i traditori? Si può trovare un punto d’incontro con quanti ci vogliono morti, distrutti, umiliati, sottomessi? Ci si può sedere a un tavolo e impegnarsi in una disputa con quelli che odiano l’Italia, con quelli che odiano il Vangelo — quello vero, quello di Gesù Cristo, non quello taroccato dell’ateo signore argentino, un "vangelo" che tanto piace a personaggi come Eugenio Scalfari ed Emma Bonino?
E qui si vede e si comprende quale fu l’errore fondamentale del Concilio Vaticano II; ammesso che sia stato un errore e non piuttosto, come noi fermamente crediamo, una manovra scientemente e lungamente preparata: dichiarare abolito per decreto il nemico. Di colpo, la Chiesa non aveva più nemici; il Vangelo non aveva più nemici: erano diventati tutti amici, o potenziali amici o comunque ottimi compagni di strada, sulla base di una generica buona volontà che trovava il suo fondamento non nella verità oggettiva, ma nel concetto, massonico e illuminista, della "dignità umana". Eppure, proprio negli anni del Concilio, la persecuzione anticristiana incrudeliva più che mai, in particolare negli Stato comunisti; ma si preferì mettere il silenziatore alle vicende di Stepinac e Mindszenty, si preferì fare finta di nulla, in nome della Realpolitik: perché il comunismo, allora, come ideologia, andava fortissimo in Occidente, e parve ai gesuiti, i veri registi di tutta l’operazione, che non ci fosse altro fa fare che cercare una convergenza, un punto d’incontro con esso. Ma, come è stato detto, se la Chiesa rinuncia a convertire il mondo, sarà il mondo a convertire la Chiesa. E così è stato. Il comunismo è crollato ingloriosamente, ma i gesuiti, invece di meditare sul loro gigantesco errore, hanno proseguito per la medesima strada: si sono inventati una "chiesa dei poveri" che è un controsenso teologico e pastorale, e, ostentando di essere loro i "veri" cristiani, stanno proseguendo nella loro opera sistematica di auto-distruzione della Chiesa. Attaccano la spiritualità e la sacralità per demolire il sentimento religioso e sostituirlo con il culto dei "poveri", inteso in senso meramente economico e sociologico. A ciò servono le basiliche trasformate da luoghi di preghiera in sale da pranzo. A tutti costoro bisogna gridare in faccia: Tacete, ladri! Non siete degni di parlare! Non sapete che esiste una povertà dell’anima, che nessun cibo materiale potrà mai saziare?
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