
Ma non vedete? Non è ancora abbastanza chiaro?
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8 Ottobre 2018Probabilmente molti italiani non se ne sono ancora resi conto, compresi parecchi di quelli che hanno votato per la Lega e i Cinque Stelle, non parliamo poi di quelli che avversano il governo in carica: ma l’Italia è tornata ad essere un laboratorio mondiale. Lo è già stata parecchie volte, nel corso della sua storia antica e gloriosa. Tralasciando bazzecole come l’Impero romano e anche il Papato, lo è stata con i Comuni e la nascita del capitalismo moderno (allorché il fiorino era la moneta del commercio internazionale, come oggi lo è il dollaro), poi con il Rinascimento, poi con la nuova teoria politica di Machiavelli, poi con la nuova scienza di Galilei, poi con la riscoperta della storia di Vico, per non parlare dell’esperimento di uno Stato millenario, potenza marittima e anche terrestre, Venezia, che nemmeno la coalizione dei maggiori Stati europei riuscì a eliminare nella guerra di Cambray. La nascita stessa del Regno d’Italia, nel 1861, è stata un laboratorio d’interesse mondiale: come si costruisce uno Stato che non era mai esistito, avendo poche forze a disposizione e una scarsa partecipazione popolare (cosa, quest’ultima, che è un passivo che prima o poi qualcuno verrà a riscuotere). Non sono stati sempre modelli del tutto positivi, ma sono stati modelli e stimoli per il mondo intero; e scusate se è poco.
Poi c’è stato il fascismo, che in Italia soprattutto, dopo il 1945, è stato totalmente demonizzato ed è assurto a simbolo stesso del Male, di tutto ciò che è pestifero, vile, abietto, meschino, volgare. Con il che si è buttata via la memoria dell’opera di insigni filosofi, come Gentile, e di architetti, registi, scrittori, scienziati, artisti, giornalisti, tutta gente compromessa col regime e che poi non ha avuto la decenza, come fecero tutti gli altri, di riciclarsi in veste democratica e antifascista, possibilmente di sinistra e meglio di tutto se comunista. Questa demonizzazione del fascismo era necessaria alla nuova classe dirigente insediata dalle baionette dei vincitori e degli occupanti anglo-americani, la quale aveva bisogno di nascondere in qualche modo la maniera poco simpatica e poco democratica con cui era giunta al potere, e anche di far scordare il troppo sangue versato, non solo e non tanto durante la guerra civile che essa aveva scatenato, ma soprattutto alla sua conclusione, con la mattanza di decine di migliaia di persone uccise con inaudita ferocia quando il conflitto era ufficialmente terminato, e che spesso non avevano alcuna colpa politica da espiare, se non quella di aver amato l’Italia: per esempio, le ausiliarie dei reparti femminili della Repubblica Sociale. Bisognava anche far scordare che il primo modello repubblicano era stato, appunto, quello creato da Mussolini nel 19453-45, una repubblica che, fa le altre cose, e nel pieno di una guerra apocalittica come quella, aveva saputo tenere i conti perfettamente in ordine e accumulare un notevole risparmio pubblico, cosa di cui non si parla mai e che pochi sanno, anche perché potrebbe suggerire sgradevoli confronti con i governi inetti e spendaccioni della Prima e della Seconda Repubblica. Per la stessa ragione, assai malvolentieri si ricordano la legislazione fascista sul lavoro, le pensioni d’invalidità e vecchiaia, la dignità che venne resa ai lavoratori sotto il regime fascista, non certo sotto lo Stato liberale prefascista. Sia come sia, quell’esperienza è stata rimossa, demonizzata, cancellata (il Male Assoluto, addirittura, secondo certuni), e questo ci ha impedito di valutare serenamente quanto sia stata un laboratorio e, per certi aspetti, un modello, a livello mondiale. In pratica, il fascismo tentò di creare una "terza via" fra capitalismo e comunismo, fra libertà e autorità, fra società e persona, fra Stato e cittadino, fra pubblico e privato; inoltre, tentò di completare l’opera solo iniziata dal Risorgimento, la compattazione del popolo italiano, fornendogli una solida coscienza nazionale, ciò che gli mancava (e che gli manca tuttora). Fu, perciò, un duplice laboratorio; all’intermo, per fare la nazione; all’esterno, per proporre un modello economico-sociale e