
Il fraintendimento essenziale
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10 Dicembre 2018Nella notte fra il 7 e l’8 dicembre 2018 una discoteca di Corinaldo, in provincia di Ancona, è stata il teatro di una tragedia, che subito i giornali si sono affrettati a qualificare "strage", con poco senso del ridicolo e con poco rispetto per i morti, meno ancora per la verità. Ma tant’è, siamo abituati: sono anni ormai che la stampa e la televisione parlano di "stragi del mare", riferendosi ai naufragi dei barconi di migranti (altra parola che sarebbe tutta da verificare) i quali partono già sovraccarichi all’inverosimile dai porti della Libia; "stragi" nelle quali, secondo l’opinione di molti, in Italia e all’estero, saremmo responsabili proprio noi italiani, nonostante da anni gli uomini e le donne della nostra Marina e della nostra Guardia di Finanza siano impegnati, sino allo stremo delle forze, in faticosissime, diuturne operazioni di pattugliamento e salvataggio, non di rado rese anche pericolose dalle condizioni del mare e dall’atteggiamento degli stessi "naufraghi", per metà incosciente e per metà arrogante e aggressivo. Dunque, cominciamo col dire che a Corinaldo non c’è stata alcuna strage, ma uno di quei fenomeni di panico collettivo che trasformano una folla in un branco di animali impazziti, incuranti di qualsiasi sentimento di solidarietà e compassione, e preoccupati unicamente della propria vita, anche a costo di passare sui cadaveri dei propri amici. Ma, si obietterà, erano solo dei ragazzini giovanissimi, di quindici, quattordici, tredici anni, e anche meno; la donna di trentanove anni che ha perso la vita, insieme a cinque adolescenti, era una mamma che accompagnava la propria figlioletta di undici. Ecco, appunto: e qui arriviamo al cuore del problema; ma si direbbe che nessuno abbia voglia di considerare questa faccia della cosa, anche se è, a nostro parere, l’aspetto decisivo. La domanda che ci si dovrebbe fare, ma che nessuno, a quanto sembra, ha voglia di fare, senza dubbio per non incorrere nell’ira degli opinionisti politicamente corretti, è questa: che cosa ci facevano 1.400 adolescenti, tutti così giovani, in quel luogo, ad ascoltare quel concerto del rapper Sfera Ebbasta, pigiati in una discoteca che poteva contenerne non più di 450? Certo, se i numeri sono davvero quelli, i gestori dovranno rendere conto alla giustizia dei biglietti venduti in eccesso, dei ragazzi fatti entrare per pura avidità di guadagno, in spregio alle più elementari norme di sicurezza. Allo stesso modo, le autorità inquirenti fanno bene a individuare le responsabilità di quel ragazzino, o di quei ragazzini, che, pare per rubare una collanina, hanno spruzzato nel mucchio lo spray al peperoncino, innescando la folle reazione della massa, che si è precipitata verso l’uscita come se fosse in presenza di qualche pericolo incombente. Detto questo, però, domandiamoci francamente: davvero il problema di una tragedia come quella di Corinaldo, tragedia, non strage, è quello dei biglietti venduti in eccesso? Davvero è quello delle uscite di sicurezza? E davvero è quello di un piccolo idiota che ha spruzzato lo spray urticante senza valutare minimamente la sproporzione fra le sue finalità e le possibili conseguenze? Se c’è davvero qualcuno che la pensa a questo modo, faccia pure; a noi pare che sia come mettere la testa sotto la sabbia e non voler vedere il vero problema.
Il vero problema è il vuoto; il nulla. Il vuoto di valori, il nulla della nostra società, materialista e consumista, che non sa offrire ai suoi figli qualche cosa di meglio da fare, in una sera festiva (la sera dell’Immacolata Concezione di Maria Vergine, per i cattolici) che accalcarsi per assistere a un evento pseudo musicale, insensato, brutto, disordinato, dominato da una figura artisticamente nulla, che non ha nulla da dire, nessuna musica da offrire, nessun sentimento da accendere, nessuna idea su cui far riflettere: il nulla allo stato puro, come quasi tutti i rapper e pseudo cantanti, come tutti i pseudo artisti usciti dalla scuola del Grande Fratello e della tv di Maria De Filippi; adolescenti che in una società sana non troverebbero spazio, non sarebbero presi sul serio da nessuno, e dovrebbero cercarsi un lavoro, ma un lavoro per davvero, mentre da alcuni anni sono idolatrati come se fossero dei geni, sono messi sul piedistallo come dei miti, guadagnano un sacco di soldi e fanno parlare di sé come avessero qualcosa da dire, mentre non hanno uno straccio di idea, o di originalità, o di qualsiasi altra cosa che meriti attenzione. Al pari dei blogger che fanno tendenza, gli influencer, delle nullità che imperversano sulla rete con il loro narcisismo, e che sono pagati a peso d’oro perché dal fatto che indossino un certo maglione, che sponsorizzino una certa borsetta, che sfoggino sulle labbra una certa marca di rossetto, dipendono le scelte d’acquisto di milioni di giovani consumisti idioti, che hanno soldi da spendere (quelli di papà e mamma) in frivolezze assurde e banali, evidentemente perché non devono guadagnarsi la vita e quindi non hanno la minima idea di cosa voglia dire guadagnarsi lo stipendio col sudore della fronte.
