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Arrivare a Dio è spogliarsi di ciò che non è Dio

C’è un solo modo per avvicinarsi a Dio, per unirsi a Dio, per essere con Dio: spogliarsi di tutto ciò che non è Dio, di tutto ciò che non piace a Lui, di tutto ciò che tiene l’anima lontana da Lui, perché la invischia e la sprofonda nelle passioni disordinate di quaggiù. È come quando si vuole andare in montagna: bisogna sbarazzarsi di tutto ciò che è superfluo, inoltre bisogna allenarsi ad arrampicare. Sbarazzarsi del superfluo, per colui che cerca Dio, significa sbarazzarsi di tutte le cose che tirano l’anima verso il basso, verso la palude; allenarsi ad arrampicare, vuol dire mettersi alla prova, imparare a dire "no" ai desideri di quaggiù, a vincere le tentazioni, a fare dei sacrifici, ad assumersi la responsabilità della propria salute spirituale. E come per la salute del corpo ci siamo troppo abituati alla deresponsabilizzazione, ad affidarci alle cure mediche standardizzate, senza cercar di capire la sorgente dei nostri disturbi e delle nostre malattie, così per la salute e la pulizia dell’anima bisogna imparare a prendersi cura di sé in prima persona, a dare buoni cibi e buone bevande alla propria anima e ad evitare tutti quegli stimoli, tutte quelle sollecitazioni che la farebbero stare male, che metterebbero in crisi il suo equilibrio e la sua trasparenza.

Fra parentesi, questa è la stessa ricetta che bisognerebbe applicare alla propria salute intellettuale: per conservare lucidità, capacità di giudizio e discernimento, bisognerebbe dare alla propria intelligenza un buon nutrimento e non spazzatura: leggere buoni libri, guardare buoni film (o, se non ce ne sono, nessuno), ascoltare buona musica: perché una intelligenza nutrita di spazzatura, di romanzi, testi filosofici, opere d’arte brutti, nichilisti, intrinsecamente disordinati, o inclini al vizio, alla pornografia, alla violenza, equivale a introiettare dei potenti veleni, che finiranno per intossicare l’organismo. Non ci si deve poi stupire se un albero concimato con simili sostanze pestilenziali si ammalala e muore; ci sarebbe semmai da stupirsi del contrario. Eppure, è proprio quello che facciamo un po’ tutti: ci stupiamo di essere nervosi, di essere ansiosi, di essere afflitti dall’insonnia, di avere la pressione alta, di soffrire di continue emicranie: ma se forniamo al nostro organismo dei cibi-spazzatura, e la stessa cosa facciamo con la nostra intelligenza e con la nostra vita spirituale, non avremmo poi alcuna ragione di stupore di fronte ai disastrosi effetti sulla nostra salute. Sarebbe come eleggere a proprio migliore amico un delinquente matricolato, accompagnarlo in tutte le sue ribalderie, e pretendere di non finire, una volta o l’altra, a marcire in una galera, o peggio. Tale è l’atteggiamento psicologico dell’uomo moderno: sfida continuamente la sorte, mette a repentaglio se stesso, non ha alcun timore di Dio, e poi fa le grandi meraviglie se gli capita qualcosa di brutto. Si direbbe che abbia smarrito completamente la coscienza del rapporto di causa ed effetto che esiste necessariamente fra il proprio stile di vita e i risultati che esso produce. Probabilmente la sua intelligenza, il suo puro e semplice buon senso sono stati ottenebrati da una continua indigestione di pessime letture, di pessime abitudini, di pessimi programmi televisivi, al punto da ridursi nelle condizioni di un bambino completamente inesperto della vita, il quale ancora non sa che c’è un prezzo da pagare per ogni cattiva azione che si commette; e che la vita, magari non subito, ma prima o poi certamente presenterà il conto per tutto quel che di male si è fatto e per tutto quel che di buono ci si è rifiutati di fare.

E se a tutto questo si aggiungono, nel caso del credente, i pessimi esempi che vengono dai pessimi pastori, o meglio dai lupi travestiti da pastori, a loro volta sprofondati nei vizi oppure ottenebrati dalla superbia intellettuale ed invischiati in cento errori ed eresie, allora si avrà un quadro complessivo di quanto grandi siano le forze e quanto complesse, vischiose e ingannevoli le dinamiche che congiurano contro il nostro equilibrio e contro la nostra ricerca di Dio; e quanto facile sia scivolare sulla strada sdrucciolevole che conduce non verso di Lui, ma verso una sua blasfema contraffazione, che viene oggi impunemente spacciata per la via maestra da un clero infedele ed apostatico.

