
Reagire allo scoraggiamento
12 Novembre 2018
Per Bergoglio esser vergini non richiede la verginità
13 Novembre 2018Quando si entra nella chiesa della Beata Vergine del Carmine, in borgo Aquileia, a Udine, la prima cosa che si nota, oltre al meraviglioso affresco barocco del soffitto che, in una fastosa cornice di architetture illusorie, rappresenta La Madonna del Carmelo che offre lo scapolare a San Simone Stock, contornato, sulle pareti, da un vastissimo fregio monocromo di medaglioni con angeli e putti, con episodi della storia del Carmelo, è l’imponente, ardita struttura dell’altar maggiore che, in un tripudio di sculture sormontate da un baldacchino, si slancia verso l’alto e offre allo sguardo dei fedeli, entro un medaglione ovale sorretto dagli Angeli, una pala raffigurante la Beata Vergine del Carmelo con il Bambino in braccio: il tutto di una grandiosità e di una solennità che possono vantare ben pochi esempi simili nell’arte sacra di tutto il Friuli. Ebbene, la pala dell’altar maggiore fu traslata in questo luogo al termine di una solenne processione che si snodò, con le autorità cittadine in testa, nel lontano 1525, alla fine di agosto, partendo dalla sede originaria dei frati del Carmelo. Questa si trovava nella odierna via Lumignacco, la strada che si diparte da Piazzale Cella, fuori porta Grazzano, della quale abbiamo già parlato a proposito della chiesetta della Pietà, che sorge appunto su un lato di quella piazza.
I carmelitani si erano stabiliti in quel luogo fuori mano alla metà del XV secolo, occupando un ex convento di monache benedettine che esisteva almeno dal XIII secolo e che era dedicato a San Pietro Apostolo. Avevano costruito una nuova chiesa dedicata a Santa Maria degli Angeli, presso l’antica chiesa di San Pietro; poi, in seguito agli sconvolgimenti della guerra della lega di Cambrai, nonché alle incursioni turche in Friuli, che avevano lambito più volte i dintorni di Udine, nel 1522 chiesero e ottennero dal Comune cittadino di potersi trasferire in una nuova sede entri le mura cittadina, per mettersi al sicuro, e così si stabilirono nella chiesa oggi nota come chiesa della Beata Vergine del Carmine, in borgo Aquileia (noto allora come Borc d’Olée di dentri), a breve distanza dalla torre che ancora sorge in piedi presso la porta omonima, sulla quinta cerchia muraria. Allora non era la sede parrocchiale, che si trovava nella vocina chiesa di San Pietro e Paolo, nell’attuale piazzetta del Pozzo, demolita solo nella seconda metà del XX secolo, dopo che i bombardamenti del 1944-45 l’avevano atterrata in odo irreparabile. Quando, nel 1770, i carmelitani furono soppressi e se ne andarono, sarebbero venuti i francescani che vi trasferirono l’arca del Beato Odorico da Pordenone, che è forse il monumento storico-artistico più prezioso della chiesa attuale. Frattanto la chiesa di San Pietro in Tavella andava lentamente in rovina e scompariva; sul luogo venne edificata una terza chiesetta, questa volta nel XIX secolo, che a sua volta venne sconsacrata e abbandonata, mentre l’area cadeva in uno stato di degrado, anche se, ai primi del Novecento, un industriale udinese, il Moretti, vi aveva costruito un villino e una serie di edifici minori, anch’essi poi rimasti abbandonati, sulla strada che da via Lumignacco conduce al borgo di Sant’Osvaldo e che porta ancora la vecchia denominazione di via San Pietro.
Scrive Paolo Pascoli nel sito www.parrocchiacarmine.it:
I frati del Carmelo erano giunti a Udine solo nel 1483, piuttosto tardi rispetto alle altre comunità religiose, e si erano stabiliti, con l’autorizzazione del Capitolo metropolitano, nel convento con annessa chiesa che era stato abbandonato dalle suore Benedettine in S. Pietro in Tavella (Gervasutta).
Agli inizi del Cinquecento fu deciso di trasferire, anche per la loro sicurezza, i Carmelitano in città, dopo che furono acquistati gli orti e le case di Melchiorre Stayner in via Aquileia. "1522, ag. 31. Frater Stefanus ordinis Carmelitarum — exposuit quod — civitatis haec — annuit ut monasterium eorum S. Mariae ab Angelis, ex loco S. Petri de Tabella, in tra civitatem et in burgum Aquilegiae introduceretur, promittendo in auxilium tam pis operis ducatos ducentos dandos lapsis annis tribus… Nam — illae pecuniae dando erunt mag. Melchiori Stayner venditori domo rum et horti in quibus-fabrica-bitur monasterium (Annales, LIV, p. 92). Così il 31 agosto 1522. Ai 200 ducato del Comune di Udine si aggiunsero altri 200 ducati degli udinesi e 400 ducati del cardinale Michele della Torre vescovo di Ceneda, già decano del capitolo di Udine. Tale somma gli era stata lasciata in eredità dell’Arcivescovo di Ragusa Panfilo Strassoldo.
