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Eppure chi vuol sopravvivere deve sapersi difendere

Le civiltà più stabili e durature sono state quelle che hanno avuto una forte coscienza di sé, una fierezza intrinseca, unita ad un’acuta percezione dei pericoli che le minacciavano o che le potevano minacciare. Non sono state delle civiltà buoniste; e i nemmeno la civiltà cristiana del medioevo lo è stata, checché ne abbiano poi detto i suoi denigratori, accusandola di aver rammollito e reso passivi gli uomini con l’ideale cristiano della rassegnazione. Al contrario: l’uomo del medioevo si sentiva un miles christianus, come e più dell’uomo greco che era pronto a dare la vita alle Termopili per la salvezza della patria. L’uomo medievale, che poi è l’uomo cristiano autentico (i cristiani moderni sono, almeno al novanta per cento, dei cristiani per modo di dire; ovvero, come diceva, con felice espressione, Sören Kierkegaard, dei cristiani "fino a un cero punto") sapeva chi era, sapeva da dove veniva e sapeva dove andava: sapeva rispondere, cioè, alle tre domande fondamentali della vita; e lo sapeva istintivamente, con la fattualità della sua esistenza, lo imparava succhiando il latte materno: anche l’illetterato; anzi, l’illetterato forse persino più dell’uomo colto.

Ma poi è arrivata la modernità. La modernità ci ha portato, nell’arco di alcuni secoli, la tolleranza, il liberalismo, la democrazia, più due o tre ideologie abortite, come il fascismo e il comunismo; e poi l’internazionalismo, il filantropismo, l’umanesimo, l’ambientalismo, l’animalismo, l’ecumenismo, il dialogo "senza pregiudizi",  il pluralismo, il multiculturalismo, il buonismo, il vegetarianismo, il femminismo; e ancora: la pedagogia  del permissivismo, la tirannia del bambino, la dittatura delle minoranze, i diritti senza doveri, le aspettative senza sacrifici, le pretese senza responsabilità. Prendiamo il caso di un sedicente profugo: basta che il suo barcone si avvicini alle coste italiane, perché scatti la catena illimitata dei diritti: ha diritto di essere fatto sbarcare; ha diritto di essere sistemato in un centro di accoglienza; ha diritto ad essere mantenuto gratis, senza lavorare; ha diritto a un menu variato (altrimenti fa lo sciopero della fame o va a protestare dal questore); ha diritto di essere integrato (anche se non è detto che lo voglia), di trovare una sistemazione, di avere una casa; ha diritto alla cittadinanza, addirittura basta che nasca in Italia e ciò dovrebbe recargli automaticamente la cittadinanza, almeno secondo certuni; ha diritto di spostarsi dove vuole, per tutto il Paese e anche fuori. Ha anche il diritto di spacciare droga, mentre attende che la sua richiesta di accoglienza venga esaminata; se beccato, ha diritto di essere rimesso in libertà, perché ha diritto di essere trattato con ogni riguardo; ha diritto a scaricare sullo Stato italiano le spese legali per appurare la legittimità della sua richiesta; se ha già la residenza, ha diritto al trattamento agevolato per sé e per i suoi figli, ad esempio alla mensa scolastica, senza dover presentare la certificazione del suo reddito; ha diritto, anche se clandestino, di ricevere tutte le prestazioni mediche dovessero servirgli; ha diritto a non lavorare e non andare a scuola durante le sue festività religiose; ha diritto, se crede, di non pagare il biglietto sui mezzi pubblici, e anche di insultare o di picchiare il bigliettaio che glielo chiede, senza subire gravi conseguenze, o se minorenne, senza subire alcuna conseguenza pratica (casomai a essere condannato, per abuso d’ufficio, sarà il capotreno che lo ha fatto scendere: e anche questo è realmente accaduto). Ha anche diritto a occupare una casa, magari una casa abitata dal legittimo proprietario, e, se proprio costretto ad andarsene, ha diritto a pretendere che lo Stato italiano gliene trovi un’altra, gratis o quasi: non è mica un italiano, lui, che deve pagare l’affitto a prezzi di mercato, nonché le bollette dell’acqua, della lue, dei rifiuti; no: appartiene a una categoria protetta e blindata. I magistrati sono sempre dalla sua parte: daranno torto al proprietario italiano, colpevole di aver ben due case, per le quali paga tasse e bollette a beneficio dell’inquilino abusivo. Insomma, un trattamento di assoluto favore rispetto a qualsiasi cittadino italiano che lavora e che paga le tasse, e che paga la mensa scolastica dei figli sino all’ultimo centesimo, e acquista il biglietto ogni volta che sale sull’autobus o sul treno, altrimenti dovrà pagare una multa salatissima. 

