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27 Settembre 2018Immaginiamo una sala per conferenze e un oratore che sta parlando: in sala ci saranno circa cento persone. Quanti telefonini ci saranno in quella sala? Circa cento. Ciascuno ha il suo. Oppure immaginiamo un treno che sta viaggiando fra due stazioni molto importanti: immaginiamo che ci siano a bordo ottocento persone. Quanti telefonini ci saranno su quel treno? Ottocento, più o meno; perché qualcuno ne ha anche più di uno. E così via. In una città di due milioni di abitanti, si troveranno almeno due milioni di telefonini, probabilmente molti di più. Vent’anni fa non c’erano; oggi ci sono. E ci sono anche le onde elettromagnetiche che stanno invadendo e saturando l’atmosfera. Non sappiamo con certezza quali effetti esse producano sulle persone; possiamo sospettare che siano potenzialmente pericolose e che possano provocare varie patologie, a cominciare dai tumori. Nondimeno, moltissime persone vivono letteralmente attaccate ai loro telefonini, oppure allo schermo del computer; si portano il telefonino anche a pranzo e a cena, anche a letto; lo mettono sotto il cuscino e l’ultima cosa che fanno prima di addormentarsi, e la prima cosa che fanno al risveglio, è di controllare le chiamate o i messaggi che hanno ricevuto, e cominciare a rispondere. Stiamo parlando non solo di adulti, ma anche di giovani e di bambini; perfino di bambini piccoli, in età prescolare.
Ma c’è anche un atro problema, oltre a quello ambientale e sanitario, provocato dal dilagare della tecnologia elettronica: la paralisi progressiva delle facoltà mentali, della memoria, della volontà, dell’immaginazione, della progettualità, della curiosità. Se si spengono queste facoltà, se le persone cominciano a non ricordare, a non volere, a non immaginare, a non progettare, a non essere curiose verso il reale, si spegne, di fatto, l’attività cerebrale, in ciò che essa ha di specificamente umano. Senza di esse, gli uomini continueranno a esistere, ma di umano avranno solo l’involucro esterno: due braccia, due gambe, una testa, una serie di abitudini e di attività; ma nella sostanza, non saranno più uomini, non saranno più umani. Che cosa caratterizza ciò che è umano? Il pensiero, la facoltà di pensare; e il pensare comprende la memoria, la volontà, l’immaginazione, la progettualità e la curiosità. Le categorie classiche del pensiero stanno vacillando per mancanza di materia prima, cioè di persone capaci di pensare. L’abuso della tecnologia informatica sta provocando questo effetto: il rattrappirsi e l’intorpidirsi delle facoltà razionali. Per smanettare tutto il giorno con il telefonino non occorre essere intelligenti; in compenso, il telefonino assorbe l’attenzione di chi lo adopera e lo distoglie e lo estranea dalla realtà circostante. Ormai le persone camminano per la strada, pedalano in bicicletta e guidano l’automobile, smanettando incessantemente col telefonino: è come se costoro vivessero in una realtà parallela; sono accanto a noi, ma non partecipano al nostro mondo, non ascoltano i nostri discorsi, non vedono ciò che vediamo noi; dove per "noi" si intende chi, in quel momento, non ha il telefonino acceso sotto mano. Ma ci sono ancora delle persone che sanno fare a meno di questa tecnologia, o, se non altro, che sanno farne un uso moderato e ragionevole? Basta guardarsi intorno: ce ne sono sempre di meno; ormai ce ne sono pochissime. Siamo ormai quasi tutti schiavi; e i pochi che non lo sono, sono perciò stesso tagliati fuori, non vengono ascoltati, oppure si guardano bene dall’esporsi alle rappresaglie del sistema e tengono un profilo basso, cercano di passare inosservati. Come nel mondo del Grande Fratello: quello di Orwell, non quello della tivù. È una realtà da incubo ma sta diventando la nostra realtà; e, per molti aspetti, lo è già.
Ma ascoltiamo i grandi saggi del passato; prendiamo in mano, per esempio, il buon vecchio Aristotele, il maestro laico della civiltà occidentale — il maestro spirituale è Gesù Cristo; e la civiltà cristiana è l’incontro del Vangelo di Gesù e del pensiero greco, specialmente di Aristotele; prendiamo la sua opera fondamentale, La metafisica, e vediamo quale definizione dà di quello che è specificamente umano, nell’inizio del primo libro (da: Aristoele, La metafisica; traduzione a cura di Giovanni Reale, Milano, Rusconi, 1978, 1992, pp. 71-73):
Tutti gli uomini per natura tendono al sapere. Segno ne è l’amore per le sensazioni: infatti, essi amano le sensazioni per se stesse, anche indipendentemente dalla loro utilità, e, più di tutte, amano la sensazione della vista. In effetti, non solo ai fini dell’azione, ma anche senza avere alcuna intenzione di agire, noi preferiamo il vedere, in certo senso, a tutte le altre sensazioni. E il motivo sta nel fatto che la vista ci fa conoscere più di tutte le altre sensazioni e ci rende manifeste numerose differenze fra le cose.
