
Omaggio alle chiese natie: Santa Giustina
3 Novembre 2018
Omaggio alle chiese natie: San Bartolomeo
4 Novembre 2018Là dove oggi sorge l’imponente complesso delle scuole elementari IV Novembre, con la caratteristica pianta a "E" dei primi anni del XX secolo (come le Scuole elementari del centro, quelle di Via Dante Alighieri), per un brevissimo periodo venne ospitato il seminario diocesano, dopo che i francesi prima, e gli austriaci poi, lo ebbero sfrattato dalla sua sede, vicino al palazzo arcivescovile. In via Viola, infatti, sorgeva un convento domenicano che ospitava le terziarie di quell’ordine. Fino al 1930, quindi, non solo non c’era l’edificio scolastico, ma non c’era neppure la via sulla quale ora insiste, via Magrini (dedicata a un fisico udinese dell’Ottocento), che è stata aperta, appunto, sul luogo del vecchio convento già demolito, per far posto alle scuole. Intanto il seminario era stato trasferito fin dal 1810, in seguito alla soppressione del convento delle suore francescane, presso la chiesa di San Bernardino, da dove ormai se n’è in pratica andato, spostandosi nella succursale di via Castellerio, semplicemente per la scarsità di seminaristi e cedendo i vecchi locali a un istituto scolastico ultramoderno. Corsi e ricorsi della storia. Ebbene il convento, com’è ovvio, era dotato di una chiesa, dedicata a San Domenico e a Santa Caterina, in stile barocco seicentesco, che resistette per circa due secoli alle alterne vicende degli uomini, ma non superò la prova delle soppressioni decretate dal Regno d’Italia, quando la maggior parte del Friuli venne annessa, nel 1866, insieme al Veneto. La chiesa venne abbattuta l’anno dopo, e gli udinesi ne persero la memoria nel giro di due o tre generazioni: di fatto, per chi non ha visto una certa cosa fin da piccolo, anche se questa ha svolto un ruolo importante e anche se era una presenza familiare per i genitori e per i nonni di quella persona, è come se non fosse mai esistita. E così è stata dimenticata anche la chiesa di San Domenico: come quella dei Barnabiti in piazza Garibaldi, di Santa Maria Maddalena in via Vittorio Veneto, di San Pietro in piazzetta del Pozzo, di San Nicolò in via Zanon, di S. Ermacora in via Aquileia, di San Bartolomeo in Via Prefettura, di Santa Giustina in via Tiberio Deciani, di San Tommaso in via Cavour. Quanti udinesi le hanno mai sentite nominare?
Scrive Maurizio Buora nella sua Guida di Udine (Trieste, LINT, 1986, p. 302):
All’inizio di questa [cioè di via Magrini], al posto del primo parcheggio, esisteva dal 1644 il collegio delle Pinzochere laiche di S. Domenico, fondato da Caterina di Maurizio Cavalcanti, con una chiesa annessa dedicata a S. Domenico e a S. Caterina, che fu costruita nel 1671 e soppressa nel 1867. Il complesso, passato al Demanio nel 1806, ospitò il seminario dal 1808 al 1811. Tutto fu demolito nel 1930 per l’apertura della strada, cui seguì la costruzione dell’edificio della scuola elementare "IV Novembre", che adotta il solito schema a E del’inizio del 900.
In effetti, tutto il settore — è più di un quartiere e non ha una vera unità storica o architettonica, non sapremmo come chiamarlo — che occupa la parte nord-occidentale del centro storico, fra la circonvallazione interna Via Marco Volpe-Via Giovanni Micesio-via di Toppo, e l’asse viario formati da via Poscolle, via Zanon, via Cosattini, via Mantica e Via Anton Lazzaro Moro, con l’appendice di via Santa Giustina, forma una parte della città che ha un sui carattere un po’ speciale, inconfondibile. A parte l’area più meridionale, quella più vicina a borgo Poscolle e a borgo Zanon (già borgo di Santa Maria), via Viola, via Magrini, via Girardini e via Asquini, che possiede dei bei palazzi, alcuni antichi, come il Palazzo Gorgo Maniago o Palazzo Torriani, altri moderni, e aree di recente edificazione, come appunto via Magrini, quasi tutto il resto ha un volto assai popolare e tipicamente borghigiano, nel senso che l’espressione aveva fino alla metà del XX secolo: quasi una serie di villaggi inglobati nel tessuto della città, ma in origine autonomi, e che conservano ancora, in qualche modo, qualcosa di rustico e di periferico, come se solo recalcitrando si fossero adattati a far parte del centro vero e proprio. Il punto di passaggio dalla zona "bene" alla zona popolaresca si può osservare via Jacopo Marinoni (un illustre matematico udinese vissuto fra il ‘600 e il ‘700), che un tempo faceva parte del borgo di Santa Maria, il quale comprendeva via dei Torriani e via Zanon, fino all’incrocio di questa con via Poscolle. Anch’essa è dotata di bei palazzi del Sei e Settecento nel tratto prospiciente via Girardini, e poi, insensibilmente, diventa più rustica nel tratto finale, verso l’imbocco di via Baldissera.
