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La verità è condizione necessaria per tutto il resto

Preferirei uno spirito senza preghiera ad uno spirito che non abbia iniziato a camminare nella verità. Sono parole forti, non vero? Secondo voi, chi può avere espresso un concetto del genere? Forse un razionalista di ferro, uno che mette la ricerca del vero al disopra di tutto, e perfino della preghiera: se pure è un cattolico, sarà un teologo della vecchia scuola, un tomista, oppure un "tradizionalista" incallito: uno che non ha mai sentito parlare della misericordia nei termini in cui ne parla una certa chiesa dopo il Concilio Vaticano II. Ebbene, tenetevi forte: queste parole sono state scritte, nella sua autobiografia, da santa Teresa d’Avila, una delle più grandi mistiche di tutta la storia del cattolicesimo. Sissignori: per santa Teresa d’Avila, camminare nella verità è cosa più importante, e viene prima, del fatto stesso di pregare. Infatti: che cosa pregare, chi pregare, se la preghiera non è rivolta nella direzione giusta, se non ha per termine l’oggetto giusto? Anche la preghiera agli idoli, anche la preghiera al diavolo, nel caso dei satanisti, sarebbe un valore, se la preghiera venisse prima di tutto il resto e se venisse prima anche della verità. È un concetto terribilmente semplice; e, come tante cose semplici, è anche terribilmente indigesto. Indigesto, si capisce, per chi non è limpido; per chi ha qualche cosa da nascondere; per chi non ce la racconta giusta, ma persegue, nell’ombra, i suoi inconfessabili scopi, ben diversi da quelli che dichiara in pubblico.

Fateci caso: questo è lo stile di tutti quelli che dichiarano di voler costruire una chiesa nuova e migliore, di voler riformare la fede per renderla più accogliente, e, addirittura, più conforme al volere di Gesù Cristo; di tutti quelli che hanno sempre in bocca il Concilio Vaticano II e il suo tanto vago quanto mirabolante "spirito", mediante il quale si realizzerà un progresso gigantesco, quando verranno finalmente superate le resistenze degli ottusi e degli egoisti, dei cristiani "rigidi", delle "vecchie mummie", come amabilmente le chiama il signore argentino eletto al soglio di san Pietro, rimaste attaccate alla chiesa pre-conciliare (come se potessero esistere due chiese cattoliche, entrambe, più o meno legittime; e come se un solo concilio ecumenico facesse testo, guarda caso l’ultimo, quello fatto da "loro", sui ventuno che ci sono stati nell’arco di due millenni…). Eppure, dire che la verità viene prima di tutto è una cosa talmente chiara, vogliamo dire ovvia, che lo capirebbe anche un bambino. Di che cosa stiamo a parlare, infatti, se non abbiano la garanzia della verità? Proviamo a riflettere: di qualsiasi cosa si tratti, fosse pure la carità, senza la verità non varrebbe niente.

E infatti: avendo messo fra parentesi la questione della verità, la neochiesa si sta accingendo a liberalizzare le pratiche più immorali e anticristiane, dall’aborto all’eutanasia, dalla sodomia al divorzio: sempre in nome della carità, della misericordia e di quell’altra cosa che pare inventata apposta per confondere le idee e per oscurare anche la verità più lampante: il discernimento, una qualità in se se stessa apprezzabile, anzi importantissima, ma che qui viene adoperata per scardinare la vera dottrina e la vera morale e per introdurre l’eresia e l’apostasia nel recinto della Chiesa, là dove le pecorelle di Cristo dovrebbero essere, in teoria, protette contro l’errore e contro le insidie del diavolo. E invece sta accadendo tutto il contrario: perché è proprio dentro il recinto della Chiesa che si stanno verificando le cose più sconce, più intollerabili, più blasfeme: ad opera di un clero apostatico e scellerato, che si rotola nel vizio e nel peccato nella maniera più vergognosa, e che solo per giustificare se stesso e per togliersi di dosso, esteriormente, la propria infamia, ora predica la liberalizzazione del vizio e del peccato, dietro la maschera ingannevole della misericordia e del perdono. Ma di quale misericordia, di quale perdono stiamo parlando, se non c’è il pentimento, se non c’è l’espiazione e, soprattutto, se non c’è il fermo proponimento di non reiterare il peccato, ma di vivere la vita così come Dio vuole che sia vissuta? È un inganno, un atroce e diabolico inganno; diciamolo chiaro e forte: esiste un legame strettissimo, organico, fra l’immoralità di una parte del clero, specialmente dell’alto clero, e le continue deviazioni teologiche che, ad un ritmo sempre più accelerato, stanno trascinando tutto l’insieme della chiesa verso la voragine dell’apostasia. Le due cose marciano insieme, sono praticamente un tutt’uno: immoralità ed eresia. L’immoralità è la morale capovolta, la morale senza la verità; così come l’eresia è la dottrina capovolta, la dottrina senza la verità. Sono i due aspetti di una stessa aberrazione.