Gli animali sono naturalmente forniti di sensazione; ma, in alcuni dalla sensazione non nasce la memoria, in altri, invece, nasce. Per tale motivo questi ultimi sono più intelligenti e più atti ad imparare rispetto a quelli che non hanno capacità di ricordare. Sono intelligenti, ma senza capacità di imparare, tutti quegli animali che non hanno facoltà di udire i suoni (per esempio le api e ogni altro genere di animali di questo tipo); imparano, invece, tutti quelli che, oltre la memoria, posseggono anche il senso dell’udito.
Orbene, mentre gli altri animali vivono con immagini sensibili e con ricordi, e poco partecipano dell’esperienza, il genere umano vive, invece, anche d’arte e di ragionamenti. Negli uomini, l’esperienza deriva dalla memoria: infatti, molti ricordi dello stesso oggetto giungono a costituire un’esperienza unica. L’esperienza, poi, sembra essere alquanto simile alla scienza e all’arte: in effetti, gli uomini acquistano scienza e arte attraverso l’esperienza. L’esperienza, infatti, come dice Polo, produce l’arte, mentre l’inesperienza produce il puro caso. L’arte si genera quando, da molte osservazioni di esperienza, si forma un giudizio generale ed unico riferibile a tutti i casi simili.
Per esempio, il giudicare che a Callia, sofferente di una determinata malattia, ha giovato un certo rimedio, e che questo ha giovato anche a Socrate e a molti altri individui, è proprio dell’esperienza; invece il giudicare che a tutti questi individui, ridotti ad unità secondo la specie, sofferenti di una certa malattia, ha giovato un certo rimedio (per esempio ai flemmatici o ai biliosi o ai febbricitanti) è proprio dell’arte.
Orbene, ai fini dell’attività pratica, l’esperienza non sembra differire in nulla dall’arte; anzi, gli empirici riescono anche meglio di coloro che posseggono la teoria senza la pratica. E la ragione sta in questo: l’esperienza è conoscenza dei particolari, mentre l’arte è conoscenza degli universali; ora, tutte le azioni e le produzioni riguardano il particolare: infatti il medico non guarisce l’UOMO se non PER ACCIDENTE, ma guarisce Callia o Socrate o qualche altro individuo che porta un nome come questi, al quale, appunto, ACCADE di essere uomo. Dunque, se uno possiede la teoria senza l’esperienza e conosce l’universale, ma non conosce il particolare che vi è contenuto, più volte sbaglierà la cura, perché ciò cui è diretta la cura è, appunto, l’individuo particolare.
E tuttavia, noi riteniamo che il sapere e l’intendere siano propri più all’arte che all’esperienza, e giudichiamo coloro che posseggono l’arte più sapienti di coloro che posseggono la sola esperienza, in quanto siamo convinti che la sapienza, in ciascuno degli uomini, corrisponda al loro grado di conoscere. E, questo, perché i primi sanno la causa, mentre gli altri non la sanno. Gli empirici sanno il puro DATO DI FATTO, ma non il PERCHÉ di esso; invece gli altri conoscono il PERCHÉ E LA CAUSA.
