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L’omofilia, tipica manifestazione della decadenza

È stato detto e ripetuto, quindi non pretendiamo affatto di dire una cosa originale affermando che l’omofilia (ci rifiutiamo di chiamarla omosessualità: l’omosessualità non esiste, perché la sessualità è una faccenda fra i due sessi, maschile e femminile) è una tipica manifestazione delle epoche storiche di decadenza. Intendiamoci: persone orientate verso il proprio sesso ce ne sono sempre state e sempre ce ne saranno: nei loro confronti non abbiano alcun tipo di prevenzione, a patto che non ostentino i loro gusti e mantengano un profilo discreto, nei limiti del buon gusto e del rispetto degli altri. Siamo personalmente convinti, peraltro, che l’inclinazione verso il proprio sesso sia sempre una patologia e che pertanto, in linea di massima, se ne può sempre tentare la terapia, perché vi è una causa precisa, o un insieme di cause, che hanno deviato il normale orientamento dall’altro sesso al proprio: beninteso, se c’è la volontà di battere questa strada. Ma la società odierna ha tolto il tabù sull’omofilia e la cultura progressista tollera che la propaganda dei gruppi LGBT si introduca negli asili e nelle scuole elementari, per insinuare nei bambini il dubbio sulla loro identità sessuale e per spronarli a chiedersi cosa ritengano di essere realmente, con eventuale richiesta di cambiamento di sesso ai propri genitori, i quali — atroce ricatto — se li amano davvero, questi figli, non potranno certo rifiutasi di assecondarli. Ora, se una società ritiene che una cosa sia sbagliata, le persone che vi indulgono si trovano di fronte a un deterrente: persistere in quei comportamenti, infatti, equivale a esporsi a delle sanzioni, vuoi penali, vuoi anche solo di tipo morale. A nessuno piace andare incontro alla riprovazione sociale e al disprezzo dei conoscenti, cosa che induce le perone a valutare bene se il gioco valga la candela. Questa, fra parentesi, è la ragione principale per cui la maggior parte delle persone non rubano, non rapinano e non commettono stupri: più che le sanzioni della legge, che non sono né certe, né, spesso, severe, esse temono il bando sociale che subirebbero, qualora le loro imprese divenissero note, o anche solo sospettate. Fino a circa mezzo secolo fa, la società era ancora abbastanza coesa da far sì che il codice morale non scritto fosse sufficientemente forte per scoraggiare i suoi membri dal trasgredirlo: le persone vivevano a stretto contatto reciproco, e farsi una brutta fama equivaleva a una sorta di morte sociale. Ma in una società ultraindividualista, come la nostra, dove i rapporti col prossimo sono ridotti al minimo e sempre più impersonali, o dove si stabiliscono relazioni privilegiate con persone che vivono lontane dal proprio quartiere o dalla propria città, dato che esistono possibilità di movimento che cinquant’anni fa erano impensabili, la gente non teme più la condanna morale come la temeva allora. Una persona che vive in un grande condominio, dove nessuno si conosce e dove non ci si saluta neanche, non teme di essere mal giudicata e se ne frega di quel che gli altri possono pensare di lei. Oltre a ciò, la cultura individualista ha diffuso l’idea che i comportamenti individuali nati dagli istinti, tendono alla realizzazione personale e quindi nessuno dovrebbe censurarli e reprimerli, anche se contrastano con la norma morale comunemente accettata. Pertanto, se una persona con tendenze omofile era indotta a reprimere o controllare i suoi impulsi dal timore di dispiacere agli altri, a cominciare dai propri familiari, e incorrere nella disapprovazione generale, per esempio sul posto di lavoro, ora questo timore si è molto attenuato e, in certi contesti, è scomparso del tutto; addirittura, in certi ambienti, sono i genitori stessi, o gli insegnanti, e in qualche caso perfino i sacerdoti, a sollecitare il giovane a tirar fuori la propria "vera" natura, anche se ciò significa adottare comportamenti e stili di vita che, fino a qualche anno fa, sarebbero stati ritenuti inaccettabili, e quindi erano fortemente scoraggiati. La realizzazione dell’io prima di tutto, è divenuto il motto della cultura moderna: dove l’io è la nuova divinità da adorare, e tutto quel che piace all’io tende a diventare legge. In un tale contesto culturale, perché mai una persona che scopre di avere realmente delle tendenze omofile dovrebbe tentare di reprimersi o di correggersi? Perché dovrebbe sottoporsi a dei trattamenti psicologici per ritornare sulla retta via? Dal momento che tutte le vie sono legittime…