Altre categorie protette, dopo gli stranieri, in diversa misura e per diverse ragioni, e con differenti modalità, sono le donne, i disabili, gli omosessuali e i transessuali. Se qualcuno si azzarda a fare un torto a un membro di queste categorie, dovrà vedersela con una giustizia particolarmente severa, perché al reato specifico – vero o presunto – si aggiungerà l’aggravante del maschilismo, o del disprezzo per l’handicap, o dell’omofobia. Una donna che divorzia da un uomo ha il 90% di probabilità di ottenere condizioni economiche di favore, solo perché donna, indipendentemente dalla sua capacità di lavorare e sopratutto indipendentemente dalle circostanze che hanno provocato il divorzio: in altre parole, una moglie può cornificare il marito, lasciarlo e poi farsi mantenere a vita da lui, grazie all’indulgenza della magistratura ideologizzata in senso femminista. E se sorge una contesa fra un handicappato o una persona variamente disturbata, e uno che non lo è, l’autorità, di ogni ordine e grado, tende  a schierarsi con il primo e contro il secondo, anche senza aver verificato quali siano effettivamente le ragioni e i torti. Nelle scuole, per esempio, a un bambino caratteriale è concesso praticamente tutto, anche di prendere a pugni i compagni, e a morsi le maestre, senza che sia lecito avanzare la minima riserva sulla bontà della "integrazione" che impone la sua presenza in classe; se qualcuno lo fa, viene immediatamente bollato come egoista, cinico e senza cuore. Le persone omosessuali o transessuali hanno egualmente partita vinta in qualsiasi contesa con le persone che non lo sono, perché, in nome della lotta alla discriminazione di genere, la cultura dominante, progressista e "inclusiva", esse hanno ragione per principio, e torto chi si trova a contendere con loro. Così, se un professore entra in classe vestito da donna con la minigonna e le calze a rete, tutte le autorità, a cominciare dal preside, sosterranno il suo diritto a esprimere la propria "diversità" e negheranno che sia stato recato il minimo danno educativo a quegli studenti (e parliamo di fatti realmente accaduti, non di esempi teorici), perché è giusto che i ragazzi si abituino ad accettare la libertà di essere come si vuole essere, beninteso in questo campo; ma se, per esempio, un professore si permette di esprimere delle riserve sulle adozioni di bambini da parte delle coppie gay, o sulla pratica della fecondazione eterologa o dell’utero in affitto, sempre a vantaggio di tali coppie, è molto probabile che parta un provvedimento disciplinare molto serio nei suoi confronti, che può arrivare fino alla sospensione o al licenziamento (un destino che, invece, ben difficilmente si verifica persino per un maestro che sia sorpreso a picchiare i bambini in classe). Un’altra categoria protetta, naturalmente, è quella formata dagli ebrei: in questo ambito, chiunque si trovi invischiato in una controversia rischia l’accusa di antisemitismo, che è forse la più pesante in assoluto, quella da cui non esiste alcuna possibilità di difesa, meno ancora di redenzione. Ad esempio, chi critica la politica dello Stato d’Israele rischia di essere bollato come antisemita: ed essere bollato come tale implica l’immediata, radicale e definitiva esclusione, nel caso dei giornalisti, degli scrittori, degli intellettuali in genere, da tutti i giornali, le radio, le televisioni, le case editrici, le scuole, le università e ogni altro luogo ove si fanno informazione o cultura. Protetti sono pure gli islamici in quanto tali, anche se non ai livelli degli ebrei. Se la madre di una studentessa islamica si reca dal preside di una scuola e accusa un certo professore di aver parlato male del Ramadan, o dell’Islam in generale (anche qui stiamo parlando di fatti recenti e realmente accaduti, non di ipotesi campate per aria), è molto probabile che quel preside faccia subito una nota di biasimo a quel professore, senza neanche prendersi il disturbo di convocarlo nel suo ufficio per ascoltare la sua versione dei fatti, che, magari, è completamente diversa. E sia ben chiaro che quello stesso preside si comporterebbe ben diversamente, se, per caso, gli giungesse una lagnanza analoga da parte di una mamma cattolica: in quel caso, è quasi certo che non farebbe un bel nulla, o che svolgerebbe una blanda inchiesta, dando per scontato che quella mamma deve certamente aver frainteso o deve aver esagerato, insomma che deve trattarsi di una bigotta e una fanatica, e che in realtà non è successo proprio nulla di grave. Similmente per una cosa ancor più elementare e ancor più evidente, come l’uso del burqa n luoghi pubblici: ci sono donne islamiche che non escono di casa se non con il burqua, tutti le vediamo, ma non vediamo mai le forze dell’ordine che la fermano per identificarle e che le notificano una denuncia per violazione delle leggi italiane. Però se un cittadino italiano se ne va per la strada con il volto mascherato, ad esempio indossando un caso da motociclista, può essere fermato, identificato e denunciato, e di fatto ciò accade: ma solo per lui. Oppure succede che una donna islamica, ricoverata in ospedale, impedisca l’accesso, in orario di vista, ai parenti maschi delle sue compagne di stanza italiane, perché nella legge e nella tradizione del suo Paese di provenienza, ciò è inammissibile. Ma non lo è in Italia, ossia nel paese dove ella vive, che l’ha accolta, lei e la sua famiglia, e che le dà modo di vivere e le offre le cure mediche pubbliche. Però, in casi come questo, sono sempre le autorità sanitarie che cedono e fanno spostare le donne italiane, lasciando campo libero e partita vinta a colei che ha mostrato di non rispettare le nostre leggi e consuetudini e di non aver la benché minima intenzione d’integrarsi — anche se integrazione è la parola magica che hanno sempre in bocca i nostri beneamati progressisti e migrazionisti, e in particolare il neoclero modernista e apostatico di stampo bergogliano.

