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Sono sempre loro: vogliono trasformare la guerra imperialista in guerra civile

Uno dei problemi più gravi che deve affrontare chi, oggi, vogliamo comprendere davvero quel che sta succedendo a livello mondiale e, di riflesso, a livello nazionale, è, oltre alla sistematica opera di disinformazione dei mass media, tutti sul libro paga del potere finanziario che tiene il pianeta sotto scacco, l’assenza di strumenti per la vera comprensione dei fatti storici non del passato, ma del presente, aggravata dalla mancanza di una classe intellettuale degna di questo nome, poiché quella che passa per tale è una plebe di cialtroni prezzolati che svolgono la misera funzione di debunkers, in pratica dei disinformatori di secondo livello (quelli di primo livello essendo i giornalisti). Noi tutti ci portiamo ancora addosso, retaggio della scuola e dell’università, il vecchio modo di pensare la storia e la politica, cioè le pensiamo per stati, o, al massimo, per gruppi di stati, come la N.A.T.O. o l’Unione europea; ma questo modo di leggere la realtà è totalmente inadeguato, perché totalmente sorpassato. Semplicemente, le cose non sono più così; e chi le pensa così, non sta pensando la realtà presente, ma la realtà passata: dunque, vive in un mondo di percezioni, di pensieri e di giudizi illusori. È evidente che chi si torva in tale situazione non è nemmeno in grado di rendersi conto della reale situazione in cui ci troviamo; figuriamoci se può arrivare a pensare le possibili soluzioni ai problemi che la società odierna deve affrontare in campo politico, economico, finanziario, sociale, culturale, medico-sanitario, tecnologico, eccetera. Meno ancora sarà capace di organizzarsi coi suoi simili per formare dei gruppi di opinione, o dei movimenti specificamente politici, suscettibili di elaborare e di impostare delle risposte adeguate alle sfide che si susseguono e che mettono in forse il nostro destino e la nostra stessa sopravvivenza. E allora, proviamo a fare un po’ di chiarezza, badando alla sostanza delle cose e tralasciando, in questa sede, i dettagli.

Punto primo: oggi gli Stati non contano quasi più nulla: sono solo delle facciate, dei prestanome, delle agenzie "pubbliche" gestite da un potere molto privato, quello delle grandi banche. E ciò vale non solo per gli Stati piccoli e medi, ma anche per i grandi, a cominciare dalla superpotenza, gli Stati Uniti, che sono ormai solo il prolungamento della Goldman Sachs, della Lehman & Brothers e della grandi corporations multinazionali.

Conseguenza numero uno: governi e capi di Stato dispongono di un potere illusorio; di fatto, sono strumenti del potere finanziario, dal quale dipendono sin dal momento della loro elezione, anzi, sin dal momento della loro candidatura alle elezioni, candidatura che non sarebbe possibile senza i generosi finanziamenti delle banche. Va da sé che, una volta eletti, devono attendersi all’agenda di coloro che li hanno finanziati, proprio come un regista cinematografico deve attendersi, per la realizzazione di un film, alle indicazioni dei produttori, o come il direttore di un giornale deve attenersi a ciò che desidera il suo proprietario.

Conseguenza numero due: la democrazia oggi è ridotta a ad esteriorità, ad apparenza; è ridotta a una farsa. Noi crediamo che il gioco democratico sia sempre valido, invece non lo è: stiamo giocando una partita con i dadi truccati. E sono truccati a nostro danno, sia ben chiaro.

Domanda: esistono eccezioni a questa regola? Sì; ma ne parleremo in un’altra occasione.

Punto secondo: il mondo attuale è sconvolto da una guerra mondiale. Non è una guerra combattuta con le armi (se non nelle aeree marginali), ma a colpi di quotazioni in borsa, di giudizi delle agenzie di rating, di oscillazioni dello spread, di "consigli" dei burocrati dell’Unione europea e degli "esperti" delle agenzie ONU e della Banca Mondale ai Paesi poveri, di interventi dei governatori delle banche centrali (Federal Reserve, Banca centrale europea, Banca d’Inghilterra, Banca d’Italia, ecc.), che sono tutte private e agiscono nell’interesse dei loro azionisti di maggioranza e non certo dei rispettivi popoli e Paesi. È una guerra solo apparentemente incruenta, perché provoca disastri reali: si veda il caso della Grecia, e, in misura proporzionalmente minore, della stessa Italia, sulle quali è come se fosse passata una guerra, con tutte le conseguenze di una vera guerra: disoccupazione, denatalità, disordini sociali, disorganizzazione amministrativa e della giustizia, aumento della delinquenza, perdita di speranza nel futuro. Al centro di tutto vi è una guerra tra la grande finanza mondiale, che non è statunitense, perché la grande finanza non ha patria, ma si serve degli Stati Uniti, e il resto del mondo: in particolare, la posta in gioco è il mantenimento del dollaro come valuta per i pagamenti internazionali, cosa che assicura enormi vantaggi agli Stati Uniti ma che penalizza tutte le altre nazioni, ragion per cui le più forti e organizzate, la Russia e la Cina in primo luogo, si stanno ribellando. Nel prossimo futuro, quindi, ci sarà un conflitto aperto fra i BRICS, specialmente Russia e Cina, da una parte, e gli Stati Uniti, con la loro estensione della N.A.T.O., dall’altra, guerra che evidentemente ci vedrà coinvolti. Poi, all’interno dell’Unione europea, c’è una guerra della Banca centrale contro i singoli popoli, guerra che in questo momento favorisce l’economia tedesca e le esportazioni tedesche, ma che non è diretta dal governo tedesco, il quale per ora se ne avvantaggia, così come le grandi banche di New York sono tutt’altra cosa dal governo americano; e che penalizza, fra le grandi nazioni, soprattutto l’Italia, che fino all’adozione dell’euro era il maggiore esportatore di prodotti industriali ed era anche una delle maggiori potenze economiche a livello mondiale.

