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Omaggio alle chiese natie: tempietto di S. Giovanni

È possibile, anzi probabile, che molti udinesi ignorino il fatto che anticamente la loro piazza più bella, e una delle più belle d’Italia, Piazza Libertà, che si chiamava Piazza Contarena, ospitava, fino all’inizio del XVI secolo, una chiesa dedicata a San Giovanni. Siamo pressoché certi che, se si domandasse a dieci udinesi se in Piazza Libertà vi sia una chiesa, nove risponderebbero: No davvero; non mi pare proprio. E invece, c’è: ma un po’ come quando si cerca l’orologio che si ha al polso. La chiesa esiste, ma è talmente ben dissimulata che quasi non ci si fa caso; e sì che ci troviamo nel cuore della città, nel suo ombelico, tanto che non esiste un luogo più centrale di questo: la bella piazza e l’ancor più bella loggia di San Giovanni. La chiesa è lì sotto la loggia, addossata alle imponenti mura della prima cerchia, la più antica, quella che correva subito ai piedi del colle del Castello – quel colle che, secondo la leggenda che viene narrata a tutti i bambini, fi costruito dagli Unni gettando ciascuno una zolla di terra raccolta nel proprio elmo, affinché Attilla, il loro crudelissimo re, il flagello di Dio – potesse ammirare dall’alto lo spettacolo bello e terribile della grande città di Aquileia, quasi sulla riva dell’Adriatico, che andava in fiamme, distrutta per punizione di aver osato resistergli, nei tempi tristi delle invasioni barbariche e degli ultimi sussulti dell’Impero romano d’Occidente. Ma le antiche mura, ovviamente, dalla piazza non si vedono; se ne scorge un breve tratto sul lato interno della salita che conduce al Castello, dopo aver varcato l’arco Bollani: e si resta impressionati dalla loro altezza e dal loro spessore, da tutta l’impressione di forza che promana da quelle pietre vetuste, anche se la torre dell’orologio coi mori che, come in piazza San Marco a Venezia, battono le ore, al di sopra di esse, stende una nota di gentilezza sulla loro maschia severità.

La chiesa di San Giovanni, comunque, passa inosservata perché tutti notano la loggia e pochi sospettano la presenza di una chiesa al di sotto del portico. Perfino fra gli udinesi di vecchia generazione, probabilmente non sono in molti ad averci fatto caso più di tanto. Noi stessi, che da bambini ci ritrovavamo lì, nelle belle mattine d’estate, per poi salire al castello, dove si poteva giocare senza pericoli e senza automobili fra i piedi, con il prato sul piazzale e il cielo azzurro sopra di noi, non abbiamo mai soffermato l’attenzione su quella chiesa che non pare nemmeno una chiesa, peraltro sempre chiusa, all’ombra del bellissimo portico rinascimentale. È possibile, tuttavia, gettare uno sguardo oltre il cancello di ferro battuto, che non ostruisce del tutto la visuale: e ci è rimasta nella memoria l’immagine di un locale in penombra, e tuttavia, al mattino, discretamente illuminato dal sole, un interno in stile neoclassico alquanto freddo, algido addirittura, che non ha nulla del calore o della spiritualità di una chiesa, ma ricorda, semmai, la solenne atmosfera di un tempio laico; il che, in buona sostanza, essa è diventata. L’attuale tempietto, infatti, è dedicato agli eroi del Risorgimento e ai caduti nella prima guerra mondiale ed è il risultato della trasformazione di quella chiesa medievale, che il governo veneziano imprudentemente aveva demolito, ai primi del Cinquecento, senza chiedere il permesso all’arcivescovo, cosa che valse alla città addirittura l’interdetto. Questa vicenda, assai meno grave di quella che avrebbe colpito l’intero Stato di Venezia ai tempi di Paolo Sarpi, nel 1606, si risole pochi anni dopo con la sollecita ricostruzione del sacro edificio, più o meno nelle forme attuali, e mostra come fossero diversi, nel XVI secolo, i rapporti di forza tra la Chiesa e le autorità laiche, in tutte le questioni giurisdizionali, un secolo prima del pontificato di Paolo V. Ma anche di essa siamo certi che quasi nessun udinese di oggi serba memoria: un interdetto contro il capoluogo del Friuli? Mai sentito dire; mai letto da nessuna parte.

Ci affidiamo ora alla descrizione della Loggia e della chiesetta di San Giovanni alla Guida di Udine di Maurizio Buora (Trieste, Edizioni Lint, 1986, pp. 140-142):

Una chiesa di S. Giovanni è documentata fin dal Trecento come sede della Confraternita dei notai. Fu danneggiata, insieme con la loggia adiacente, dal terremoto del 1511. Poiché essa si protendeva verso il centro della piazza, ne venne decisa nel 1531 la demolizione totale. La città, che in merito non aveva consultato le autorità ecclesiastiche, fu colpita da interdetto, per cui nel 1535 ne fu decisa la ricostruzione, in luogo alquanto arretrato. In quell’occasione furono acquistate e demolite le case esistenti nella zona e l’incarico della sistemazione fu affidato a Bernardino da Morcote, uno dei lapicidi lombardi allora più apprezzati, tra quelli attivi in città, già segnalatosi per la facciata della chiesa di S. Giacomo, nell’omonima piazza e coi cognato di Giovanni da Udine. I probabili buoni rapporti spiegano le mancate proteste di questi per la manomissione della parte inferiore della torre dell’orologio, da poco riattata.

