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10 Settembre 2018Che il signore argentino non sia cattolico; che sia eretico ed apostata; che sia stato eletto al preciso scopo di distruggere quel poco che ancora restava di vero e di sano nella Chiesa, e che si sia messo a farlo subito con zelo, costanza e una buona dose di sfrontatezza: tutto ciò avrebbe dovuto apparire evidente fin da subito, vorremmo dire: fin dal primo istante. Fin da quando si affacciò dal balcone del Palazzo apostolico, fin da quel primo discorsetto, fin dalle persone che aveva attorno in quel momento; e, naturalmente, fin da quello stridente Buonasera al posto del doveroso: Sia lodato Gesù Cristo. I giorni, le settimane e i mesi seguenti avrebbero dovuto confermare tale impressione, che certo molti ebbero, ma che preferirono respingere nelle profondità della coscienza, dicendo a se stessi che si erano sbagliati, che non poteva essere così, che certo esisteva una spiegazione alle stranezze, alle frasi sconcertanti, ai gesti ambigui che incominciavano a costellare la "pastorale" del signore argentino, comprese le amicizie che ostentava, come quella con Eugenio Scalfari, che fu lui stesso a cercare, con una telefonata, e col quale volle avere il suo primo, ampio colloquio-intervista, per affidare al più laicista e al più anticattolico dei giornali italiani, La Repubblica (e diciamo anticattolico non nel senso esplicito della parola, ma nel senso più oggettivo possibile: il più contrario ai valori fondamentali del cattolicesimo) il suo "pensiero" e il suo programma d’azione. Perché fin da quella intervista, pubblicata puntualmente il 1° ottobre 2013, emergeva chiaramente che quel signore non è cattolico, non vuole essere cattolico, vuole essere un’altra cosa; e, del resto, già da qualche mese aveva colpito al cuore l’ordine religioso più ammirevole e fiorente di vocazioni, quello dei francescani e delle francescane dell’Immacolata, commissariandoli e attaccando frontalmente il loro carisma, ma senza fornire alcuna spiegazione e, fatto ancor più significativo di questo pontificato, senza che alcuno dei tanti giornalisti della sua corte si sognasse di porgli la semplice domanda: Santità, per quale motivo tanta durezza verso i francescani e le francescane dell’Immacolata? Cosa hanno fatto di talmente grave, da giustificare misure così drastiche? Non crede che sarebbe giusto e doveroso spiegare a loro, e a noi tutti, di che cosa sono accusati? Invece, silenzio: perché il mondo dell’informazione, sia quella formalmente cattolica — L’Avvenire, La Civiltà Cattolica, Famiglia Cristiana, per non parlare di giornaletti bassamente adulatori, sorti apposta per lodarlo fin sopra le stelle, come Il mio Papa -, sia la stampa cosiddetta laica, a partire da quella più radicalmente opposta al Vangelo, storicamente e ideologicamente, silenzio perfetto. Tutto quel che costui diceva e faceva era oro, perfino quando andava al gabinetto (non stiamo scherzando: si vada a rivedere cosa dissero la stampa e i telegiornali di tale gesto durante la visita apostolica a Milano), era oro colato, erano gemme preziosissime, erano perle di valore inestimabile; anche le battute pesanti, anche le risate sguaiate e fuori posto (nei conventi di clausura femminili, per esempio), anche le affermazioni temerarie sul piano dottrinale, anche le forzature e le provocazioni quasi blasfeme o apertamente blasfeme (Gesù fa un po’ lo scemo: ricordate?). Tutto gli veniva concesso, tutto gli veniva ascritto a titolo di merito, nulla gli veniva contestato, qualsiasi cosa gli veniva passata per buona, perché in lui non c’era alcun errore, né macchia, né imperfezione. Insomma non era un uomo, era quasi un dio, era dio lui stesso, altro che Gesù Cristo, del quale non sappiamo neanche quel che disse realmente, dato che visse duemila anni fa in quel Paese poco tecnologico che era la Palestina, al tempo in cui non c’erano neppure i registratori (questa perla è di Sosa Abascal, il nuovo preposito generale dei gesuiti; e lui non ha aperto bocca per correggerlo). Insomma un trattamento talmente riguardoso, anzi così celebrativo ed entusiastico, che, specie se confrontato con quello sistematicamente ostile e malevolo adoperato verso il suo immediato predecessore, Benedetto XVI, qualche strano pensiero avrebbe dovuto farlo sorgere, se non nel cranio delle persone comuni, abituate a fidarsi (a torto) di quel che dicono i giornali e le tivù, almeno nel cranio di chi, per professione, dovrebbe ragionare in profondità su certi fenomeni, e invece…
