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Tutta la vita non è che l’atto del Sacrificio di Cristo

La vita è qualcosa di meraviglioso e anche di drammatico; il mondo è qualcosa di meraviglioso e di drammatico; il fatto che esista qualcosa, che esistano le cose, che esista l’universo, invece del nulla, è meraviglioso e drammatico. Meraviglioso, perché carico di potenzialità immense, entusiasmanti, affascinanti; drammatico, perché carico di responsabilità. La responsabilità esiste perché esiste la libertà di scelta: per quanto condizionata, per quanto non assoluta, tuttavia  esiste; e la libertà implica la possibilità del male; e il male rompe l’armonia delle cose. Chi fa il male non lo fa solo a se stesso e a pochi altri, lo fa all’universo; e così il bene. Bene e male si fronteggiano, sono al centro di un dramma cosmico: e questo fa della vita una cosa meravigliosa, ma anche terribilmente seria. Seria e misteriosa: perché vi è un mistero nel male, e vi è anche un mistero nel bene: non solo nel male e nel bene ordinari, ma nel male e nel bene che implicano una ulteriore dimensione del reale. Non tutto il bene viene dalla terra; ai livelli più alti, esso viene dal Cielo, nel senso che l’uomo, da solo, non ne sarebbe capace. A malapena si può trovare qualcuno che sia capace di sacrificarsi per amore delle persone care; ma amare tutti, di verro amore; amare anche i lontani, gli sconosciuti; amare perfino chi ci fa del male, perfino i nemici;  amare anche le generazioni future, amare anche la più piccola creatura vivente: per esser capaci di tanto, è necessaria l’opera della grazia, che è un dono soprannaturale. L’uomo non può darsela da solo: la riceve da Dio. Può chiederla, ma i tempi e i modi in cui Dio risponderà alla sua richiesta non sono quelli umani, ed è perfino possibile che gli uomini non si accorgano di aver ricevuto ciò di cui sono alla ricerca.  Ma la grazia opera già in loro, se sono nelle disposizioni giuste, e ne ha già fatto degli strumenti privilegiati dell’opera divina: perché la grazia è questo: la partecipazione alla vita stessa di Dio, e quindi l’irruzione di un fiume di luce là dove prima erano le tenebre. Le vie del Signore non sono le vie degli uomini: egli fa soffiare il suo Spirito dove vuole, quando vuole e come vuole;  e chi lo riceve non è più lo stesso di prima, subisce una radicale trasformazione: muore in lui l’uomo vecchio, l’uomo carnale, che sempre vuole, brama e teme qualcosa, e nasce l’uomo nuovo, l’uomo spirituale, che si rimette docilmente alla volontà divina. 

Se il mistero del bene è il mistero della grazia, perché il bene di cui l’uomo è capace per via esclusivamente naturale non è mai un bene perfetto, ha sempre in sé qualche scoria, qualche difetto, qualche limite, mentre il bene di cui l’uomo è capace sotto l’azione della grazia ha realmente qualcosa di sovrumano, di divino, altrettanto misterioso è il male, il mistero del peccato. In un certo senso, il peccato è in se stesso – qualunque peccato – un qualcosa che è contrario alla natura. Infatti è vero che i peccati vengono dagli istinti, e gli istinti sono naturali; ma la natura, in se stessa, benché ferita dalle conseguenze del Peccato originale, conserva ancora qualcosa dello splendore e dell’armonia originaria, e quindi tenderebbe al bene, a quel sommo bene che è Dio: perché tutto viene da Dio e tutto anela a ritornare a Dio. Dio è l’alfa e l’omega di ogni ente, delle cose visibili e delle cose invisibili, delle cose materiali e delle cose spirituali: come potrebbe qualcosa sottrarsi al suo potente richiamo, non sentire l’attrazione naturale verso il Creatore? Ogni cosa tende al suo fine, e il fine di tutte le cose è Dio, causa prima di esse: se qualcosa resiste, se qualcosa va nella direzione contraria, se qualcosa si allontana dal richiamo di Dio, ciò è innaturale, come lo sarebbe l’acqua di un fiume che risalisse dalla foce verso la sorgente. Ed è proprio così: il peccato, l’azione cattiva, costituisce una rottura dell’armonia universale: perché l’universo è stato creato buono da Dio: e Dio vide che ciò era buono, dice il libro della Genesi. Fare il male, quindi, introduce un elemento di disordine nell’ordine dell’universo; e l’ordine violato, compromesso, offuscato, esige una risposta di segno positivo. In altri termini, è necessaria una riparazione. Chi ha fatto il male dovrebbe pentirsi e dovrebbe desiderare l’espiazione; dovrebbe rimediare, nei limiti del possibile, al male che ha fatto; e dovrebbe sottoporsi a un percorso di espiazione e purificazione.