Ribadiamo il concetto: nella società attuale, tutti i comportamenti, e non solo quelli di tipo sessuale, hanno subito una profonda trasformazione, perché è caduta la principale forza che tratteneva le persone dall’infrangere il codice morale socialmente accettato. Esisteva il tabù dell’adulterio ed esisteva il tabù del divorzio, per non parlare di quello dell’aborto; ma, dal momento in cui la società ha mostrato di non considerare più tali comportamenti come biasimevoli, anzi, dal momento che essa tende a giustificarli, in nome di un principio ritenuto superiore, il diritto all’autodeterminazione dell’individuo, tali comportamenti si sono enormemente moltiplicati, tanto più che essi godono di tutte le garanzie legali e non sono più ritenuti reati, pertanto chi vi indulge non rischia nulla, al contrario, è giuridicamente protetto. Ogni società ha il suo codice di valori (o disvalori, se è una società decadente), perciò in una società basata sul consumismo, come la nostra, le persone vengono osservate e giudicate assai più per il vestito che indossano, se è alla moda o se viene cambiato spesso, che non per il fatto di tradire il coniuge, di aver divorziato o abortito: né possiamo dire che ciò sia paradossale, finché restiamo sul terreno, oggi dominante, dello storicismo e del relativismo, ma piuttosto che è coerente con i suoi valori (o disvalori).

Ora, tornando all’omofilia, è chiaro che una tendenza di quel tipo è sempre esistita, perché vi è, nella psiche umana, una componente del sesso opposto: una piccola componente, nella stragrande maggioranza dei casi, il che consente di parlare di norma. La norma è che l’uomo è attratto dalla donna, e la donna dall’uomo; l’odierno tentativo di mettere le due tendenze, omofila ed eterofila, sullo stesso piano, come se si trattasse di due tendenze perfettamente equivalenti, è disonesto e ingannevole. La tendenza verso il sesso opposto è naturale, l’altra è patologica: così è nell’ordine della natura, e la ragione, ovviamente, è che se la seconda si diffondesse oltre un certo limite, verrebbe messa in pericolo la riproduzione e quindi la sopravvivenza della specie. Il che è precisamente quel che sta accadendo, per una serie di ragioni, una delle quali è la diffusione crescente dell’omofilia, dovuta a cause di ordine culturale e sociologico. Sta accadendo, infatti, un po’ in tutta la società, quel che da tempo, e forse da sempre, accadeva in ambienti ristretti del cinema, della moda, dello spettacolo e degli ambienti artistici: l’omofilia è diventata una tendenza "di successo", ammirata e non più guardata, come in passato, con ripugnanza e con disprezzo. E come, negli ambienti radical-chic, la donna divorziata si sente portatrice di uno status superiore a quello delle sue amiche che divorziate non sono, perché lei ha rotto le catene e le altre sono ancora schiave, così molti omofili che occupano posizioni di successo o di prestigio guardano dall’alto in basso, con condiscendenza mista a compassione, gli uomini e le donne che restano legati ai rapporti col sesso opposto, considerandoli alla stregua di poveri filistei e, forse, ipocriti che non vogliono lasciar libero sfogo alle loro segrete inclinazioni. Sta di fatto che in un clima di trasgressione generalizzata, la trasgressione erotica appare come la più logica e quasi scontata: ormai non c’è cantante, artista e uomo o donna di spettacolo che non giochi sull’ambiguità sessuale, tanto forte è ormai questa tendenza culturale. E quando diciamo che è una tendenza culturale, diciamo che nella maggior parte dei casi le persone che indulgono ai rapporti omofili non sono veramente omofile, ma hanno deciso di rompere certe barriere e di vivere esperienze ed emozioni "diverse", per vedere cosa si prova, cioè per curiosità e per capriccio, e per il gusto di infrangere e calpestare un antico tabù. Un buon esempio di questa componente culturale è dato da un personaggio femminile del libro, che all’epoca fece scandalo, critto da una donna che fece parte dell’Esercito della Francia Libera e che descrisse la vita privata delle soldatesse, in Gran Bretagna, durante la Seconda guerra mondiale, rivelando quello che un altro romanzo di vent’anni prima, Il pozzo della solitudine di Radcliffe Hall, aveva rivelato al pubblico nel primo dopoguerra: che il servizio militare delle ausiliarie femminili era stato una straordinaria scuola di omofilia e che molte ragazze lesbiche vi avevano trovato sfogo, mentre altre, che non lo erano, hanno scoperto i piaceri dell’erotismo lesbico a causa della promiscuità con tante persone dello stesso sesso e del clima di sovreccitazione dovuto alla guerra. Il personaggio in questione è quello di una quarantenne ancor bella, divorziata e con un figlio, che seduce e poi "getta" una serie di ragazze molto giovani, per vizio più che per un impulso naturale (da: Tereska Torres, Caserme di donne, 1950; titolo originale: Women’s Barracks; traduzione dall’inglese di Anna Maria Spekel, Milano, Mursia, 1960, pp. 117-18):