Il 25 marzo 1525 terminati i lavori, nella festività dell’Annunciazione, fu portata in processione "… b. Virginis imaginem ab ecclesia S. Petri de Tabella ad ipsam novam ecclesiam S. Mariae ab Angelis", quell’immagine che ancora oggi è venerata sull’altare maggiore. Autorità, clero, e popolo tutto seguirono in processione: ciò dimostra quanto incisiva, sul piano etico e sociale, doveva essere per la comunità udinese la presenza delle case religiose, sia maschili che femminili, "intra moenia". È nella seconda metà del Seicento e nei primi decenni del Settecento che la chiesa della Beata Vergine del Carmine o di Santa Maria degli Angeli assume l’spetto attuale per il costante lavoro dei Carmelitani che l’arricchiscono di opere d’arte veramente di grande pregio.
In realtà, i carmelitani si sono stabiliti a San Pietro di Tavella non nel 1483, ma nel 1453, cioè trent’anni prima, come risulta anche dal bel saggio di Gabriele Caiazza, Alle origini (romane) di Udine. La "tabella" di San Pietro, sul Bollettino del Gruppo Archeologico Aquileiese (dicembre 2005, pp. 46-49, pubblicato sul sito www.academia.edu, e che ringraziamo fin d’ora per la seguente citazione):
Il primo tratto della strada provinciale 94 che congiunge Udine a Ontagnano, deve oggi il suo nome — via Lumignacco — al primo paese che incontra, sette chilometri a sud del capoluogo. Ma ben prima di raggiungere l’abitato dive in età romana dovette essere ubicato il "praediumn" assegnato a un colono romano di nome Lumenius in territorio allora celtico, poco dopo aver lasciato il moderno piazzale Cella il viaggiatore che percorre la provinciale di Bicinicco diretto verso sud, non può fare a meno di notare, alla propria destra, un imponente complesso di costruzioni che dopo aver languito per diversi lustri nel più completo abbandono è ora interessato da "lavori di demolizione fabbricati" che paiono preludere al suo quantomeno parziale abbattimento. Si tratta del cosiddetto "villino Moretti Facchini" con i suoi numerosi annessi: fatto costruire da G. B. Moretti nel secolo scorso su preesistenze rurali di verosimile "ascendenza" monastica e passato per via ereditaria alla famiglia Facchini, che ancora trent’anni fa ne era parzialmente in possesso, esso è oggi di proprietà della s.r.l. udinese "Casali San Pietro", committente dei nuovi lavori dopo aver condotto sul retro la lottizzazione "Borgo San Pietro" a partire dal luglio 1996, consistente nella realizzazione di dodici villette laddove un tempo si trovava il "brolo". Il corpo centrale della villa, a tre piani e sino alla fine del secolo scorso in discreto stato di conservazione, si erge tuttora al centro del complesso, ben visibile dalle due cancellate in ferro battuto con stipiti in pietra. (…)
Le mura alzate a delimitare la proprietà, benché molto deteriorate e in più punti aggredite dalle piante, si ergono ancora all’intorno e verso nord continuano a svolgere la loro funzione originaria: separare dalla proprietà dalla via chiamata nell’Ottocento "Strada Comunale detta di Casal" (nel 1441 via de Sancto Piertro de Tavella", nel 1542 "strada pubblica di San Pietro" e tuttora "via San Pietro", nome già attestato nel 1928 per la medesima "strada campestre che proviene dall’antica chiesa e monastero di San Pietro in Tavella", che tuttora collega la borgata udinese di Sant’Osvaldo a via Lumignacco nel punto in cui sorge l’ultima "versione" della chiesetta di San Pietro. (…)
Eretta e consacrata "fuori mura" prima del 1282, la chiesa dedicata al principe degli apostoli è documentata allora come "oratorio" annesso ad un "monastero di donne", religiose benedettine che ricevevano — presumibilmente con periodicità non fissa – un sussidio annuale dal Comune , che andava ad aggiungersi ai lasciati testamentari dei benefattori (come nel 1331 quello di Domenica vedova di Andrea detto Trugle). In data imprecisata ma anteriore al 1445, la priora e tutte le "sorores de Sancto Petro" lasciarono la località, anche se pare che la chiesa "extra portam Grazani" abbia continuato ad essere "un richiamo per monachismo": nell’agosto 1445 due eremiti presentarono richiesta al decano e al consiglio "Burgi Grezani" (ottenendo risposta affermativa ed aiuti) per poter costruire una "domunculam" da adibire a propria "mansionem" presso la chiesa "Sancti Petri de Tabella", il cui camposanto ("semiterium") venne riconsacrato nel dicembre dello stesso anno. Dopo un quarantennio