Questa è la cosa su cui riflettere: perché tutti quei ragazzini erano lì, e non altrove? Perché non erano coi loro genitori, o con un buon libro in mano, o ad ascoltare musica (quella vera) in casa, o a mangiare una pizza con gli amici, o semplicemente a riposare, visto che sarebbe una buioba norma, a quell’età, andare a letto possibilmente prima delle ore piccole, e alzarsi di buon’ora, in modo da abituare l’organismo a dei ritmi naturali e sfruttare con profitto, non sono a scuola, ma in qualsiasi altra cosa, le ore migliori della giornata, le prime ore del mattino, quando il corpo è riposato, la mente è più fresca e l’entusiasmo è accresciuto dall’aspettativa di qualcosa di bello che potrà accadere? E se proprio non si può fare nulla per tenerli a casa, per convincerli che un adolescente non deve sentirsi uno "sfigato" se non tira tardi chissà dove, se trascorre semplicemente la serata facendo delle cose normalissime, o coltivando qualche hobby, o guardando qualche programma intelligente alla televisione (i pochi, i pochissimi che ancora per miracolo ci sono, perlopiù su qualche piccola emittente locale), possibile che non sappiamo indirizzarli verso luoghi e verso attività un po’ meno demenziali, un po’ meno farneticanti, un po’ meno distruttivi? Possibile che i genitori debbano dare ai propri figli dei soldi per impinguare le tasche di qualche rapper insulso, senza aver loro insegnato che i soldi non crescono sui rami degli alberi, e che loro, il papà e la mamma (sì, non è un errore di stampa: il papà e la mamma, non il genitore 1 e il genitore 2), hanno dovuto lavorare duramente per portarli a casa? Possibile che ai ragazzini di oggi siano concessi solo diritti, a cominciare dal diritto di avere soldi in tasca e libertà di fare tardissimo la sera, sola,ente per fare delle cose assolutamente stupide, dalle quali non impareranno nulla di nulla, né sul piano estetico, né su quello intellettuale, e neppure su quello affettivo, dato che in discoteca non si parla, non si socializza, non si fanno nuove amicizie, si fa solo branco come gli animali, e magari ci si impasticca o si sbevazza, sicuramente ci si incretinisce col volume micidiale della musica e con le luci psichedeliche che contribuiscono allo sballo), il tutto in un’atmosfera claustrofobica, da zombie, da film horror, dove non si sa se è estate o inverno se è presto o tardi, dove non filtra neanche un refolo di aria pura ma tutto è oscurità, chiasso, gazzarra, istinti primordiali che vengono sollecitati dal ritmo sincopato e dal rullo della batteria, insomma dove tutto concorre a destare, o ridestare, la bestia che dorme nel fondo dell’anima e a sfogare aggressività, spudoratezza, voglia di trasgressione e brama sessuale.
Questa è la vera domanda; e questa è la vera tristezza: che non abbiamo nulla da rispondere. Perché no, non siamo capaci di offrire ai nostri figli e nipoti niente di meglio, di meno stupido, di meno squallido, di meno diseducativo. Senza esagerare, siamo convinti che una serata in discoteca sia in grado di annullare l’effetto positivo di dieci serate intelligenti e sane, nelle quali al ragazzo si offrono occasioni di crescita e di maturazione, o anche semplicemente di onesta ricreazione. Una volta i genitori si portavano i figli al cinema, e ovviamente sceglievamo dei film che fossero adatto anche per loro; oppure, nei giorni di festa, li portavano a far visita ai nonni, che oggi sono messi da parte come vecchie scope, e lì ne avevano di cose da imparare, i nipotini; oppure, i più grandicelli, li accompagnavamo da qualche amico e poi tornavano a prenderli all’ora stabilita, cioè non troppo tardi. Adesso la famiglia si è sfarinata, ciascuno si arrangia per proprio conto: la sola condivisione è l’atto di chiedere soldi ai genitori, per il resto liberi tutti, e buonanotte. In pratica, i genitori o non sanno dove passano la serata i loro figli adolescenti, o non sanno affatto come la passano. Non sanno se fumano, tanto meno se fumano "erba"; non sanno se bevono alcolici, se provano le droghe, anche pesanti, né e hanno dei rapporto sessuali, né se li hanno in maniera protetta. In pratica, non sanno nemmeno come sono vestiti, o vestite: perché, una volta usciti di casa, o arrivati sulla porta della discoteca, chi lo sa se non vanno dritti al bagno, a cambiarsi e se ne escono in abitui succinti e provocanti, truccati in maniera pesantissima, che mamma e papà non s’immaginano minimamente? Ma, si dirà, sono solo ragazzini; sono solo bambine. Certo: ma bambine agghindate come ventenni e capaci di assumere pose da professioniste del marciapiede, con stivaloni col tacco e magliette microscopiche che perfino le prostitute nigeriane, quasi, quasi, esiterebbero a indossare. Come meravigliarsi se, prima o dopo, queste tredicenni e quattordicenni si mettono nei guai, ma guai talmente grossi da tentare anche il suicidio? Eppure, fino all’ultimo, papà e mamma non ne sanno e non ne sapranno nulla, assolutamente nulla.