E allora, eccoci arrivati a una prima, importante conclusione: la verità è condizione necessaria, irrinunciabile, essenziale per tutto il resto: per tutto il conoscere e per tutto l’agire. Una ricerca del vero senza verità è votata al nulla, una vita pratica senza la verità è votata al male. Ma si dirà, il male è una categoria morale, mentre il vero è una categoria intellettuale: come avviene il passaggio dall’una all’altra? È molto semplice: il vero non è una categoria intellettuale; essa è la categoria gnoseologica per eccellenza, la sola realmente fondamentale, sulla quale ogni altro conoscere si regge. Il vero è la condizione perché si cerchi qualcosa, qualsiasi cosa; e quindi esso è anche un bene, è il bene essenziale, garanzia e presupposto di ogni altro bene. Quale bene sarà mai davvero tale, senza la verità? Per fare un esempio banale: è più importante possedere molto denaro, o possedere del denaro autentico? Se un miliardario dovesse scoprire, un giorno, che tutto il suo denaro è opera di un abile falsario, a che cosa gli servirebbe il fatti di averne tantissimo? Ora, avere del denaro falso è un male, non è certo un bene: ecco in che modo avviene il passaggio dalla categoria intellettuale a quella morale. Il vero è sempre un bene e il falso è sempre un male. Sempre: e se lo è nell’ambito delle cose materiali, a maggior ragione lo è in quello delle cose spirituali: perché è lo spirito che informa di sé la materia, non viceversa. E tutta la carità e la misericordia di cui si riempiono la bocca i neoteologi e i neopreti non servono a nulla, se non sono illuminate dalla verità: sono l’autostrada per l’inferno.

Eh, via!, dirà qualcuno: questo linguaggio è troppo duro. Così parlavano i profeti dell’Antico Testamento, o un san Giovani Battista, che viveva nel deserto, si vestiva di pelli e si cibava di locuste. Appunto: quel san Giovanni di cui Gesù Cristo disse: Fra i nati di donna non c’è nessuno più grande di lui. Oppure vogliamo paragonarlo a questi neopreti e neoteologi i quali, con parole melliflue e falsamente misericordiose, stanno trascinando la chiesa nella più perfida delle apostasie, quella totale, ma non dichiarata e anzi nascosta come tale, in modo da ingannare subdolamente il gregge dei fedeli? Vogliamo paragonare Enzo Bianchi ai profeti dell’Antico Testamento, o Vincenzo Paglia a Giovanni il Battista? La verità è scomoda, non lo sapevamo forse? Il diavolo ha escogitato mille insidie contro di essa: per screditarla, per farla deridere, per farla maledire dagli uomini. La modernità si è specializzata in questa diabolica arte: la mistificazione, l’irrisione e la volatilizzazione della verità. Un giorno ci siamo svegliati e abbiamo scoperto che la verità non c’è più. E chi ce l’ha rubata sotto il naso? Tutti i cattivi maestri della modernità: dapprima poco a poco, poi con ardire sempre maggiore e con ritmo sempre più rapido; infine, deposta ogni prudenza e ogni decenza, con brutale, perentoria arroganza, l’hanno dichiarata irraggiungibile o inesistente e bollato come pericolosi fomentatori di divisioni e contrapposizioni i suoi ultimi seguaci. E questo vale anche e soprattutto per la verità di cui il Vangelo è l’annuncio e di cui Gesù Cristo è il solo e indispensabile tramite. Forse che Gesù ha detto ai suoi: Sarete trattati con i guanti; sarete invitati a parlare e onorati dagli uomini; la folla vi batterà le mani quando passerete per la strada? Non ci sembra; ha detto esattamente il contrario. Ha annunciato incomprensioni, tribolazioni e persecuzioni contro i suoi seguaci. E ha anche spiegato io perché: perché Lui è la Verità, e chi lo accoglie, accoglie la verità; e chi lo annunzia, annunzia la verità; e chi si converte, si converte alla verità. Ma il mondo non vuole la verità; il mondo la odia. Tale è la caratteristica del mondo: odiare la verità, quindi odiare Gesù. Strano che il Concilio se ne sia scordato; stranissimo che Giovanni XXIII, fin dal suo discorso di apertura, non vi abbia fatto neanche il più piccolo cenno. Al contrario, ha detto che la chiesa deve andare incontro al mondo con fiducia, con gioia; e che in molte cose la chiesa può trovare un linguaggio comune col mondo, per il bene superiore di tutti. Anche senza la verità? Quale bene può mai esservi, senza la verità? Andiamo a rileggere le parole del nostro Signore (Gv, 18,37): Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce.

Ma, si dirà, il problema, per la chiesa, non è il Concilio, ma le esagerazioni e le forzature che sono state fatte rispetto ai suoi documenti e alle sue deliberazioni, con la scusa, appunto, di quel suo indeterminato "spirito" che doveva essere portato innanzi come una bandiera, e che è servito a coprire le degenerazioni, gli abusi e gli errori. E allora andiamo a prenderli in mano, quei documenti: e scopriremo che l’errore è presente anche in essi, non solo nelle successive forzature, non solo nello "spirito" surrettiziamente propagato negli anni successivi.

