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Per piacere a Dio, si deve far vivere l’uomo spirituale

È una strana pretesa quella di quanti vorrebbero realizzare i loro scopi e, se falliscono, se la prendono con gli uomini e col destino, però vivono in modo sregolato, immorale ed egoistico, cioè vivono secondo l’uomo carnale e non secondo l’uomo spirituale: perché solo se ci si spoglia dell’uomo vecchio e ci si riveste dell’uomo nuovo si può piacere a Dio e solo così, con l’aiuto della sua grazia, si possono affrontare degnamente le battaglie della vita. Il che non significa che tutto andrà secondo i nostro desideri, ma significa che tutto andrà secondo il nostro bene. C’è una notevole differenza fra le due cose: una differenza che l’uomo vecchio, impastato di amor di sé, non arriva nemmeno a sospettare, mentre l’uomo nuovo la vede, la intuisce, ne comprende la necessità e la bellezza: non tutto ciò che piace è anche bene; esistono delle cose piacevoli, ma deleterie; ed esistono delle cose che hanno un sapore amaro, ma che, proprio come le medicine, restituiscono la salute, l’equilibrio interiore, la pace. La differenza fra i due modi di vivere segna la differenza fra le due categorie di uomini, i carnali e gli spirituali; ma per passare dall’una all’altra, è necessaria la meànoia, la conversione di tutto il proprio essere: solo allora l’uomo nuovo, spirituale, potrà emergere vittorioso sulle resistenze dell’uomo vecchio, attaccato alle proprie passioni disordinate; né potrà mai riuscirci senza la preghiera, le opere buone e il soccorso fondamentale della grazia di Dio. Lutero, nella sua rozzezza, ha tracciato una netta linea di separazione fra l’uomo interiore e l’uomo esteriore, vivificato dalla fede il primo, escluso dalla grazia il secondo, come se due uomini diversi potessero abitare contemporaneamente in noi; ma non ha considerato che la vera divisione è fra l’uomo vecchio e l’uomo nuovo, che abitano insieme finché l’anima non si rivolge a Dio, ma poi, non senza lotte, il conflitto si risolve e l’uomo vecchio se ne va, per lasciare il posto all’uomo nuovo. Inoltre ha disprezzato lo strumento della conversione, che non è la sola fede, ma la fede insieme alle opere, senza la quale la fede è fatta solo di vuote parole. Ma dire: Io credo!, e basta, come fa Lutero, senza le opere, è l’equivalente di pronunciare una formula magica: è un atto superstizioso, che non modifica in profondità la propria vita, e quindi non riconcilia l’anima a Dio.

Scrive san Paolo nella Lettera ai Romani (8,1-15):

Non c’è dunque più nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù. Poiché la legge dello Spirito che dà vita in Cristo Gesù ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte. Infatti ciò che era impossibile alla legge, perché la carne la rendeva impotente, Dio lo ha reso possibile: mandando il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato e in vista del peccato, egli ha condannato il peccato nella carne, perché la giustizia della legge si adempisse in noi, che non camminiamo secondo la carne ma secondo lo Spirito.

Quelli infatti che vivono secondo la carne, pensano alle cose della carne; quelli invece che vivono secondo lo Spirito, alle cose dello Spirito. Ma i desideri della carne portano alla morte, mentre i desideri dello Spirito portano alla vita e alla pace. Infatti i desideri della carne sono in rivolta contro Dio, perché non si sottomettono alla sua legge e neanche lo potrebbero. Quelli che vivono secondo la carne non possono piacere a Dio.

Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene.  E se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto a causa del peccato, ma lo spirito è vita a causa della giustificazione.  E se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi.

Così dunque fratelli, noi siamo debitori, ma non verso la carne per vivere secondo la carne; poiché se vivete secondo la carne, voi morirete; se invece con l’aiuto dello Spirito voi fate morire le opere del corpo, vivrete.

Tutti quelli infatti che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: «Abbà, Padre!».

Il fatto di morire all’uomo vecchio e rinascere all’uomo nuovo comporta un immenso cambiamento di stato e di prospettiva. Le cose che prima apparivano difficili, impossibili, ora divengono possibili: ma non tutte, solo quelle buone. Il bene che prima si desiderava, ma non si riusciva a fare, o nel quale non si era capaci di perseverare, ora diventa un comportamento abituale, uno stile di vita: non per merito proprio, ma per la grazia di Dio. L’uomo vecchio non può piacere a Dio, perché è l’uomo carnale, impastato di desideri disordinati, di passioni distruttive, perché egoistiche: è l’uomo che commisura tutto al principio del proprio piacere. L’uomo nuovo è conforme alla volontà di Dio, è colui che si rende docile al richiamo del suo amore; di conseguenza, la grazia di Dio lo investe, lo fortifica, lo incoraggia, lo sostiene, lo consiglia, lo conforta. È la grazia di Dio che opera in lui, perché in lui ha trovato una stanza degna, un tempio adeguato al dono incommensurabile che essa rappresenta. Ma come potrebbe un uomo, che vive sprofondato nel fango delle sue passioni egoistiche, pretendere di ricevere un dono cosiffatto? Sarebbe come voler invitare un re e poi accoglierlo in un lurido porcile.