Punto numero tre: la guerra di classe non è finita, ma sta cambiando soggetto. Marx predicava la guerra di classe del proletariato contro la borghesia, e Lenin sosteneva che la guerra mondiale è il risultato inevitabile dell’economia capitalista, e che, a quel punto, il partito comunista deve adoperarsi per trasformare la guerra imperialista fra le nazioni in una guerra civile fra le classi. Con questo slogan, inizialmente così impopolare che perfino all’interno del piccolo partito bolscevico ben pochi lo approvarono, Lenin ha conquistato il potere nell’Ottobre 1917. Quel "magico" esempio ha fatto scuola ed è stato adottato, teoricamente e, quando possibile, praticamente, da tutti i partiti comunisti. I comunisti italiani lo hanno fatto proprio durante il fascismo e lo hanno apertamente proclamato, anzi, lo hanno proclamato i loro compagni di strada di Giustizia e Libertà: Oggi in Spagna, domani in Italia; cioè: dobbiamo prepararci a scatenare la guerra civile in Italia. E così è stato. Dietro il mito di cartapesta della resistenza, come guerra democratica e come guerra di popolo per la liberazione nazionale, i comunisti hanno ferocemente perseguito il loro obiettivo di scatenare una guerra civile che spazzasse via per sempre il nemico di classe, cioè la borghesia. Negli ultimi giorni della guerra civile e subito dopo la fine ufficiale delle ostilità, hanno assassinato migliaia e migliaia di persone appartenenti alla piccola borghesia, con questo preciso obiettivo. Preti, maestre elementari, piccoli imprenditori e piccoli commercianti, capi partigiani delle formazioni non comuniste: sono spariti a decine di migliaia, nelle foibe o chissà dove, eliminati in base a un piano preciso, che applicava coerentemente lo slogan leninista: si deve trasformare la guerra imperialista in guerra civile. Mussolini aveva voluto la guerra imperialista; loro si incaricavano di portare sino in fondo la guerra civile. In Grecia, altro interessante parallelo storico, la guerra civile è durata qualche anno e ha visto di stretta misura la sconfitta dei partigiani comunisti, grazie all’intervento britannico.