In quella intervista, fin dal principio, egli mostrava una visione del reale di tipo prettamente sociologico: non parlava della fede, non parlava della Chiesa se non come stampella alla società ammalata, e più ancora per accusala di gran parte dei mali della società; non parlava del Vangelo come della sola risposta piena e veritiera ai mali del mondo, bensì parlava dei problemi collettivi con i toni e la prospettiva che avrebbe potuto usare un politico o un sindacalista. Si rilegga quel che disse testualmente: I più gravi dei mali che affliggono il mondo in questi anni sono la disoccupazione dei giovani e la solitudine in cui vengono lasciati i vecchi. I vecchi hanno bisogno di cure e di compagnia; i giovani di lavoro e di speranza, ma non hanno né l’uno né l’altra, e il guaio è che non li cercano più. Avrebbe dovuto essere chiaro: nessun papa, prima di lui, avrebbe parlato così, perché questo non è un parlare da papa, e non è neppure un parlare da cattolico. Un cattolico pensa che il grande male che affligge l’umanità, oggi come ieri, come sempre, è il rifiuto del Vangelo. Dal rifiuto del Vangelo vengono tutti gli altri mali. La solitudine dei vecchi e la disoccupazione dei giovani sono dei problemi, certamente, ma scaturiscono da una società intrinsecamente disordinata; e questa società è intrinsecamente disordinata perché ha voltato le spalle al Vangelo. Così pensa un cattolico, così’ì dovrebbe pensare qualsiasi cristiano. No: un cristiano non parte dalla sociologia per arrivare, casomai, alla fede; parte sempre dalla fede per capire tutto il resto e per dare un risposta a tutto il resto. Colpisce, inoltre, il tono di leggerezza, di disinvoltura mondana, il disprezzo per ciò che i fedeli sono in pieno diritto di aspettarsi dalla sua bocca, ma che egli non dice affatto; e, per contro, l’evidente desiderio di piacere all’interlocutore laicista e anticattolico, Scalfari, di stupirlo, facendogli vedere che il papa è più laico di lui, è più progressista di lui, insomma di rassicurare i lettori di Repubblica che lui è un papa secondo i loro desideri, secondo i desideri del mondo. Che non romperà le scatole con noiose tiritere su cosucce come l’aborto, l’eutanasia, la "famiglia" formata da persone dello stesso sesso; che non dirà mai nulla di fastidioso, di sgradevole, di molesto per i loro orecchi, ma che parlerà solo di cose con le quali i laicisti e gli anticristiani possano trovarsi pienamente d’accordo, per marciare tutti insieme verso un mondo migliore (?). Dello sconcerto, della confusione, della sofferenza che le sue parole, il suo modo di porre i problemi, avrebbero certamente provocato a milioni di buoni cattolici, non gliene importava nulla: se ne infischiava, come poi ha sempre fatto; anzi, da quel momento non ha fatto che alzare la posta, che raddoppiare e triplicare le dosi del suo laicismo, della sua spregiudicatezza, del suo disprezzo per la Tradizione.
Ma veniamo al cuore del problema, cioè al cuore dello scandalo. Fin da quella sciagurata intervista, il signore argentino prese a picconate la morale cattolica, a demolirla, a calpestarla, a tirarci sopra un rigo; e affermò che la sola morale valida è quella che ciascuno ha il diritto di fabbricarsi da se stesso, soggettivamente, senza interferenza alcuna. Inaudito. Nessuno che si dica cristiano la pensa così; nessuno che si dica cristiano e si ritenga tale, purché le parole abbiano ancora un senso, e se non siamo già nel tempo in cui ciascuno si fa il suo linguaggio, così come ciascuno, secondo costui, si fa la sua morale. Tanto meno un papa. Ma ecco le domande di Scalfari e le risposte del signore argentino:
SANTITÀ, ESISTE UNA VISIONE DEL BENE UNICA? E CHI LA STABILISCE?
Ciascuno di noi ha la sua visione del Bene e anche del Male. Noi dobbiamo incitarlo a procedere verso quello che lui pensa sia il Bene.
LEI, SANTITÀ, L’AVEVA GIÀ SCRITTO NELLA LETTERA CHE MI INDIRIZZÒ. LA COSCIENZA È AUTONOMA, AVEVA DETTO, E CIASCUNO DEVE OBBEDIRE ALLA PROPRIA COSCIENZA. PENSO CHE QUELLO SIA UNO DEI PASSAGGI PIÙ CORAGGIOSI DETTI DA UN PAPA.
E qui lo ripeto. Ciascuno di noi ha una sua idea del Bene e del male e deve scegliere di seguire il Bene e combattere il Male come lui li concepisce. Basterebbe questo per migliorare il mondo.