La cultura moderna va nella direzione opposta e la neochiesa dei nostri giorni si sta macchiando della colpa inescusabile di essersi arresa ad essa. Secondo la mentalità dell’uomo moderno, cioè dell’uomo che ha fatto propria l’essenza della civiltà moderna, esiste una sola maniera per realizzare se stessi: assecondare incondizionatamente il proprio io e fornirgli dosi costanti, anzi sempre più massicce, di gratificazioni materiali. Come il tossicodipendente ha bisogno di dosi sempre più frequenti e sempre più forti di droga, senza le quali non riuscirebbe a vivere, così l’uomo moderno ha bisogno di dosi sempre più frequenti e sempre più forti di appagamento dei propri desideri egoistici, senza i quali la vita gli apparirebbe vuota, desolata, insopportabile. Per l’uomo carnale, ogni occasione di piacere che venga trascurata e che rimanga insoddisfatta, è una delusione e una sconfitta; viceversa, per lui non c’è pulsione, non c’è ambizione, che gli sembri meritevole di essere scartata, perché tutto ciò che lo gratifica, tutto ciò che può dargli piacere, di qualsiasi tipo, è buono. Si è fabbricato una morale su misura, la morale dell’edonismo e del suo logico corollario, il relativismo: tutto ciò che piace è lecito; tutto ciò che non piace, va evitato come la peste. I valori morali come l’onestà, la lealtà, la sincerità, la fedeltà, la solidarietà col bisognoso e col sofferente, per lui hanno poco o nessun significato; se ne ricorda solo nella misura in cui, brutalmente, e in maniera del tutto esteriore, possono avvicinare la realizzazione di un suo desiderio o un suo capriccio. Del resto, la linea di confine fra desideri e capricci è labile, quasi evanescente, come pure quella fra desideri leciti e illeciti. È tutto lecito, per lui, purché dia un risultato che a lui torni utile o gradito; il resto, sono sofismi da vecchie zitelle o da suore di clausura. Ed è talmente immerso in siffatto stile di vita, che molto spesso non si accorge neppure di quanto esso sia cinico e immorale; non vi pensa, puramente e semplicemente: per lui è normale vivere così, come per il drogato è normale rincorrere il piacere dei viaggi che le sostanze stupefacenti gli permettono di fare. E proprio come il drogato, avrebbe bisogno di disintossicarsi; ma per farlo ci vogliono due cose di cui è sprovvisto: forza di volontà e capacità di riconoscere ciò che è bene da ciò che è male. L’abitudine ad assecondare i suoi desideri lo ha reso esperto nell’arte di razionalizzare il proprio egoismo e di raccontarsi una versione edulcorata di se stesso, auto-giustificatoria e auto-assolutoria: in fondo, che cosa fa di male? Fa quel che fanno tutti; e poi, chi ha il diritto di giudicarlo? Egli è il solo giudice di se stesso. A Dio non pensa; non gli viene in mente che il Signore del bene ci giudica, o meglio, che i nostri atti ci giudicano davanti a Lui, e che non lo si può ingannare con abili sofismi, come si può fare talvolta con il prossimo.

Ha scritto il padre domenicano Emilio Sauras, professore all’università di Salamanca, nella sua monumentale opera Teologia del corpo mistico (titolo originale: El cuerpo mistico de Cristo; traduzione di Carolina Vincelli, Roma, Città Nuova Editrice, 1964, pp. 174-175: 176; 177-179):

Chi si veste, si immerge, per così dire, nel vestito; per questo S. Paolo ci consiglia di "rivestirci di Cristo". Chi si battezza si immerge nell’acqua; per questo egli dice di battezzarci con il battesimo di Cristo. (…) Usa la metafora del vestito anche per parlare dell’uomo nuovo, dell’uomo che vive nella grazia di Cristo: "… rivestitevi dell’uomo nuovo, creato a immagine di Dio nella giustizia e santità verace" (Ef 4,24). Alcune volte l’Apostolo chiede "che la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo" (2 Cor 4,10), ed altre volte dice che lo Spirito è in noi, che abita in noi, che siamo templi dello Spirito. Sono queste due espressioni parallele: vita di Cristo, vita dello Spirito.