L’aspetto popolare di quel rione si notava arrivandoci da via Mazzini: o svoltando subito, all’inizio di via Mantica, in via Baldissera, oppure proseguendo per tutta via Mantica, fino alla chiesa del Redentore e al palazzo Montegnacco-Berghinz, e poi svoltando a sinistra per imboccare via Superiore. Un’alternativa era prendere la viuzza quasi nascosta dedicata al poeta Piero Zorutti, che lì ebbe i natali, la quale si apre fra le vecchie case a metà di via Mantica, e sbuca in borgo Villalta; oppure, poco più avanti, la calle ancor più nascosta che porta il nome suggestivo ed appropriato, almeno fino a qualche anno fa, di vicolo degli Orti. Specialmente il borgo Villalta (che un tempo si prolungava verso via Mazzini, comprendendo la via Generale Antonio Baldissera), e via Superiore, oltre al il già ricordato borgo San Lazzaro, avevano un aspetto quanto mai semplice e disadorno, con case basse addossate le une alle altre, vecchi portoni aperti su dei pittoreschi cortili interni, pavimento selciato con ciottoli di fiume, pochissime botteghe, nessun negozio elegante, nessun albergo o ristorante, nessuno studio di professionista, né ambulatorio di medico o dentista, nessun ufficio pubblico, né scuola (a parte la IV Novembre), nessuna edicola, tanto meno una cartoleria, e perfino nessuna chiesa oltre alla Cappella Manin, che però era la chiesetta privata d’un gran palazzo signorile; insomma, vi regnava un’aria isolata e un po’ ritrosa. Aggiungete l’andamento curvilineo delle strade, talvolta a doppia curva, come è tipico dei paesi della media pianura friulana, e l’abbigliamento campagnolo degli abitanti e delle torme di ragazzini, e l’illusione di essere capitati, chi sa come, in un angolo di Friuli fuori città, che vive di una vita propria, in un tempo tutto suo, arretrato di qualche decennio rispetto al centro, diventava quasi perfetta. Né la fama di quel rione, se così lo vogliamo chiamare, presso la gente "perbene" del centro, era particolarmente lusinghiera, tutt’altro: specialmente gli abitanti di borgo San Lazzaro, con pesante gioco di parole, erano chiamati, senza tante cerimonie lasaròns cioè "lazzaroni". A noi, abitanti del centro, quelle vie piacevano da morire, fin da quand’eravamo piccoli: avevano un’aria così simpatica, così accogliente, nella loro povertà. Non passavano che poche automobili, era come se la modernità si fosse dimenticata di battere all’uscio; in compenso, si respirava un’aria familiare, semplice, oggi si direbbe "autentica", perché lì le cose erano chiare, nessuno faceva finta di essere quel che non era, ossia un "cittadino", nel senso di "borghese", nemmeno i pochi negozi e locali pubblici che si aprivano sulle strade. E se non c’erano gli amati giocattoli da mangiare con gli occhi attraverso le modeste vetrine (ma sì che c’erano, dopotutto: quelli più economici, di plastica, per esempio nei tabacchini), in compenso nei bar c’erano i gelati, o la liquerizia, o il mandorlato; e che altro poteva desiderare un bambino, a meno che fosse del tutto viziato? Nessuno ci aveva detto – lo avremmo scoperto più tardi — che quelle vie avevano una certa fama poco raccomandabile, non solo, e forse non tanto, per la povertà dei loro abitanti — operai, manovali, artigiani e piccolissimi commercianti — quanto perché, fino al 1958, cioè fino all’approvazione della "legge Merlin", proprio lì, e specialmente in via Superiore, c’erano le cosiddette "case chiuse", cioè quei luoghi della città che i bravi cittadini, di giorno, fingono d’ignorare perfino che esistano, salvo recarcisi, ma guardandosi prudentemente attorno, e magari alzando il bavero del cappotto e calando bene il cappello sulla fronte, per salvar le apparenze, la notte.