Sarebbe ora di ammetterlo: concedendo solo diritti alle minoranze che dicono di essere state oppresse, e caricando solo doveri sulle spalle dei cittadini che non hanno scelto di fare le vittime di professione (comprese moltissime donne che non si riconoscono affatto nel femminismo militante), la nostra società sta minando alla base la propria stabilità e la propria sopravvivenza. Non ha un gran futuro davanti a sé una società dove chi lavora, risparmia, produce, paga le tasse e rispetta le leggi, viene costantemente oberato di doveri e responsabilità d’ogni tipo, sia materiale che morale; mentre chi si atteggia a vittima di chi ss quali ingiustizie e persecuzioni ha solo diritti e nessun obbligo da rispettare. C’è qualcosa che non va in una società dove un cittadino onesta che difende la sua vita e la sua proprietà, ferendo o uccidendo involontariamente un aggressore penetrato in casa sua, si vede costretto a risarcire la vittima, o i parenti della vittima, come se si fosse lui macchiato di un crimine, e non il delinquente che si accingeva a perpetrarlo. Non è sana una società in cui la vedova di un simile delinquente alza il dito accusatore e dichiara alla stampa, indignata e furente, che bisogna fare giustizia: vale a dire che bisogna costringere colui che si è difeso dal suo defunto marito delinquente, a mantenere per tutta la vita lei e i suoi figli, così che possano seguitare a fare quel hanno sempre fatto: vivere senza lavorare, alle spalle del prossimo, come dei parassiti di professione. Ed è ancor più inquietante l’atteggiamento di una parte (una parte, grazie a Dio) dell’opinione pubblica, ma, purtroppo, di quasi tutte le autorità, civili e religiose, dalle più alte alle più basse, per non parlare dei mezzi d’informazione e dei cosiddetti intellettuali, i quali stanno sistematicamente dalla parte del più "debole". Forse questi signori non si sono accorti che il più debole, oggi, il più minacciato, il più vessato, il più precarizzato, il più sfruttato, il più insultato e denigrato, è il cittadino onesto che lavora, risparmia, paga le tasse e rispetta le leggi. È lui che andrebbe difeso, perché è lui la parte debole, quella che ha mezzo mondo contro.

Il fatto è che una società sana sa difendersi: sa accogliere chi merita di essere accolto, aiuta chi merita di essere aiutato; e conferisce anche alcune agevolazioni a chi si trova in stato di particolare necessità, senza sua colpa. Tuttavia una società sana, che abbia rispetto di se stessa e che abbia a cuore il futuro dei propri figli, sa anche respingere chi non ha il diritto di essere accolto, e in particolar echi si presenta mettendo sulla propria provenienza e sulla propria identità, o chi commette reati non appena accolto; non fornisce alcuna assistenza a chi non ne ha diritti, e in particolare a chi simula di essere indigente al solo scopo di ottenere dei vantaggi, per quanto piccoli: categoria assai varia di simulatori, che va da quegli stranieri che si dichiarano poveri, senza esserlo, per avere la tariffa agevolata alla mensa scolastica dei propri figli, agli zingari che chiedono l’elemosina fingendo menomazioni e deformità fisiche, tutti uniti dal comun denominatore di essere dei parasiti di professione che sfruttano il buon cuore altrui. Una società sana e conscia di sé, per rispetto di tutti i suoi membri e per un autentico principio di giustizia, rifiuta il buonismo all’ingrosso e impara a difendersi contro le forze che le corrodono, facendo leva sul ricatto dell’accoglienza, della misericordia, dell’inclusione e chi più ne ha, più ne metta. Tutte queste sono parole d’ordine coniate in perfetta mala fede da chi ha ben altro in mente, che la solidarietà e l’accoglienza. Il vero obiettivo di quei signori è sfruttare fino al limite estremo la nostra società, poi occuparla interamente. A quel punto non sarà rimasta molto da spremere: spariti o ridotti in miseria quelli che lavorano, risparmiano, producono e pagano le tasse, cosa resterà da saccheggiare? Ma non sarà un problema dei conquistatori essi non saprebbero comunque creare qualcosa: perché per creare ci vogliono il lavoro, la buona volontà e l’onestà: e sono appunto le cose che non possiedono.

Fonte dell'immagine in evidenza: Photo by Mike Chai from Pexels

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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