durante il quale si registrarono tra l’altro l’ingiusto allontanamento e la quasi immediata riabilitazione del "pauperrimus sacerdos nominatus presbiter Vitus" (1458), il 26 febbraio del 1453 nel palazzo comunale udinese il nobile storiografo Giovanni de Candido concedette ai padri Carmelitani, bella persona del veneziano fra Michiel, "il luogo e la chiesa" pur mantenendo "il giuspatronato e la custodia della festa alla propria famiglia": i frati, autorizzati dal capitolo metropolitano ad insediarsi nell’ex cenobio femminile (di cui ottennero nel 1502 il rinnovo dell’investitura), si impegnarono a costruire nel "loco detto S. Pietro" un monastero — che poi posero sotto il titolo Sante Marie ab Angelis — e a tenervi tre o quattro sacerdoti dell’ordine. Dopo aver anche ospitato, nel 1486, alcuni appestati provenienti dall’ospitale di San Gottardo ubicato dall’altra parte della città nella "silva" presso il Torre, i Carmelitani in seguito edificarono nei pressi della vecchia chiesa petrina una seconda chiesa dedicata a Santa Maria del monte Carmelo loro protettrice, la cappella della Madonna del Carmine "di Gervasutta". Ma nell’estate del 1522, soprattutto "propter urgentia bella", per bocca del dotto priore Stefano chiesero ed ottennero dal Consiglio della "magnifica comunitas" di Udine il permesso di trasferirsi entro le mura urbane, così "come da luogo poco sicuro, ripararono nel 1525" "intra civitatem" e precisamente in quel "burugum Aquilegie" detto in friulano "Borg d’Olee", dove avevano nel frattempo fondato il convento ("novo monasterio S. Marie ab Angelis") con annessa "nova ecclesia" di Santa Maria degli Angeli. Da essa avrebbe avuto origine l’attuale parrocchia "del Carmine", sul cui barocco altar maggiore tuttora si staglia l’effigie della titolare già venerata nella chiesa mariana eretta dai carmelitani preso la "sopradetta di San Pietro della Tavella di Grizano", da cui venne traslata "il giorno della Santissima Annunciazione" dello stesso anno 1525 con un’apposita processione solenne ("da continuarsi annualmente") a cui parteciparono le autorità dell’epoca e una grande folla di fedeli.
Si prova quasi un senso di vertigine nel considerare quanto antiche sono le nostre chiese, quanto antica è la presenza degli ordini religiosi, quanto venerande sono le radici cristiane delle nostre città, della nostra storia, di tutto ciò che noi oggi siamo, anche se la civiltà moderna, sorta in opposizione e in odio al Vangelo, ha fatto e sta facendo di tutto per scrollarsi di dosso tale identità. Tentativo folle e impossibile; e che, se pure dovesse mai riuscire, condurrebbe inevitabilmente al collasso del nostro mondo e alla rovina delle nostre istituzioni, alla dissoluzione del patto sociale e civile sul quale si fonda l’intera società: si è mai visto un albero capace di sopravvivere dopo il taglio delle sue radici? Eppure, è proprio questo che la società europea si è impegnata a fare, con zelo, con perseveranza, con infernale malizia: a svellere, una dopo l’altra, le radici dell’albero della civiltà cristiana. Possibile che gli uomini non si rendano conto che tale impresa equivale a un suicidio di massa? E la cosa più sconcertante, diciamo pure più terribile, è che, da mezzo secolo a questa parte, il tentativo ha ricevuto il sostegno volonteroso, perfino entusiastico, dei vertici della stessa chiesa (che non osiamo, a questo punto, scrivere con la maiuscola), conquistati alle idee della modernità e ben decisi a imporre la sua modernizzazione a tappe forzate. Quando il signore che siede attualmente sulla cattedra di San Pietro, ad esempio, si rifiuta di benedire un gruppo di giovani che glielo aveva chiesto (pare incredibile, ma è realmente successo, a Palermo, durante il viaggio apostolico in Sicilia, a metà settembre del 2018), affermando di non voler offendere i non cattolici; e quando lo stesso signore li invita, in compenso, a recitare una "preghiera" nella quale non si nomina neppure Gesù Cristo, si capirà quel che vogliamo dire e si giudicherà se le nostre affermazioni siano esagerate, oppure no. Una sacerdote, anzi un papa, che non benedice i fedeli, per non mancare di riguardo ai non fedeli? E la stampa, completamente asservita alla strategia anticattolica di quel signore, che non rileva il fatto scandaloso, non ne parla e non solleva alcuna domanda imbarazzante? Sì: i tempi profetizzati dal libro dell’Apocalisse sono arrivati, e sono qui…