Ci piace riportare una vivace descrizione dei tre borghi nord-occidentali di Udine, Borgo Villalta, Borgo di Sopra e Borgo San Lazzaro, dello storico friulano Arduino Cremonesi, uno studioso che meriterebbe di essere conosciuto molto di più, per la serietà della documentazione, l’ampiezza della prospettiva e, non ultimo, la piacevolezza dello stile, e che, oltre a una bella guida di Udine, ha scritto anche due pregevoli saggi di ampio respiro, La sfida turca contro gli Asburgo e Venezia, del 1976, e L’eredità europea del Patriarcato di Aquileia, del 1979 (da: A. Cremonesi, Udine, guida storico-artistica, Udine, Arti Grafiche Friulane, 1978, pp. 194-196):
A sinistra [della chiesa del Redentore], in via Francesco Mantica, chiamata in passato Borg di S. Luzie e poi Borg di Redentòr) si vede il vasto edificio che fu sede del convento degli Agostiniani e che poi ospitò gli uffici dell’Intendenza di Finanza trasferitasi ora in via Gorghi. Attualmente il palazzo è disabitato [ma ora è divenuto una sede universitaria e ospita la biblioteca della Facoltà di Lettere]. Da via Mantica si diparte via Zorutti un tempo chiamata Contrade dal Spagnùl. Percorrendo questa via odorosa in primavera del profumo degli alberi e delle siepi in fiore, ci pare di immergerci nel passato staccata com’è dal rumore persistente del traffico. Al civico n. 4 una casa disabitata reca sul portale ad arco la data del 1720 incisa su una pietra lavorata anteriormente alle altre che lo compongono. Ai lati del portale due formelle scolpite in bassorilievo, una delle quali chiaramente di epoca romana. La formella proviene dagli scavi effettuati a suo tempo nella vicina via Marinoni,. Al civico n. 13 vediamo una lapide sulla facciata di una casa, ricollocatavi, come sta scritto nel suo margine inferiore, nel 1959. Essa ricorda che in quel sito visse e morì il celebre poeta Pietro Zorutti, l’arguto interprete dell’anima friulana, l’innamorato cantore delle bellezze della sua terra. Il Poeta aveva lì la sua casa che venne distrutta durante uno dei bombardamento "strategici" anglo-americani dell’ultima guerra.
Tornando alla chiesa del Redentore, vediamo alla sua destra, all’angolo con via Superiore, il bel Palazzo Montegnacco, ora Berghinz, del secolo XVIII, con portale e riquadri delle finestre in stile rustico sobriamente ornato. Da questo punto ha inizio via Superiore detta fino a poco tempo fa Borg di Sore. Fu chiamata anche Contrada dai Plez da una famiglia Pletti che vi abitava prima del XVII secolo e, più tardi, Villalta. È fiancheggiata da basse disadorne abitazioni tranne che verso il suo termine dove, a sinistra, sorge l’Istituto Magistrale "Caterina Percoto" di recente costruzione [dal 1971; prima aveva sede in via Beato Odorico da Pordenone, fra la chiesa di San Francesco e l’ex chiesetta del Cristo]. In fondo alla via ci troviamo di fronte alla torre di Porta Villalta appartenente alla quinta cerchia di mura. La porta venne così chiamata perché di là partiva la strada che conduceva all’omonimo castello vicino Martignacco. Qui confluisce pure la via Villlata che si diparte da via Baldissera la quale a sua volta ha inizio da via Mazzini. Queste vie, cin quelle già nominate in questo itinerario, formano un caratteristico rione dove sopravvive ancora la vecchia Udine. Sulla parete esterna di Porta Villlata, dal lato della fabbrica di birra Dormisch, si vedono gli stemmi del Comune di Udine, dei nobili del Torso e degli onnipresenti Savorgnan. Sulla parte interna è apposta una lapide a ricordo delle migliorie effettuate alle mura cittadine per iniziativa del luogotenente Emo. Il testo della lapide dice che: ANNO SAL. (UTIS) MCCCCLXXX / IO EMO IULIENSIUM PRAETOR UTINI MOENIA ET FOSSA ET CRASSA MURARUM APPENDICE INTRA ANNUUM MUNUS FOELICITER COMMUNIVIT.
Quel che ci incuriosiva, di questo rione così caratteristico, era il fatto che, fra tutte quelle vie, non ci fosse nemmeno una chiesa, né un convento, né una cappella, salvo appunto la Cappella Manin e la chiesa dei Santi Domenico e Caterina, di cui però non sapevamo nulla, e della quale nessuna testimonianza è ancora visibile sul luogo ove essa sorgeva: e ciò in una città che, fin dal basso Medioevo, era letteralmente piena di confraternite e di edifici religiosi. Né rimane un segno della presenza del convento di San Domenico, proprio come è sparito quello dei cappuccini in via Tiberio Deciani (la quale si chiamava, appunto, contrada dei Cappuccini) o quello dei Filippini dall’angolo di via Marinelli con via Prefettura (chiamata contrada dei Filippini). Questo è il destino peggiore che possa capitare a un ex convento o una ex chiesa carichi di storia. Le altre due possibilità sono un restauro, anche tardivo, anche parziale, come è stato fatto per San Francesco della Vigna, in via Cussignacco, o la destinazione ad uso profano, come per l’ex convento degli agostiniani, in via Mantica. Siamo convinti che l’anima dei luoghi esiste, anche se in un senso meno forte di quello teologico, tuttavia più forte di quello romantico. Non è un’anima come quella degli esseri umani ma neppure solo "atmosfera": è qualcosa di reale, pur essendo impalpabile, e che può volar via, se quel certo luogo scompare. Ora in via Superiore, via Villalta e via Baldissera sopravvive ancora l’anima della vecchia Udine; e così in via Zorutti o nel vicolo degli Orti o nel vicolo Sutti. Perciò, se passate di lì, per favore camminate in punta di piedi e parlate sottovoce: non lasciate volar via la loro anima.