Sorge però, a questo punto, un duplice problema. Primo, molte persone non si pentono del male fatto, o non sono disposte a espiarlo, né desiderose di purificarsi; secondo, anche se un peccatore si pente e desidera riparare, non sempre il male compiuto può essere tolto, non sempre la ferita è medicabile. Un omicida non può riportare in vita colui che ha ucciso; e se la persona che egli ha fatto soffrire, impazzisce, o si vendica facendo del male a sua volta, o si toglie la vita, nessuno potrà far sì che questi effetti negativi non seguano il loro corso. Si tratta perciò di capire, in tali circostanze, chi possa perdonare, chi possa  espiare, chi possa offrire un sacrificio per ripristinare, almeno parzialmente, l’ordine violato e l’armonia incrinata. Certo, è possibile offrire penitenze, digiuni e preghiere di riparazione al posto di quelli che, dopo aver fatto il male, non si pentono. Ma chi potrà perdonare davvero? L’uomo non può perdonarsi da solo, specialmente se ha commesso dei peccato molto gravi. Caino non può perdonarsi da sé per aver ucciso suo fratello Abele. Inoltre, chi ristabilirà l’equilibrio violato, una volta che le conseguenze del male fatto siano irrimediabili? Uccidere un padre o una madre, ad esempio, significa far sì che dei bambini rimangano orfani: chi li ripagherà per il dolore di aver perso i genitori? Chi restituirà loro quel che hanno perduto? Chi potrà evitare che quel dolore, quella perdita precoce e irrimediabile, condizionino pesantemente tutta la loro vita, spegnendo in essa ogni gioia e offuscando ogni cosa bella? Se Dio non esiste, nessuno potrà redimere quel male, nessuno potrà perdonare quel peccatore: ed ecco perché la visione materialistica del mondo porta con sé una inestinguibile angoscia esistenziale. La civiltà moderna è fondata su una visione materialistica del mondo, quindi l’uomo moderno è dominato dall’angoscia, che lo logora e lo fa letteralmente impazzire. La pazzia dell’uomo moderno nasce dal corto circuito fra la consapevolezza del male e la convinzione che nulla e nessuno lo possano redimere, cioè prendere su di sé per trasformarlo in bene. Ma se Dio esiste, Lui e Lui solo può fare una cosa del genere: perdonare il peccato, redimere il peccatore. Beninteso, il peccatore che si pente: perché il peccatore impenitente è irredimibile. Ma Dio, nella sua amorevolezza, fa anche questo: pone nel cuore dell’uomo il desiderio del bene, e nell’anima del peccatore, il bisogno di espiazione e redenzione.

L’uomo, però, è libero: dunque può scegliere di non ascoltare quella voce interiore, di non accettare il perdono di Dio. Il Dio cristiano, poi, fa ancora di più: molto di più. Il Dio cristiano si fa uomo, assume la natura umana, nasce nella carne da una donna, vive fra gli uomini, soffre e muore come un uomo, offrendo la sua vita in riparazione dei loro peccati; indi risorge. Più oltre sarebbe impossibile andare: questo è l’amore più grande che sia concepibile. E siccome Dio si è fatto veramente uomo e siccome è veramente morto, prima di risorgere, Egli può veramente riscattare tutto il male commesso dagli uomini, tutti i loro peccati, e trasformarli in strumenti di salvezza per molti. Una sola cosa non può fare, perché non la vuole fare: costringere gli uomini a pentirsi, a desiderare l’espiazione e la redenzione. Non vuole redimere per forza chi non vuole essere redento. E questo mistero abissale, Dio che si fa carne e si offre in sacrificio per la salvezza degli uomini, Egli non l’ha compiuto una volta sola, quando si è Incarnato dal seno della Vergine Maria, ma continua a compierlo continuamente, ogni giorno, ogni ora, laddove un sacerdote celebra la santa Messa e leva al Padre, in offerta, il Corpo e il Sangue di Gesù, rinnovando il supremo sacrificio avvenuto sul Golgota, al tempo di Ponzio Pilato. Come ha osservato san Tommaso d’Aquino, il miracolo della santa Eucarestia è ancora più grande del miracolo della Passione, Morte e Resurrezione di Gesù Cristo: perché questo è avvenuto una sola volta, in un tempo determinato; quello si ripete incessantemente, con inesauribile e ineffabile generosità, ogni volta che il sacerdote spezza il Pane e benedice il Vino, e lo offerte in pasto ai fedeli. Come ha detto Gesù stesso ai suoi discepoli (Giovanni, 6, 51, 53-58):

Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». (….) In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno.