Rileggiamoci questa pagina del carmelitano padre Gabriele di S. M. Maddalena, Intimità divina. Meditazioni sulla vita interiore per tutti i giorni dell’anno, Roma, Monastero S. Giuseppe delle Carmelitane Scalze, 1959, § 80, pp. 283-285):

1. – L’anima non ha che una sola volontà, e questa, se s’impiglia nell’affetto [disordinato] di qualche cosa, non resta libera, sola e pura come è necessario per la divina trasformazione" (Salita al Monte Carmelo, I., 11, 6). L’insegnamento di S. Giovanni della Croce è in perfetta corrispondenza col massimo precetto datoci da Gesù: "Ama il Signore Dio tuo, con tutto il cuore, con tutta ‘anima, con tutte le forze e con tutta l’intelligenza" (Lc 10, 27). Se il cuore è occupato da affetti disordinati al proprio io o alle creature, è chiaro che non può amare Dio con tutte le sue forze, ma queste saranno divise tra Dio e l’io, tra Dio e le creature. Dunque, per adempiere il precetto della carità, proposto da Gesù a tutti i cristiani, è necessaria la rinuncia radicale a ogni affetto che nn sia conforme alla volontà di Dio, che non possa andare d’accordo con l’amore di Dio. Il distacco totale è la logica conseguenza del precetto di Gesù e il mezzo indispensabile per adempierlo con perfezione.

Ecco perché S. Giovanni della Croce insiste: se l’anima vuol arrivare a possedere Dio, deve spogliarsi di tutto ciò che non è Dio e perciò deve rinunciare a qualsiasi soddisfazione, a qualsiasi affetto che non conduca a Dio. Questo è il significato delle sentenze: "Per assaporare tutto [ossia per gustare Dio che è tutto], non aver gusto [ossia non cercare soddisfazione disordinata] in cosa alcuna. Per possedere tutto, non posseder nulla. Di nulla… Quando ti fermi in qualche cosa, lasci di slanciarti al tutto" (Salita al Monte Carmelo,I, 13, 11 e 12). Quando l’0anima si ferma, con affetto disordinato, a qualche creatura o anche a se stessa, arresta la sua corsa verso Dio: il nulla delle creature le impedisce di giungere al tutto di Dio.

2. — L’essenza del distacco totale non consiste propriamente nella separazione materiale, effettiva dalle cose e dalle creature, il che, del resto, su questa terra non è mai possibile in modo assoluto. Anche chi vive nel chiostro o nell’eremo non può sfuggire certi rapporti col prossimo e non può fare a meno delle cose indispensabili alla vita. Inoltre, in qualsiasi ambiente, ognuno porta con sé la propria persona, il proprio io; eppure il distacco da se stessi è sempre il punto di partenza, ma è chiaro che questo non potrà mai essere un distacco materiale, bensì solo affettivo, spirituale.

La dottrina del distacco totale non esige, dunque che tutti abbandonino materialmente ogni cosa, che ognuno, pur rimanendo nel suo ambiente di vita, sappia mantenere il cuore libero da ogni attacco. "Per entrare nell’unione divina, devono morire tutti gli affetti che vivono nell’anima, pochi o molti, piccoli o grandi che siano, e l’anima deve esserne distaccata come se ella non fosse per loro, né essi per lei" (Salita al Monte Carmelo, I, 11, 8).

Sarà però impossibile arrivare a questo distacco affettivo, ossia a far morire tutti gli affetti disordinati a se stessi ed alle creature se, almeno in un una certa misura, non si pratica il distacco effettivo, materiale. Chi non sa rinunciare a rapporti inutili con le creature, a cose superflue e unicamente di propria soddisfazione o di proprio comodo non arriverà mai al distacco interiore,. E, d’altra parte, chi, consacrandosi a Dio, si è già separato materialmente da persone care o ha già rinunciato effettivamente a tante cose, non può credere con ciò di aver fatto tutto, ma deve sempre vegliare per mantenere l’anima libera da ogni attacco. Insomma, che si viva nel mondo o in un eremo, che si possegga molto o poco, è sempre necessario tendere all’essena del distacco, ossia al distacco del cuore e dello spirito.

È questo l’insegnamento di S. Paolo: "anche quelli che hanno moglie siano come se non l’avessero…; e quelli che comprano, come se non dovessero conservare gli acquisti fatti, e quelli che usano di questo mondo, come quelli che non ne usano (1 Cor 7,29 e 30).