Sopraelevato di alcuni gradini, il porticato ricorda illustri modelli quattrocenteschi. Due serrate file di archi slanciati, in cui il rapporto luce/altezza è pari a ¾, si legano all’arcone che forma il pronao della chiesa di S. Giovanni. Questo, in cui lo stesso rapporto è di 2/3, come nelle arcate della loggia dell’Ospedale degli Innocenti a Firenze del Brunelleschi, corrisponde a un gusto ben presente nella prima metà del Cinquecento, mediato da operatori lombardi. Costruzioni simili formano lo sfondo di alcune opere del Pordenone e della pala di Luca Monverde nella chiesa della B.V. delle Grazie , del 1522, mentre il risalto dato alle membrature architettoniche sembra derivare dalla facciata di S. Maria di Castello, forse opera di Gaspare Negro (1526).

Al centro dei bracci, verso la piazza, due timpani proteggono i busti, successivamente inseriti, dei luogotenenti Pietro Capello (1586) e Carlo Corner (1587).

All’interno del portico, nel 1584, per volontà del luogotenente Pietro Grtti fu costruito uno scalone di accesso alla rampa del Castello, su progetto di Francesco Floreani. Esso partiva dalla terza arcata, come si vede nelle stampe settecentesche, e arrivava a fianco dell’arco Bollani, ove rimane ancora il riquadro originario della porta con l’iscrizione. Precedentemente, nell’arco nord-est della parete del portico, che fino alla torre è costituito dall’antico muro di cinta medievale, esisteva una porticina con arco a tutto sesto, cui si arrivava dal colle scendendo alcuni gradini. Essa fu vista in occasione dei lavori di restauro dopo i terremoti del 1976. Finché durò la dominazione austriaca la loggia rimase chiusa da una cancellata di ferro e sotto l’arcone, ove era alloggiato il corpo di guardia, erano posti due cannoni. Nel 1882 la loggia fu ripristinata a spese dei privati e del Comune, come dice l’iscrizione. In quell’occasione lo scalone Gritti fu demolito e si ideò per il portico la funzione di pantheon civico, specialmente per la celebrazione degli eroi del Risorgimento. Nella parete nord fu posta la lapide per il garibaldino G. B. Cella col busto opera di A. Flaibani, sul lato lungo i busti dei senatori liberali G. L. Pecile, opera di Leonardo Liso (post 1902) e di Antonio di Prampero, di A. Mistruzzi (1921).

A sud del tempio di S. Giovanni si trova l’ingresso del’antica sede dell’archivio per gli atti notarili, giudiziari e comunali, qui trasferito nel 1565, come indica la lapide esistente. (…)

All’angolo meridionale del portico, disco solare (cosiddetta "meridiana") in bronzo con foro al centro attraverso il quale, a mezzogiorno, negli equinozi di primavera (21 aprile) [errore, per 21 marzo: nota nostra] 21 e di autunno (23 settembre) passa il raggio di sole che viene a cadere nel punto preciso segnato sul pavimento, in base ai calcoli del padre Stella.

Alcuni mesi dopo il trattato di Campoformido rientrarono in Udine gli Austriaci (9 gennaio 1798) e nel mese di giugno l’imperatore ordinò che "l’orologio pubblico non segnasse all’italiana le 24 ore, ma le segnasse soltanto di 12 in 12, e i "septemviri utinenses", sempre obbedienti, fecero costruire sotto i portici di S. Giovanni la meridiana che ancora esiste (Battistella, 1932).

Al centro del portico di trova il tempietto di S. Giovanni. La chiesa, con l’arrivo delle truppe napoleoniche (1797) divenne, come tanti altri edifici religiosi, alloggiamento per le truppe e in particolare per il corpo di guardia, funzione che conservò fino al 1866. Dopo il ripristino del porticato la chiesa, con il nome di "tempietto patriottico", veniva destinata a ricordare i nomi dei friulani morti per la patria dal 1848 al 1870. Il progetto, non eseguito, fu affidato all’ingegnere udinese G. B. Comencini (1890). Nondimeno una trasformazione in questo senso è anteriore alla prima guerra mondiale: ai primi anni del Novecento risalgono la statua in bronzo della Gloria alata "di tipo classico greco" (Bragato, 1913), nonché il cancello e le inferriate di Alberto Calligaris. Dopo la prima guerra mondiale si provvide alla trasformazione in monumento ai caduti. Nel 1920 Raimondo D’Aronco mandò da Napoli i disegni per il pavimento a tarsie marmoree, per le decorazioni a volute e per le borchie sulle lastre che poi furono applicate alle pareti. I bassorilievi allegorici sono di Francesco Grossi e la decorazione pittorica di Enrico Miani.