Ora, il problema della civiltà moderna è che gli uomini stanno perdendo la memoria e, di conseguenza, stanno perdendo la concezione degli universali, dalla quale cosa dipende l’esperienza organizzata in un sistema di sapere che produce sapienza. Niente memoria, niente conoscenza per universali; niente conoscenza per universali, niente sapienza, cioè nessuna intelligenza vera delle cose. Vi è conoscenza reale delle cose, cioè comprensione di esse, quando vi è la conoscenza delle loro cause; ma l’umanità attuale si sta perdendo sulla superficie delle cose. Vi sono persone che, in tutta la loro vita, non si sono mai poste il problema di conoscere le cause di alcunché: neppure le cause degli elementi essenziali della loro esistenza. Non sanno nulla: né perché vivono, né perché lavorano, né perché amano — o credendo di amare -, né perché odiano, né perché sperano, né perché temono. E non sanno perché acquistano sempre nuovi oggetti di cui non hanno bisogno, né perché cercano i capi più costosi, quelli firmati, invece di quelli di pari pregio, ma privi di marchio e quindi più economici. Non sanno perché vanno a votare; non sanno cos’è il voto; non sanno così’è la politica; non sanno che cos’è veramente la cosiddetta democrazia. Non sanno cos’è la politica oggi, né che cos’è la democrazia odierna: non sanno che la politica democratica, oggi, è un balocco nelle mani di poche centinaia di persone che stanno giocando sulla pelle di sette miliardi; che stanno caricando di debiti i singoli e le nazioni, sulla base di pezzi di prestiti inesistenti fatti con pezzi di carta, non di denaro reale; non sanno che i "governanti" sono solo dei prestanome, dei burattini; e non sanno che i partiti politici sono, oggi, delle ridicole organizzazioni il cui scopo è di fungere da cinghia di trasmissione per il perpetuarsi del potere mondiale di quelle poche centinaia di persone, accanto ad altre cinghie come gli eserciti, i mass media, gli apparati scientifici e tecnologici, i quali a loro volta giocano con cose come la clonazione degli esseri viventi o come i viaggi spaziali. E non si chiedono, tutte quelle persone, perché gli stati spendono somme notevoli per costruire armamenti, che segneranno, se usati, la fine dell’umanità; per pianificare viaggi spaziali, dei quali potrà avvantaggiarsi, eventualmente, solo l‘élite dominante; perché si clonano gli esseri viventi, e forse anche gli esseri umani, o perché si fanno altri esperimenti e altre ricerche ancor più mostruosi, e che avvengono in grande segretezza, mentre poi il dibattito politico si ferma su cose come il diritto di cambiare sesso e di essere chiamati al femminile invece che al maschile, o viceversa. Queste persone, insomma, non si sono mai accorte di vivere in un mondo che non è reale, perché tutti i loro pensieri, i loro sentimenti e i loro interessi sono orientati verso cose che riguardano solo la superficie della realtà o, peggio, la sua contraffazione, mentre le cose che riguardano la sostanza delle nostre vite, il nostro futuro e quello dei nostri figli, esse non sanno neppure quali siano, non lo immaginano nemmeno, né se lo sono mai domandato.
La perdita della memoria si attua mediante l’assolutizzazione dell’effimero e del transitorio. Ci stiamo attaccando alle cose che durano poco, che si consumano nello spazio di un battito di ciglia; stiamo concentrando le nostre energie per conquistare oggetti fuggevoli, cose o corpi, passioni e sensazioni, delle quali ci stancheremo subito e che abbandoneremo, stanchi, a volte nauseati, per passare subito alla caccia successiva. Come dei dementi, come dei drogati, come dei posseduti. In verità, l’umanità moderna è posseduta: posseduta da mille demoni; e non per modo di dire. I demoni che la possiedono sono anche quelli che essa si prostra ad adorare; ed è così lontana dal comprendere la reale situazione in cui si trova, che pensa, al contrario, di trovare in quelle cose, in quei corpi, in quelle passioni e in quelle sensazioni, il rimedio e la cura ai propri mali, alla propria frustrazione e insoddisfazione, alla propria inquietudine lacerante. Ma, naturalmente, non vi trova niente di tutto ciò; trova solo maggiore inquietudine, maggiore angoscia e maggior disperazione. Ma, senza memoria, l’umanità si riduce a una mandria di bestiame: sette miliardi di animali con l’istinto del gregge. Perché la perdita della memoria reca con sé la perdita dell’universale e, quindi, anche della propria consapevolezza: è consapevole di sé solo chi non perde mai di vista l’universale; solo chi si ricorda di essere una creatura in mezzo ad altre creature, parte di un universo che ha un significato; ma quel significato sfugge a chi vive nell’attimo, perché pare che in esso ogni cosa sia casuale, fuggevole e insensata. C’è una regia, una regia infernale, e — di nuovo — non per modo di dire, che orchestra questo smarrimento degli uomini moderni; ci sono delle forze infere che li spingono verso questa forma di demenza autodistruttiva. Non solo: quelle stesse forze malefiche vigilano affinché nessuno si desti; e, se qualcuno per caso, o piuttosto per la grazia di Dio, riesce a sottrarsi all’ipnosi generale e getta l’allarme, esse si adoperano affinché non venga creduto, ma, al contrario, venga deriso, venga isolato, e, se insiste a dar fastidio, venga perseguitato. Di fatto, la civiltà moderna è simile a un lager nel quale gli stessi detenuti si sorvegliano a vicenda e svolgono le funzioni di aguzzino: non c’è quasi bisogno di custodi, i custodi sono pochissimi; in questo momento, i nostri custodi sono i computer e i telefonini, indi il consumismo, la pornografia, lo stile di vita basato sul modello dell’avidità e dell’egoismo. Ciò di cui vi è bisogno per risvegliarsi dall’incubo, è il senso spirituale della vita; e, come primo passo, il recupero della facoltà di pensare. Gli uomini sono creature razionali, e la ragione serve come preparazione al passo successivo, la spiritualità. Non solo non vi è contraddizione fra esse, ma una perfetta complementarità. Ed è di questo che le forze del male hanno paura: che si ridesti il pensiero e si riaccenda la luce dell’anima…
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