C’è un discorso da fare, sul vuoto pauroso in cui si muovono gli adolescenti ai nostri giorni; un discorso che pochissimi hanno voglia di fare, per svariate ragioni, che vanno dalla pigrizia al conformismo del permissivismo progressista, figlio del sessantottesco proibito proibire. Di fatto, siamo in piena emergenza educativa: ai giovani non si offre più una vera educazione; e tutti, a cominciare dalla scuola, non sembrano accorgersene, anzi, non sembrano neppure consapevoli del problema. Alla radice di questa emergenza c’è un elemento che spicca su tutti gli altri: ai giovani nessuno insegna più a pensare con la propria testa; forse perché così pochi adulti ne sono ancora capaci. Tutti gli altri aspetti allarmanti, sgradevoli o pericolosi della condizione giovanile sono una conseguenza di questa deficienza fondamentale. Se un ragazzino non viene abituato a pensare da sé, non diverrà mai adulto: resterà sempre un eterno bamboccio, anche a quarant’anni suonati. A ciò si aggiunga l’effetto devastante, sulla sua intelligenza, sulla sua vivacità, sulla sua memoria, sulla sua attenzione, sulla sua fantasia, e anche sulla sua affettività, dell’abuso del telefonino cellulare. I ragazzi sono sempre lì a trafficare con il telefonino, di giorno e di notte, in casa e per la strada, a piedi e in bicicletta, in motorino e in automobile, in autobus o sul treno. Non prestano attenzione a quel che succede attorno a loro, accanto a loro, davanti a loro: è come se non lo vedessero e non lo udissero. Hanno staccato la spina. Hanno occhi e orecchi solo per il minuscolo schermo del loro cellulare. Già da bambini crescono così, quindi non c’è da stupirsene; e i loro genitori, sovente, non è che diano loro un esempio di segno poi tanto differente. Conclusione: si stanno incretinendo e stanno diventando tendenzialmente autistici. Per sapere che tempo c’è, non guardano fuori dalla finestra, guardano il meteo sul telefonino. Per parlare con l’amico seduto tre metri più in là in pizzeria, non alzano le chiappe per andargli vicino, ma lo chiamano al cellulare. Se devono lasciarsi con il moroso o la morosa, mandano un messaggino; se devono fare una dichiarazione d’amore, anche. E via di questo passo.
Tutto questo nasce dalla latitanza dei genitori, dalla insulsaggine della scuola, dalla dissoluzione della chiesa, dallo strapotere dei media e dall’epidemia dei social. Eppure, le maestre e i professori passano ore e ore nelle riunioni scolastiche, per decidere la strategia didattica e occuparsi di cento cose, tranne la sola cosa decisiva: la vera educazione. Così pure, i genitori lavorano duramente per assicurare ai loro figli un avvenire, ma non trasmettono la sola cosa essenziale: il calore affettivo, unito a una chiara tavola dei doveri e delle responsabilità che i figli, gradualmente, devono imparare ad assumersi, cominciando a occuparsi dei fratelli più piccoli. Dei preti, meglio non parlare: ce ne sono ancora di veri, ma ce ne sono anche tanti, troppi, che dedicano, sì, moltissimo tempo ai giovani, ma solo per organizzare giochi, feste, partite di calcio, cacce al tesoro, campeggi scout: mai che li facciano pregare, mai che li confessino; mai che spieghino loro cosa è la tentazione, cosa è il peccato, e come ci si mantiene sulla retta via, quella che il Signore desidera per ogni essere umano. No: se non sono impegnati a farli divertire, sono impegnati a catechizzarli sui migranti, e fanno allestire loro dei "presepi" ove Gesù, Maria e Giuseppe sono dei profughi a bordo di un barcone, sul mare in tempesta. Ideologia, politica, ancora e sempre un mare di chiacchiere: ma buoni esempi, pochi. Esempi di spiritualità, di confidenza in Dio, di mortificazione del proprio egoismo. Insomma; nessuno insegna ai ragazzi a tener a bada le loro passioni; nessuno insegna loro che esiste un limite; nessuno li ammonisce a non varcarlo. I ragazzini, oggi, si sentono onnipotenti, perciò si cacciano in situazioni pericolose, ma non sanno cos’è la vita: il primo soffio di vento li spazzerà via come foglie secche. La responsabilità non è loro, ma ricade su chi è stato latitante nel dovere di educarli: perciò è nostra. Abbiamo fallito, abbiamo sbagliato tutto. Ora, con umiltà, dobbiamo cominciare daccapo; dobbiamo riguadagnare l’affetto, la stima e la fiducia dei nostri figli: ma senza alcuna demagogia…
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