Sul lato orientale della piazza, sopra la loggia di S. Giovanni, spicca la torre dell’Orologio, a ribadire il carattere veneziano dell’insieme.

L’intera vicenda della chiesa di S. Giovanni, nei cinque secoli della sua storia a noi nota, pare una sintesi della vicenda assai più vasta che ha coinvolto la Chiesa e la società italiana ed europea a partire da quel terribile inizio del 1500, che, per Udine e il Friuli, vide un sanguinoso episodio di guerra civile (il massacro del "crudele giovedì grasso" del 1511) e, subito dopo, un disastroso terremoto, mentre, a livello europeo, dalla Germania stava per divampare il fuoco dello scisma di Lutero, che avrebbe spaccato per sempre la cristianità occidentale. La vicenda dell’interdetto è stata un’avvisaglia di quel che sarebbe accaduto nei tre secoli seguenti: una spaccatura sempre più grave fra la Chiesa e la società civile, vicenda che sarebbe culminata, nel 1797, con l’arrivo degli eserciti rivoluzionari francesi, che trasformarono la chiesa in una caserma e che ovunque, in Italia e in Europa, procedevano alla soppressione degli istituti religiosi e alla confisca dei loro beni, diffondendo una vera e propria ondata di scristianizzazione. Il periodo del dominio austriaco, nato dal delitto di Campoformio, che sopprimeva il più antico e civile Stato europeo, non fu che un intermezzo, e gli austriaci, che avrebbero potuto presentarsi in veste di artefici della Restaurazione, anche in senso spirituale e religioso, ci misero una certa dose di stupidità, sia nello stendere una cancellata sotto la magnifica loggia rinascimentale, che lasciarono adibita a corpo di guardia, sia nel pretendere di cambiare la scansione dell’orologio secondo l’uso tedesco, quasi che volessero germanizzare il Friuli in vista di una sua eventuale annessione (corsi e ricorsi della storia, direbbe Vico: è quel che accadrà, effettivamente, con l’istituzione della Zona d’Operazioni del Litorale Adriatico, dopo l’8 settembre 1943 e fino all’aprile 1945, allorché queste terre vennero poste sotto il diretto controllo militare tedesco). Ma che il periodo austriaco, dal 1797 al 1866 — con qualche interruzione nei primi anni, durante le guerre napoleoniche – sia stato un ibrido, è simboleggiato dal destino del bel monumento dedicato alla Pace che adorna la Piazza Libertà, proprio a lato della Loggia di San Giovanni e quasi ai piedi della salita che conduce all’arco Bollani: commissionato dai francesi per celebrare il Trattato di Campoformio, fu collocato solo nel 1819 a conclusione delle guerre napoleoniche, avendo assunto un significato politico e allegorico del tutti diverso. Le autorità cittadine, dopo l’annessione all’Italia del 1866, presero la giusta iniziativa si ripristinare la loggia nella sua bellezza originaria, rimuovendo la cancellata e il corpo di guardia, e restituendole la sua finzione architettonica; quanto alla chiesa, la decisione di trasformarla in un tempio per gli "eroi" del Risorgimento si spiega nel clima del tempo, con la volontà massonica di sostituire in qualche modo la religione cattolica con una nuova religione civile, quella della patria italiana (e vi è un riflesso di tale orientamento politico-culturale nel libro Cuore di Edmondo De Amicis, vera bibbia laica del patriottismo di fine Ottocento, nel quale non si parla mai di Dio, né, tanto meno, della Chiesa cattolica). Infatti dopo il 1866 riprese la politica anticlericale di matrice rivoluzionaria francese(e massonica), con la soppressione di ordini religiosi e la chiusura di chiese e conventi. E già che ci siamo, quanti italiani, anzi quanti friulani sanno che nei giorni immediatamente successivi al 24 maggio 1915, quando l’esercito regio varcò il confine dell’Isonzo, un certo numero di abitanti vennero passati per le armi come austriacanti, magari solo perché la loro parlata friulana veniva scambiata per tedesco, e che un discreto numero di parroci, per lo stesso motivo, vennero arrestati e deportati all’interno? Nessuna meraviglia, però: se la prima guerra mondiale fu la quarta guerra del Risorgimento, quest’ultimo fu essenzialmente opera della massoneria, quindi fu anticlericale e anticattolico. È interessante, invece, prolungando lo sguardo fino al presente, vedere come i governi di sinistra attuali vanno d’amore e d’accordo colla neochiesa di Bergoglio. Non sarà perché anche lei è stata conquistata dalla massoneria? Fra massoni, è chiaro, si troverà sempre un punto d’intesa…

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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