Ricordiamo anzitutto le espressioni: A volte l’Apostolo dice che siamo templi dello Spirito e che lo Spirito abita in noi; altre volte, che abita in noi lo Spirito di Dio; oppure, lo Spirito di Cristo. In certe occasioni usa indifferentemente le espressioni Spirito, Spirito di Dio e Spirito di Cristo, come in questo passo dell’epistola ai Romani: "Quelli che sono carnali non possono piacere a Dio. Quanto a voi, non siete uomini carnali, bensì spirituali, se però lo Spirito di Dio abita in voi: ché se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, a lui non appartiene" (Rom 8,8-9). (… ) In definitiva, lo spirito che vivifica è la grazia di Dio; ma poiché Cristo è colui che ci vivifica soprannaturalmente, san Paolo chiama anche lui "spirito vivificante": non solo spirito che ci vivifica dal di fuori, come farebbe se fosse soltanto capo, ma spirito che ci vivifica da dentro, come fa per il fatto di essere anche vita. "L’ultimo Adamo, spirito vivificante" (1 Cor 15,45).

Così, dunque, le frasi "vivere secondo lo spirito", "vivere la vita dello spirito", ecc. equivalgono a "vivere secondo Cristo", "vivere la vita di Cristo". Entrambe significa o vivere la vita della grazia di Dio, che proviene da Cristo, – grazia che è dentro di noi e ci trasforma.

Questa è la vera e sana teologia cattolica; l’altra, quella che oggi si vuol far passare per cattolica, ma è luterana, induce le anime in errore, perché dà loro a credere che la grazia di Dio piova gli uomini del tutto indipendentemente dalle loro opere, cioè dal modo in cui essi vivono, e che possa andare e venire quasi su richiesta, al semplice pronunciare una formula: Io credo! Ma questo non è cattolico. Secondo la vera teologia cattolica, le buone opere aiutano l’anima a porsi nelle condizioni di ricevere la grazia di Dio, lo Spirito vivificante: che è rivolto a tutti e piove su tutti, ma solo alcuni lo ricevono perché se non si è affatto in grazia di Dio, se si è in preda alle brame disordinate dell’uomo vecchio, non si hanno occhi per vedere, né orecchi per udire, e non si comprende nulla, neppure le cose più chiare ed evidenti. Per leggere correttamente la realtà, sia quella esteriore sia, soprattutto, quella interiore, bisogna essere in grazia di Dio; e questo, per il credente, significa sforzarsi di rimanere nell’amicizia di Cristo, mediante una condotta di vita che sia conforme al suo volere, che è il volere del Padre. E a chi vive così, la vita stessa di Gesù si manifesta in lui: è una partecipazione alla vita divina. Questa è la dimensione soprannaturale dell’esistenza, che la cultura moderna ignora del tutto, e che la neochiesa tende a porre in secondo piano, se non addirittura a negare, almeno sul piano pratico. Domande sgradevoli e brutali, ma necessarie:vi era la vita di Gesù, nel cardinale McCarrick, quando costui abusava di seminaristi e giovani preti? Vi era la vita di Gesù in quelli che sapevano e lo hanno coperto? Vi era la vita di Gesù in monsignor Ricca, quando dava scandalo e induceva altre anime in peccato, con la sua condotta immorale come nunzio apostolico? Vi è la vita di Gesù in quei teologi, come Enzo Bianchi, dalle cui parole traspaiono sempre un astio, un rancore, un disprezzo verso quelli che egli considera i cattolici tradizionalisti? Vi è la vita di Gesù nel signore argentino che occupa la cattedra di san Pietro, quando mente sapendo di mentire, e dice di non aver mai ricevuto la lettera con i dubia dei quattro cardinali, o quando rinnova la sua fiducia a McCarrick, fino alla vigilia delle dimissioni di quest’ultimo, pur essendo stato informato da ben cinque anni di quel che costui faceva e dei provvedimento già decisi al riguardo dal suo predecessore? E quando si accanisce contro i francescani e le francescane dell’Immacolata, e li sprofonda nel dolore e nell’amarezza, inducendo centinaia di essi a lasciare i loro conventi, e non dà alcuna spiegazione del suo agire: è in grazia di Dio, costui? Certo, noi stessi non siamo che poveri peccatori. Ma il veleno di chi vuol protestantizzare la Chiesa è proprio questo: dar l’illusione che si possa peccare a volontà, salvo poi dire: Io credo!, e tutto si sistema. Cardinali sodomiti, vescovi usurai, preti immorali restano indegnamente ai loro posti, purché dicano: Noi siamo con Francesco!

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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