Orbene: oggi i comunisti ci sono ancora, hanno solo cambiato nome e cambiato veste; e anche la guerra imperialista, come si è visto, c’è ancora. C’è anche la guerra civile, o la prospettiva imminente di una guerra civile? Secondo noi, sì; anzi, ci sono già le prove generali. Cominciamo con individuare i comunisti-leninisti di oggi: sono i progressisti, i quadri del Pd e soprattutto la Chiesa cattolica, da quando è caduta nelle mani dei gesuiti, a loro volta imbevuti di teologia della liberazione. La teologia della liberazione nasce in America latina e non per caso: in quel subcontinente c’era, negli nella seconda metà del XX secolo, una guerra civile cronicizzata, nella quale la Chiesa si è sentita obbligata a prendere posizione, e lo ha fatto schierandosi con i "poveri". Giusta o sbagliata che fosse quella scelta, essa è rimasta nel DNA dei gesuiti, i quali l’hanno portata in Europa e nel resto del mondo. Ora abbiamo un papa gesuita (che, in quanto tale, non potrebbe nemmeno essere papa) e abbiamo un clero che soffia continuamente sul fuoco della guerra civile. Quando il signor Bergoglio e i vescovi ella C.E.I. dicono e ripetono, ogni santo giorno, che tutti i cristiani hanno il dovere dell’accoglienza, intendendo, con ciò, il dovere di lasciare che l’Italia sia invasa da masse strabocchevoli di africani di religione islamica, stanno perseguendo questo schema operativo. E quando i singoli preti di periferia appendono, sulla porta delle loro chiese, cartelli con la scritta Vietato l’ingresso ai razzisti, intendendo per "razzisti" quanti con sono d’accordo con l’auto-invasione; e quando scrivono, nero su bianco, nel foglietto parrocchiale, che i cattolici che votano per la Lega non sono cattolici; e quando il settimanale "cattolico" Famiglia Cristiana mette in copertina il ritratto di Salvini e la scritta Vade retro Salvini, tutti costoro stanno attizzando le fiamme della guerra civile. Una guerra civile per ora ideologica e verbale, un domani, non si sa cosa potrebbe diventare; ma una guerra civile, comunque, nel senso che spacca, che divide, che crea una frattura irreparabile: alla faccia della loro tanto sbandierata volontà di gettare sempre e solo ponti verso l’altro, e di abbattere tutti i muri possibili. E quando uno sconosciuto magistrato siciliano mette sotto inchiesta il Ministro dell’Interno, reo di aver tentato di proibire lo sbarco dell’ennesima schiera di clandestini da una nave della Guardia Costiera, anche costui sta attizzando le fiamme della guerra civile. E quando un altro magistrato milanese rimette in libertà uno spacciatore africano, già fermato tre o quattro volte, sempre per il medesimo reato, e lo rimette in libertà adducendo, fra l’altro, la motivazione che costui non ha altre fonti di reddito che lo spaccio della droga, anche costui sta attizzando le fiamme della guerra civile. Perché la pazienza pur grande degli italiani sta per finire, e qualcosa rischia di succedere, qualcosa che potrebbe essere incontrollabile, e la cui responsabilità va a ricadere non su coloro che, stanchi ed esasperati, si ribellano a situazioni di palese ingiustizia e di grave pericolo (ma quei magistrati sanno come si vive in certi quartieri di periferia pieni di clandestini?), bensì sulle spalle di quanti continuano imperterriti a proclamare il dovere dell’accoglienza e a ricattare le coscienze con il misero argomento che opporsi agli sbarchi significa calpestare ogni senso di umanità e solidarietà. Ora, il proletariato "classico", in Italia, non c’è più, o è quasi scomparso. In compenso c’è il nuovo "proletariato" fornito dagli sbarchi incessanti di clandestini. Significativamente, sia la sinistra politica, sia l’ala progressista della Chiesa cattolica, che attualmente, coi gesuiti, si è impadronita pure del vertice, hanno individuato in questi stranieri, presentati come "disperati" in fuga da guerra e fame, il proletariato da sostenere e da incitare alla conquista del potere: ovviamente, nelle forme della società del XXI secolo, che non solo più quelle di cent’anni fa. I clandestini che rifiutano il vitto dei centri di accoglienza, che tumultuano e protestano perché vogliono essere ospitati in albergo e non nelle ex caserme, e che passano l’attesa del loro iter giudiziario per il riconoscimento dello status di profughi, andando in giro a spacciare e a commettere altri reati, ancora più gravi, dalla rapina, allo stupro, all’omicidio, sono la manovalanza di questa nuova rivoluzione mondiale, e, nella testa (bacata) dei nostri ideologi di sinistra, laici ed ecclesiastici, sono il nuovo proletariato che deve spezzare le sue catene. Come diceva quel prete eritreo (il quale ebbe l’onore della copertina di Famiglia Cristiana, che lo chiamò il nuovo Mosè) specializzato nel favorire gli sbarchi mediante accordi telefonici con gli scafisti, sono addirittura il nuovo "popolo eletto" che instaurerà il regno di Dio. È quasi inutile dire che tutti quanti stanno favorendo questa pericolosissima situazione rientrano in due sole categorie: o sono degli idioti cronici e irrecuperabili, o sono consapevolmente al soldo di chi ha interesse a creare una situazione di caos e di non ritorno. Abbiamo visto che i padroni del mondo, oggi, sono poche decine di grandi finanzieri: sono costoro che stanno facendo la guerra a sette miliardi di persone e che giocano a mettere i popoli e le religioni gli uni contro gli altri, ad esempio islamici contro cristiani. In effetti, tanto i partiti di sinistra, quanto la Chiesa, hanno i loro motivi poco nobili, che tengono più o meno nascosti: i primi vedono negli stranieri un serbatoio di voti per colmare la continua emorragia di consensi fra gli elettori italiani (ed ecco la proposta di legge sullo ius soli), l’altra, attraverso la Caritas e altri organismi e cooperative, ricava notevoli profitti dal fatto che ci siano centinai di migliaia di persone da "accogliere", senza contare la popolarità che ne ottiene. Solo che le ragioni da essi addotte sono ben altre: la fratellanza, l’umanità, l’autentico Vangelo. Mentono sfacciatamente e preparano la guerra civile. Non hanno perso il vecchio vizio dei marxisti-leninisti…

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Christian Lue su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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