È quindi evidente che il sacrificio di Cristo è un atto che si rinnova incessantemente e che si manifesta nel mistero della Messa: e davanti a un mistero d’amore così grande, così abissale, non si può che farsi piccoli e mettersi in ginocchio ad adorare; altro che altare del popolo e scambio della stretta di mano, altro che omelie mondane e politicizzate: la Messa è il sacro rito in cui si rinnova il Sacrificio del Golgota, e chi non lo capisce, non ha capito che cos’è la Messa e non ha capito il vero significato del Sacrificio di Cristo.

Osservava don Divo Barsotti nel suo Battesimo di fuoco. Diario mistico, 1966-1968 (Milano, Rusconi, 1984, p. 134):

L’atto onde il Padre accoglie la Vittima immolata è l’atto stesso onde il Cristo si comunica al mondo. La comunione è parte essenziale del sacrificio eucaristico.

Veramente tutta la vita non è che l’atto del sacrificio del Cristo. La Messa, tutte le Messe non sono che un sacrificio col Sacrificio della Croce. Il Sacrificio della Croce è inseparabile dalla Messa come la Messa è inseparabile dal Sacrificio della Croce. Attraverso la Messa tutta la vita dell’universo non è più che un unico atto: il Verbo di Dio, il Figlio Unigenito si offre al padre nell’atto che si comunica al mondo. Inseparabile, anzi uno, è l’atto onde il Cristo si ordina al Padre e si fa nutrimento dell’uomo.

Il problema dell’uomo moderno, e anche dei cosiddetti cristiani moderni, è che non riescono più a pensare se non in termini di progresso o di stasi: sono convinti che l’uomo può imparare dall’esperienza delle generazioni precedenti quanto basta per evitare i loro errori e per conquistarsi un futuro di benessere e felicità, con le loro sole forze. Poi, quando i fatti danno loro torto e mostrano, impietosamente, che nessuno, umanamente parlando, impara mai nulla, e che gli uomini rinnovano sempre, generazione dopo generazione, i peccati di Adamo, di Caino, dei costruttori della torre di Babele e degli abitanti di Sodoma e Gomorra; che gli uomini sono sempre gli stessi, simili ai vignaioli omicidi della parabola, assassini dei profeti e persino del Figlio di Dio, tale è la loro avidità di impossessarsi della vigna e tale la loro invidia maligna nei confronti del Signore, allora cadono nella depressione, nello sconforto, nel disprezzo di sé. Infatti: se le loro colpe sono terribili e se nessuno li può perdonare, che altro fare se non quello che fece Giuda dopo aver tradito Cristo, correre ad impiccarsi? E così l’uomo moderno oscilla incessantemente, come un pendolo, fra i due estremi dell’arroganza, della hybris, della dismisura, perché non accetta il proprio statuto ontologico di creatura, e dell’angoscia ed ella disperazione, che culminano nell’odio di sé, perché non sopporta le proprie colpe e non sopporta più se stesso. In definitiva, è sempre un problema di ego ipertrofico, di orgoglio e d’invidia: l’ideologia del progresso è costruita a misura dell’orgoglio umano, si rifiuta di vedere l’uomo quale realmente è, e pretende di costruire un non si sa quale uomo nuovo, redento dalla sua stessa intelligenza, dalla sua scienza, dalle sue macchine. Ma non saranno certo le macchine a redimere l’umanità attanagliata dall’angoscia: non è una questione di tecnica, ma di speranza. Il progresso materiale non conosce la speranza, ma solo la crescita; e si può benissimo realizzare la crescita, ma rimanere soli e disperati. Di crescita si può morire, perché la crescita non ha niente a che fare con la redenzione dal male, e non offre alcuna risposta alle assillanti, eterne domande dell’uomo: chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo? Non saranno le macchine a darci le risposte: solo l’amore può darcele, perché solo l’amore conosce veramente il mistero dell’essere, mentre la scienza ne sa appena descrivere, e in piccola parte, la superficie. Se vogliamo scendere in profondità, dobbiamo imparare ad amare: ad amare disinteressatamente, come ci ha amati Colui che ha voluto dare la sua vita per noi, Lui che era perfettamente innocente. Ricordiamo quel che disse Gesù a proposito della prostituta venuta a piangere ai suoi piedi (Luca 7, 47): le sono perdonati i suoi molti peccati, poiché ha molto amato. Invece quello a cui si perdona poco, ama poco…

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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