culturale, fondato su un patto di collaborazione fra le classi, capace di fronteggiare le due formidabili sfide, quella del totalitarismo comunista, concretizzatasi nell’Ottobre del 1917, e quella del capitalismo di rapina, concretizzatasi con la Grande Crisi del 1929. In quasi tutto il mondo questa proposta, questa "terza via" fu vista e compresa, più o meno bene, da intellettuali e da uomini di governo, e diede luogo a stimoli e tentativi di emulazione d’ogni tipo, dal Brasile di Vargas all’Argentina di Peron, dal Portogallo di Salazar all’Ungheria di Horty, perfino tra le future classi dirigenti dei Paesi coloniali, come Nasser in Egitto e Gandhi in India (volgiamo ricordare il giudizio positivo che quest’ultimo diede del fascismo, dopo aver visitato l’Italia di quegli anni?), e accese delle fiammelle persino nelle più solide democrazie occidentali: in Belgio con Léon Degrelle, in Gran Bretagna con Oswald Mosley, in Francia con Charles Maurras. Perfino il Kuomintang di Chang-kai-shek guardò all’Italia fascista, per un momento, come un modello interessante, cosa poi vanificata dallo scoppio della guerra col Giappone, che era alleato della Germania e dell’Italia nel Patto Tripartito.
Se l’Italia avesse avuto la forza economica e militare della Germania, probabilmente sarebbe diventata, negli anni Trenta, la potenza emergente a livello mondiale, tale era il prestigio di cui godeva e l’ammirazione con cui guardavano ad essa in Europa e nel mondo molti intellettuali e gruppi politici. Certo, essa era anche detestata e avversata dai movimenti di opinione democratici e di sinistra, alimentati dai fuoriusciti italiani, i quali, pur di veder cadere il regime (di veder cadere, per mano di forze esterne, non di farlo cadere, poiché sapevano di non avere la forza necessaria e conoscevano il consenso di cui esso godeva nel paese reale, specie dopo il 1936), erano disposti a qualsiasi cosa, e sobillavano incessantemente il mondo intero contro la loro patria, ma con scarsissimi risultati, almeno fino al 1939-40, quando i giochi erano fatti; e che, nel frattempo, si preparavano attivamente alla guerra civile, ad esempio partecipando alla guerra civile spagnola. Roosevelt e Churchill, i due leader che contavano a livello mondiale, non avevano mai nascosto le loro simpatie per il regime di Mussolini, il primo prendendo a modello, ma senza dirlo, la politica sociale fascista, per il suo tanto strombazzato New Deal (che fu in sostanza, e a differenza di quella, un fallimento), il secondo in maniera più franca ed esplicita; ma cambiarono atteggiamento quando si resero conto che il fascismo, oltre ad aver rimesso in ordine lo Stato italiano, sottraendolo a una probabile rivoluzione comunista, era cresciuto al punto da rappresentare un modello vincente livello mondiale, incrinando perfino il modello che rappresentavano loro: quello del capitalismo usuraio, a cui tutte le nazioni dovevano inchinarsi. Da ciò la necessità di eliminarlo, e lo scoppio della guerra in Europa, voluta da Hitler, e poi nel Pacifico, voluta dai militari giapponesi, rese loro le cose più facili, perché l’Italia, "intrappolata" nel Tripartito, divenne un legittimo bersaglio, e venne trattata come un nemico da abbattere: con buona pace delle anime belle le quali continuano a pensare e a ripetere che gli Alleati fecero la guerra al fascismo e non al popolo italiano. Ma di queste cose è difficile parlare, oggi, nella cultura italiana; a livello accademico, addirittura impossibile: perché pesa pur sempre la damnatio memoriae su Mussolini e sul fascismo da parte delle classi dirigenti post 1945, e perché la cultura italiana è al 99% in possesso della sinistra post-marxista (a dispetto del fatto, o magari proprio per quello, che Mussolini venisse proprio dalle file della sinistra). Quindi, che l’Italia fascista sia stata un laboratorio e anche un modello, non lo si può dire; tutto il mondo lo sa, ma da noi specialmente lo si deve tacere, perché dirlo sarebbe il massimo del politicamente scorretto. Perciò, se quello che abbiamo detto fin qui vi turba; se pensante che sia un subdolo tentativo di riabilitare il fascismo, e se ciò sconvolge le vostre certezze politically correct, dimenticatelo, anzi fate conto che non abbiamo detto nulla.