Tutto questo non è, semplicemente, non cattolico: è diabolico. Fra l’altro, denota una colossale ignoranza teologica e una totale indifferenza per la correttezza del linguaggio e del ragionamento. Per esempio: ciascuno ha la sua idea del Bene e del Male? In tal caso, bene e male non vanno scritti con la maiuscola, ma con la minuscola: è evidente, ed è un fatto di logica formale. E lui, senza dubbio, ha avuto la possibilità di rivedere il testo, prima di autorizzarne la pubblicazione. Ma il problema non è questo; è ben altro. Dire che ciascuno deve farsi la sua idea del bene e del male equivale ad abolire il Vangelo e ad abolire anche la legge morale naturale: cioè buttare nel gabinetto quasi duemila ani di sana teologia cattolica, san Paolo, sant’Agostino e san Tommaso d’Aquino compresi. Ad esempio, per Hitler gli ebrei erano il Male (e qui è il caso di usare la maiuscola, perché egli li riteneva il Male per antonomasia): dunque fece bene a perseguitarli, come li perseguitò? E il buon cattolico doveva sostenerlo e incoraggiarlo a perseverare su quella strada, visto che lui era profondamente convinto di quel che faceva? In base alle premesse, sì. Oppure, un altro può avere la convinzione che la libertà di drogarsi sia un bene; dunque, è legittimo che egli pratichi e che pubblicizzi questa idea? Stando alle premesse, ancora sì. E infatti il signore argentino piace tanto, e va d’accordo così tanto, appunto con i sostenitori della libertà senza regole e senza freni: dall’aborto, all’eutanasia, alla sodomia, alle adozioni di bambini mediante pratiche moralmente discutibili o decisamente illecite. E non si tratta di un fraintendimento, di una involontaria ambiguità espressiva; perché Scalfari ripete la domanda, rievoca il contenuto della precedente lettera ricevuta dal signore argentino, e pone la questione in termini generali: e la risposta è, di nuovo, che ciascuno deve scegliere di seguire il Bene e combattere il Male come lui li concepisce. Dopo di che, trionfante, conclude, non si sa se con maggiore ignoranza o con maggiore spudoratezza: Basterebbe questo per migliorare il mondo. Ora, un bambino della Prima Comunione che avesse risposto in questi termini alla domanda su cosa è il Bene e cosa è il Male, fino agli anni del Concilio, sarebbe stato severamente ripreso: il catechista gli avrebbe spiegato che una simile risposta, oltre ad essere contraria all’insegnamento della Chiesa, è contraria alla stessa legge morale naturale, perché questa non coincide, né si risolve affatto, nel giudizio soggettivo della coscienza, ma ha una dimensione universale, che ottiene il consenso di ogni coscienza ben formata e non ottenebrata dal vizio e dalla colpa. Rubare, mentire, ammazzare, tradire, sono cose malvagie per qualsiasi retta coscienza, indipendentemente dal credo religioso. A maggior ragione lo sono per un’anima cristiana. Viceversa, opporsi a queste cose è una espressione del bene: quindi, ad esempio, opporsi all’aborto e all’eutanasia. E qui si entra in un ambito specificamente cattolico. La morale del Vangelo completa e perfeziona la legge morale naturale, non la abolisce e non la respinge. Il cristiano è colui che porta a perfezione l’istinto del bene che esiste in ogni coscienza ben formata, ma che non scaturisce da una valutazione soggettiva, bensì da un sentimento universale, proprio di tutti gli esseri umani, per quanto possa essere ottenebrato e soffocato da sovrastrutture sociali, politiche e culturali, oltre che da singole situazioni ambientali particolarmente problematiche. E lo porta a perfezione non con le sue forze, o non solo con le sue forze, ma con l’aiuto soprannaturale che scaturisce dalla grazia e che si attua nei Sacramenti, a cominciare dal Battesimo. Perché senza la grazia l’uomo è niente e non sa fare il bene, sovente non sa neppure vederlo e riconoscerlo; e qualsiasi uomo, senza la grazia, è debole e impotente come un bambino, e come un bambino non sa decidersi in maniera responsabile fra il bene e il male.
Dire che, per costruire un mondo migliore, è sufficiente che ciascuno scelga di seguire il Bene e combattere il Male come lui li concepisce, è un’eresia, che contraddice frontalmente non una singola affermazione del Vangelo, ma il Vangelo nel suo insieme. Ecco cosa dice Gesù, il solo, il vero Maestro, nella Sua divina sapienza e misericordia (Gv 15, 4-6): Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Questo dice il Vangelo e questo ha sempre detto la Chiesa. Ora arriva il signore argentino e dice tutto il contrario: dice in sostanza che il tralcio può far da solo, anzi, che deve far da solo; e che se farà da solo, tutto il mondo incomincerà ad andar meglio. Ora ci permettiamo di chiedere: cosa si può dire di questa affermazione uscita dalla bocca di un papa, se non che essa è diabolica? E come mai nessuno ha fiatato, né allora, né dopo?
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