Prendiamo, ad esempio, la dichiarazione Dignitatis Humanae sulla libertà religiosa, del 7 dicembre 1965, che ne è il suggello finale, firmata da Paolo VI insieme a una quantità di arcivescovi, fra i quali Spellman, Câmara, Frings, Siri, Antoniutti, Wyszinski: sia progressisti che conservatori, come si vede. Ecco cosa dice, chiaro e tondo, fin dall’esordio: (1, 2): Questo Concilio Vaticano dichiara che la persona umana ha il diritto alla libertà religiosa. E ancora (2,9): Quanto questo Concilio Vaticano dichiara sul diritto degli esseri umani alla libertà religiosa ha il suo fondamento nella dignità della persona, le cui esigenze la ragione umana venne conoscendo sempre più chiaramente attraverso l’esperienza dei secoli. E ancora (2,12): La Chiesa pertanto, fedele alla verità evangelica, segue la via di Cristo e degli apostoli quando riconosce come rispondente alla dignità dell’uomo e alla rivelazione di Dio il principio della libertà religiosa e la favorisce. Poi, però, quasi a sorpresa, il documento se ne viene fiori cin la recisa affermazione (2,14): La Chiesa cattolica per obbedire al divino mandato: Istruite tutte le genti (Mt 28,19), è tenuta ad operare instancabilmente «affinché la parola di Dio corra e sia glorificata» (2 Ts 3,1). Per concludere con un peana ai Diritti dell’Uomo e del Cittadino (2,15): È manifesto che oggi gli esseri umani aspirano di poter professare liberamente la religione sia in forma privata che pubblica; anzi la libertà religiosa nella maggior parte delle costituzioni è già dichiarata diritto civile ed è solennemente proclamata in documenti internazionali. Diritto civile? Documenti internazionali? Ma il diritto civile, di lì a pochi anni, avrebbe riconosciuto e legalizzare l’aborto; e i documenti internazionali sono quelli che permettono alle organizzazioni LGBT di entrar negli asili e nelle scuole per insegnare ai bambini la bellezza di essere gay o di cambiare sesso a richiesta. E da quando in qua la Chiesa si fa paladina e si ritiene vincolata a quel che sta scritto nel diritto civile e nei documenti internazionali? Questa è già, programmaticamente e inequivocabilmente, una resa al mondo: al mondo moderno, che è la negazione del Vangelo. In ogni caso, l’affermazione che la persona umana ha il diritto alla libertà religiosa è intrinsecamente falsa: falsa dal punto di vista teologico e falsa in quanto contraddice frontalmente il magistero millenario. Non è vero affatto che il Vaticano II è stato un concilio puramente pastorale; nossignori: ha preteso di erodere le basi stesse della dottrina. Certo, le commissioni (manipolate) che hanno approvato documenti come questo, hanno agito con molta scaltrezza: nella Dignitatis Humanae, per esempio, pare che si difenda la libertà dei credenti, e invece, a ben leggere, ci si accorge che ad essere difesa è principalmente la libertà di coscienza degli uomini di fronte alla verità. Ma per la dottrina cattolica non c’è alcuna libertà di questo tipo, e il solo pensarlo è un’eresia. Gesù non ha mai insegnato in questi termini; non ha mai detto: Guardate un po’ voi se quel che vi dico vi sembra giusto e santo; e se sì, accoglietelo, e se no, amici come prima. Niente affatto: Gesù ha detto: Convertitevi e credete al Vangelo; e chi crederà e sarà battezzato, sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato. E questo perché la verità non è, né può essere, relativa, ma assoluta; non ci possono essere due verità. Gesù ha detto di se stesso: Io sono la via, la verità e la vita: non ha detto: Io sono una delle vie, una delle verità e una delle vite. È un concetto semplice, non è vero? Quindi il cristiano non è per la libertà religiosa: se lo fosse, sarebbe possibilista quanto alla scelta fra la verità e l’errore, e quindi anche fra il bene e il male; perché, come abbiamo visto, la verità è il bene, mentre l’errore è un male. Aver conosciuto Gesù e averlo rifiutato è il più grande dei mali. Il cristiano non considera questo rifiuto come una legittima scelta, ma come una scelta di morte: la morte alla verità, la morte dell’anima. Chi potrebbe desiderare una cosa simile per i propri cari, per i propri amici? S’intende che il cristiano non vuol convertire alcuno con la forza: se lo facesse, contravverrebbe all’insegnamento di Gesù. Però vi contravviene anche quando non annuncia il Vangelo, quando si auto-censura per un falso rispetto nei confronti dell’altro e si rifiuta perfino di benedire, come fa il signore argentino che tanto piace al mondo…

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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