Ora succede che, in seguito alle elezioni del 4 marzo 2018, e nonostante tentativi di sabotaggio del presidente della Repubblica, è nato un governo che agli occhi degli osservatori internazionali più intelligenti appare per quel che effettivamente è, anche se qui da noi in molti non l’hanno capito: un laboratorio, un esperimento d’interesse mondiale. Siamo ancora fermi al punto in cui il mondo intero si era impantanato, l’Ottobre 1917, la Grande Crisi del 1929 (con le loro rispettive repliche, fino alla crisi del 2007, che ci ha investito in pieno con la forza di un tornado, e sempre per gli stessi meccanismi speculativi), e che l’esito della Seconda guerra mondiale aveva congelato. Dopo la fine della Guerra fredda qualcosa si è rimessa in movimento; si è ricominciato a parlare di patrie, di interesse nazionale, di sovranità dei popoli — il cui presupposto irrinunciabile è la sovranità monetaria — e questo ha risvegliato la rabbia di tutti quelli che, per pigrizia o interesse, si erano perfettamente abituati a vivere all’infinito nel clima degli ultimi decenni: con il monopolio del potere, dell’informazione e della cultura. I signori progressisti si sono sgomentati, poi si sono indignati, infine si sono infuriati, come un toro davanti al quale venga sventolato un panno rosso: inaudito! Che cos’è questo rigurgito di nazionalismo, di xenofobia, di spirito patriottico? Bisogna ricacciare i fascisti nelle fogne: questo è il loro grido di battaglia. Grido di battaglia che vede affratellati i vecchi ruderi spodestati del Pd, il clero di sinistra del signore argentino, i miliardari come Soros, le banche come la Goldman Sachs, e i signori della Banca centrale europea: quelli soprattutto. Che vogliono questi italiani pezzenti, che cosa pretendono: di sottrarsi al loro ruolo subalterno, in un’Europa dove comandano lorsignori, gli Juncker, i Moscovici? E così si è formata una Santa Alleanza nazionale e internazionale, che vede affratellati Renzi e Macron, la Bonino e Bergoglio, la Merkel e il cardinale Bassetti: tutti insieme appassionatamente per sconfiggere il mostro razzista, il rigurgito di fascismo. E Mattarella a vigilare e ad intralciare, a intrallazzare e a complottare, perfino a ricevere la visita di Draghi, al termine del colloquio con il quale i due hanno fatto sapere di essere "preoccupati" per le scelte economiche del governo giallo-verde. Buon segno: vuol dire che questo governo sta pestando i piedi a tutto il vecchiume, a tutte le incrostazioni di palazzo, a tutto il baraccone della Seconda Repubblica, a tutto il ciarpame del politicamente corretto, a tutti i Saviano e a tutti i sindaci di Riace abituati a considerarsi i puri, i buoni, i santi, i generosi, a tutti i rifiuti della storia che vanno in piazza e si vantano di essere in settantamila, quando c’è un ampio sessanta per cento di italiani che sostiene, invece, questo governo, mentre il restante quaranta per cento scarso è diviso fra la sinistra e la destra berlusconiana. Tristissimo crepuscolo per il signore di Arcore, che per anni ci ha rintronato gli orecchi con la menata del pericolo comunista e che si ora si è alleato spudoratamente coi neocomunisti, in odio al giovane Salvini e alla giovane Lega, semplicemente perché è talmente attaccato al potere da non saper neanche immaginare che qualcun altro venga dopo di lui, e infatti si è guardato bene dal tirar su un delfino per il suo partito di plastica, di bellone ed ex bellone, ormai giunto in avanzato stato di putrefazione.