Vivere nel mondo, come se non si fosse del mondo; fare le cose necessarie alla vita, ma tenendo lo sguardo fisso sull’altra vita; adempiere a tutti i doveri di cittadini di quaggiù, sapendo però di avere un’altra cittadinanza, e dei doveri più alti nei confronti di lassù: questa deve essere la filosofia di vita di colui che cerca Dio. In altre parole, sciogliersi dai vincoli e liberarsi dagli inganni che sono propri della prospettiva del relativo e dell’immanente, e spalancare la prospettiva sull’orizzonte dell’assoluto e della trascendenza. Per trovare Dio, bisogna sbarazzarsi di tutte le cose che sono incompatibili con Dio, a cominciare dai tre peccati fondamentali, radice di tutti gli altri: lussuria, superbia, avarizia. Chi non si sottopone a questo esercizio preliminare; chi non rinuncia ai piccoli, miseri tesori di questo mondo in vista del solo tesoro che conta, che non si ossida, che non cede alle ingiurie del tempo, non è degno di trovare Dio. Ricordiamo le parole di Gesù stesso nelle tre bellissime parabole del tesoro, della perla e della rete (Mt 13, 44-50):

Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compra quel campo.

Il regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra.

Il regno dei cieli è simile anche a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva e poi, sedutisi, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti.

L’obiettivo è rendere l’anima trasparente, perché solo così essa diventa capace di scorgere Dio. Se l’anima è immersa nel fango, non lo vedrebbe neppure se lo avesse davanti; e se persevera nei vizi, si può stare certi che non saprebbe vedere, né approfittare della grazia divina, neppure se un Angelo del Signore scendesse appositamente per offrirle l’ultima possibilità di salvezza. Ma c’è anche un altro modo per rimanere lontani da Dio: quello di lasciarsi afferrare nel vortice delle cose di quaggiù, non peccaminose in se stesse, ma tali da distogliere l’anima da ciò che è spirituale, e da immergerla in un orizzonte sempre più materiale, in una prospettiva sempre più carnale. Il diavolo che si serve dell’orgoglio umano, sa scegliere i più abili travestimenti per fuorviare le anime e per allontanarle da Dio, proprio mentre esse credono e s’illudono di essere a Lui più vicine. Immenso è l’errore in cui scivolano quei cattolici, e quei membri del clero, i quali, convinti di essere vicinissimi a Dio, anzi, di essere a Lui più vicini di quanto non lo sia, né lo sia mai stato alcun altro prima di loro, s’immergono nelle cose materiali, e sia pure per dei fini lodevoli, come l’aiuto e l’assistenza dei poveri, ma facendosi risucchiare in una prospettiva, e trascinare da una mentalità, che sono puramente terrene: quasi che Dio li avesse eletti a sanare tutte le storture del mondo, e non già a rendere testimonianza, attraverso l’amore del prossimo, della dimensione eterna del Regno di Dio, della assoluta spiritualità e santità del Vangelo, che non va confuso con le "ricette" di questo mondo. Dio non ci chiede di trasformare la terra in un paradiso, e neppure di raddrizzare tutte le storture, perché il cristiano sa che il compito più importante è quello tentare di raddrizzare le storture della propria anima; e perché Dio non ci chiede affatto di cambiare il mondo, ma noi stessi. Se ci chiedesse di cambiare il mondo, ci chiederebbe una cosa impossibile, perché il mondo è opera di Dio, e noi possiamo, sì, impegnarci per renderlo un luogo migliore, secondo i suoi insegnamenti, ma non possiamo presumere di rifarlo, come se la nostra intelligenza vedesse più lontano della Sua, come se noi capissimo più cose di Lui, come se, infine, fossimo più degni di Lui di sapere quello che è bene e quello che è male per gli uomini. No, non è questo che Egli ci chiede, non è per questo che il Suo Figlio Unigenito è venuto nel mondo, ma per insegnarci una strada molto più umile e nello stesso tempo, più impegnativa: prendere la nostra croce e seguirlo. Prendere, se possibile, anche la croce di quelli che non vogliono portarla: perché ogni volta che un essere umano si rifiuta di portare la propria croce, si crea uno squilibrio, una disarmonia, una prevalenza del male sul bene, che qualcuno deve riparare, che qualcuno deve rendersi disponibile a sanare. Questo sì, è compito nostro: non rifare i governi, le legislazioni sociali, i diritti civili, pensando di poter instaurare una società perfetta. Chi pensa questo non è un cristiano. Il cristiano sa che ci saranno sempre i poveri e ci saranno sempre le ingiustizie, perché gli uomini non sono angeli; e sa, pertanto, che la lotta più impegnativa non è quella contro le forze esterne, ma contro il diavolo che tenta di sedurci e fa leva sulle nostre più intime debolezze: che sono, ancora e sempre, la lussuria, la superbia e l’avarizia…

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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