Una donna come Claude non poteva interessare né Petit né Anne, che la disdegnavano anzi con quello sdegno del vero artista per il dilettante, e non la consideravano mai come una lesbica dicendo di lei: "è una pervertita, in cerca di sensazioni curiose". Quanto all’omosessualità di Claude il giudizio era giusto. Eravamo così poco al corrente di queste questioni al nostro arrivo in caserma che ora ci sentivamo in grado di distinguere tra le varie specie; attraverso Anne mi rendevo conto che Claude faceva all’amore con le donne non per una assoluta necessità fisica, ma per snobismo e per eccitare suoi amanti uomini. Si vendicava anche di loro in questo modo perché si sentiva forte come loro per conquistare anche le donne. Spesso, nella sua vita, gli uomini le erano stati infedeli e quando se ne accorgeva cercava subito una rivale e una ragazza adatta; era lei allora a diventare l’amante, il possessore e questo rappresentava la sua forza di fronte agli uomini.

Inoltre, amava anche quella sua parte di donna pericolosa. L’omosessualità, l’oppio, fare l’amore in parecchi, tutto ciò apparteneva alla sua parte. Aveva imparato a essere lesbica come aveva imparato a fumare l’oppio e ne provava lo stesso eccitamento. Claude non aveva mai sofferto di quel vizio come Anne e Petit; era sposata, aveva molti amanti e avrebbe potuto vivere una vita normale come moglie e madre se avesse voluto. Per il resto, si trattava soltanto di un gioco per soddisfare la sua vanità e il suo piacere: recitava a fare l’uomo. Le donne del suo ambiente, prima della guerra, avevano tutte giocato a quel gioco e gli uomini loro conoscenti le prendevano sul serio non rendendosi conto che si trattava soltanto di un gioco. Credevano infatti di fare all’amore cin vere lesbiche e si sentivano fieri e lusingati. "Che uomo sono! — pensavano — posso sedurre persino una lesbica".Nella grande commedia del’amore, nella quale tutti mentivano, non si trattava che di una bugia in più.

Quante donne ci sono in giro come Claude, le quali potrebbero avere una vita normale, appagarsi di affetti normali, essere mogli e madri soddisfatte, se lo volessero, ma che, invece, si dedicano a sedurre ragazze inesperte, per vanità, per capriccio, per assaporare un senso di potenza, per snobismo, per dispetto verso gli uomini che le tradiscono o le hanno deluse (i disastri della cultura femminista si arricchiscono anche di questo capitolo, il lesbismo per ripicca), per il gusto di fare una cosa eccitante in quanto proibita dalla morale che hanno ricevuto? E quanti uomini che sono il corrispettivo di Claude, i quali vanno in cerca di altri uomini, più giovani di loro, per delle ragioni del tutto analoghe? E quanti uomini e donne di questo tipo praticano la bisessualità, ma, soprattutto, la promiscuità, hanno bisogno di sempre nuove conquiste, di sempre nuovi amanti, per saziare una voglia compulsiva, infernale, una lussuria che li divora e dalla quale sono posseduti, non perché ne siano veramente schiavi, ma perché hanno voluto farsene schiavi, con un atto della volontà? San Paolo, nella Lettera ai Romani (1, 21-28), individua un chiaro legame fra la superbia intellettuale e l’inversione sessuale: in un certo senso, quest’ultima è la punizione che uomini e donne infliggono a se stessi, per il peccato fondamentale di non aver voluto adorare Dio, pur avendolo conosciuto :

… essi sono dunque inescusabili, perché, pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa. Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti  e hanno cambiato la gloria dell’incorruttibile Dio con l’immagine e la figura dell’uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili. Perciò Dio li ha abbandonati all’impurità secondo i desideri del loro cuore, sì da disonorare fra di loro i propri corpi,  poiché essi hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno venerato e adorato la creatura al posto del creatore, che è benedetto nei secoli. Amen.  Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; le loro donne hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura. Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo così in se stessi la punizione che s’addiceva al loro traviamento.  E poiché hanno disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balìa d’una intelligenza depravata…

Fonte dell'immagine in evidenza: Photo by Tim Mossholder from Pexels

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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