In effetti, le forze che questo governo sta sfidando sono immense: ha contro tutta la grande finanza, tutti i principali governi occidentali (tranne quello statunitense, ma solo perché anche lì, a sorpresa e contro ogni aspettativa dei progressisti, ha vinto Trump), nonché i vertici della Chiesa cattolica — ma non la maggioranza dei cattolici, i quali, checché ne dica la C.E.I., votano Lega e se ne vantano pure. Sul piano interno, poi, hanno contro tutta la stampa, tutte le televisioni, quasi tutti gli intellettuali di grido, quasi tutto il ceto dei professori di scuola media e di università, insomma quasi tutti gli uomini e gli strumenti che creano l’opinione pubblica; e i resti dei partiti sconfitti, frattaglie di destra e di sinistra, pieni di rancore, perfino di odio, tutti tesi a demonizzare l’osceno governo populista. Non si creda che stiamo esagerando: come altro interpretare la copertina di Famiglia Cristiana, con la foto di Salvini e la scritta Vade retro, Salvini? E ciò che scrivono continuamente L’Avvenire e La Civiltà Cattolica, e ciò che dicono i pezzi grossi, medi e piccoli del clero? Ciò che dicono quelli delle cooperative, gli amministratori pubblici di area Pd, i magistrati buonisti e immigrazionisti, quelli, per intenderci, che mettono un ministro degli Interni sotto inchiesta per sequestro di persona e abuso d’ufficio, a causa del suo divieto di far sbarcare a scatola chiusa l’ennesima squadra di finti profughi, raccolti per eccesso di zelo da una imbarcazione della Guardia Costiera, quando non si trovavano neppure in acque territoriali italiane? E poi ha contro i sindacati, le organizzazioni non governative, la Caritas, i ragazzi dei centri sociali (con le loro mamme, si capisce), l’intellighenzia. Ma soprattutto ha contro le banche. Chi sono questi due signori, questo Di Maio e questo Salvini, che osano parlare di difendere gli interessi dei risparmiatori, dei cittadini? Che osano dare la precedenza ai piccoli risparmiatori truffati rispetto ai bancarottieri fraudolenti? Che mandano a quel paese i Moscovici e gli Juncker e stabiliscono le cifre della manovra economica pensando a far ripartire l’economia e non tagliando ulteriormente la spesa pubblica, cosa che comprimerebbe ancor più i consumi e toglierebbe all’Italia qualsiasi speranza di ripresa? Appunto: ma questo è ciò che vorrebbero a Bruxelles. L’Italia è la terza economia dell’Unione europea, e né Parigi, né Berlino hanno voglia di far posto al terzo incomodo: l’Europa è cosa loro, l’Italia deve restare nell’angolo. Dopo aver stroncato le sue fiorenti esportazioni con un euro calibrato sul marco tedesco e dannosissimo per noi, ora vogliono tenerci in ginocchio con il debito e gli interessi sul debito, e vigilano affinché non si faccia una manovra espansiva, perché non è nel loro interesse che l’Italia rialzi la testa e faccia loro concorrenza. Semmai, vogliono completare il bottino portandosi via per quattro soldi le nostre migliori aziende che ci sono rimaste, quelle private e, se possibile, anche quelle pubbliche, come Finmeccanica. Ora, vediamo bene le incompatibilità di programma che esistono fra la Lega e i Cinque Stelle; vediamo anche gli errori che inevitabilmente stanno facendo (e il reddito di cittadinanza è uno dei più grossi). Però, come si fa a non vedere che, per la prima volta, l’interesse dell’Italia e del popolo italiano viene messo innanzi a tutto il resto? Come si fa a non sentirsi fieri di avere, per la prima volta dopo decenni di servilismo, un governo che tiene la schiena dritta davanti alle minacce dei poteri forti, dei banchieri, dei vecchi arnesi di Bruxelles? E che in Italia sta nascendo un laboratorio, ed è in corso un esperimento, e che questo esperimento potrebbe essere un modello per altri popoli e per altre forze di governo? Basterebbe il pensiero che questo governo dispiace fortemente a Soros, a Juncker, a Macron, per aver voglia di tifare per lui con tutte le nostre forze. A dispetto di tutti i suoi errori, le sue ingenuità, le sue approssimazioni…
Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Christian Lue su Unsplash