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Che bello, c’è un nuovo Gesù Cristo: James Martin

Che bellezza, c’è un nuovo Gesù Cristo; anzi, è tornato Gesù Cristo nei panni di un gesuita amorevole e compassionevole, un vero amico dei poveri e degli ultimi: James Martin, il campione della crociata pro-gay, anzi, per parlare politicamente corretto, anti-omofobia nella Chiesa cattolica. Basta con la vecchia morale, la morale bigotta e repressiva della paura e dell’esclusione: quella è roba passata e archiviata, per fortuna. Ora c’è la nuovissima morale della misericordia, che poi è la vera morale del vangelo (con la minuscola), perché quella insegnata dalla Chiesa per duemila anni era taroccata, era una falsificazione, o, nel migliore dei casi, un fraintendimento. San Paolo, quando diceva testualmente: né sodomiti, né effeminati entreranno nel Regno dei Cieli (cioè specificando i due tipi d’invertiti, gli attivi e i passivi), e san’Agostino, e san Tommaso d’Aquino, e santa Caterina da Siena, la quale diceva che il maledetto peccato contro natura è talmente turpe che fa schifo persino ai diavoli dell’inferno, tutti costoro hanno frainteso, hanno equivocato. Gesù non era contrario alla sodomia, evidentemente; Gesù avrebbe benedetto le nozze gay, e avrebbe sottoscritto l’affermazione di padre Martin che nel calendario cristiano ci sono un sacco di santi gay. Eh sì, cari cattolici all’antica, bigotti ed egoisti, che non sapete accogliere, che non volete includere: ora è arrivato qualcuno che è meglio di san Paolo, di sant’Agostino, di san Tommaso d’Aquino e di santa Caterina da Siena. Qualcuno che è anche meglio di san Pio X, sul cui catechismo generazioni di cattolici hanno imparato che quattro sono i peccati mortali che gridano vendetta fino al cielo: l’omicidio volontario, frodare la paga all’operaio, l’oppressione del povero, e il peccato impuro contro natura. Il peccato impuro contro natura è una gentile perifrasi per dire: la sodomia. E si noti che san Pio X non dice che gli invertiti sono peccatori destinati alle fiamme dell’inferno; distingue fra la pratica e la tendenza: solo la pratica è peccato, perché asseconda una tendenza oggettivamente disordinata, come la Chiesa ha sempre insegnato per mezzo del Magistero; e contro tale tendenza l’anima deve lottare, con l’aiuto di Dio. Ma questa distinzione è troppo raffinata per la mente sottilissima del novello Gesù Cristo, il gesuita James Martin. Personaggio di spicco e di grande autorità in quella parte liberal e progressista della Chiesa statunitense, la quale aveva i suoi punti fermi, si fa per dire, in personaggi eccelsamente morali, come il cardinale (ex cardinale, visto che ha dovuto dimettersi) Theodor Edgar McCarrick, che è stato niente di meno che arcivescovo di Washington, e che, mentre faceva il bello e il cattivo tempo sulle nomine di vescovi e cardinali americani, essendo consigliere fidato e ascoltatissimo del signor Bergoglio, trovava anche il tempo di stuprare seminaristi e di razzolare nel letto con giovani sacerdoti, ai quali spiegava, come fa padre Martin, che la sodomia non è peccato, è una tendenza naturale tanto quanto l’attrazione verso il sesso opposto, e che non si offende Dio col praticarla (quanto alla violazione della castità sacerdotale, quello è un dettaglio di nessun conto: de minimis non curat praetor); e lo diceva anche subito prima o subito dopo la santa Messa, aggiungendo la blasfemia e la profanazione all’immoralità scandalosa dei suoi atti e dei suoi, si fa per dire, insegnamenti. E che padre James Martin (ma ci scotta la mano a scrivere "padre", perché come tale noi non lo riconosciamo: saremo bigotti e oscurantisti, ma noi di tali padri ne facciamo volentieri a meno) sia un nuovo Gesù Cristo, non lo diciamo noi, ma si evince dal tono dell’articolo che L’Avvenire, per la penna del giornalista Luciano Moia, ha dedicato al suo intervento al nono Incontro Mondiale delle Famiglie, svoltosi a Dublino dal 21 al 26 agosto scorsi (edizione online del 24 agosto 2018; ci siamo limitati a sostituire i caratteri in grassetto con dei caratteri maiuscoli), che riportiamo in parte, invitando gli interessati a leggerlo per intero:

Ha parlato di Vangelo, di accoglienza, di rispetto, di dolore, di preghiera, di castità. Sì anche DI CASTITÀ, RICORDANDO CHE SI TRATTA DI VIRTÙ CRISTIANA RICHIESTA A TUTTI, ETERO O OMOSESSUALI. NESSUNO ESCLUSO. Strana pretesa eh? Ma ha anche invitato a non giudicare una persona per il suo orientamento sessuale, perché si tratta di una specificità che — ha detto — nessuno ha scelto per moda o per divertimento. E una persona è molto, molto di più del proprio orientamento sessuale.

Chi immaginava proclami sull’amore libero e senza freni per far scattare la macchina social dell’indignazione sarà rimasto deluso. Ieri, a Dublino, padre James Martin ha fatto il suo onesto lavoro di pastore che si mette in cammino per andare a cercare la pecorella che si era smarrita.

Si è mostrato per quello che è, al di là delle invenzioni mediatiche e dei propositi eretici che gli vengono attribuiti. Davvero la fabbrica del fango produce effetti deleteri in chi viene accecato perché accetta di lasciarsene sommergere. Chi invece ha deciso di verificare di persona quanto ci fosse di vero e quanto di spazzatura nelle tante condanne preventive emesse in questi giorni dai soliti cavalieri della dottrina senza macchia e senza paura, ha avuto la piacevole sorpresa di scoprire un PARROCO CHE NELLA SUA COMUNITÀ DI NEW YORK, QUELLA DI SANT’IGNAZIO, APRE LE BRACCIA AI MISERI, AI POVERI, A CHI STENDE LA MANO.

E come Gesù al centurione che chiede aiuto per il servo malato, oppure a Zaccheo che si arrampica all’albero pur di vedere il Maestro, padre Martin non chiede preventivamente l’orientamento sessuale, o quante volte ha peccato. Accoglie, ascolta, accompagna, mostra con i fatti la gioia del Vangelo.

Non è pertanto una nostra ironia di dubbio gusto l’aver paragonato James Martin a Gesù Cristo, è proprio L’Avvenire che lo fa, tirando fuori ben due analogie con altrettanti episodi evangelici: padre

Martin è uno che accoglie, ascolta, accompagna (ah, che bellezza questo verbo accompagnare, che i fa venire in mente le guide turistiche e che i neoteologi e i neopreti hanno sempre in bocca: ma accompagnare dove, verso Dio o verso l’Inferno?), proprio come Gesù che risponde all’appello del centurione, il quale chiede aiuto per il suo servo ammalato, o come Gesù che si rivolge a Zaccheo arrampicato sull’albero per ascoltarlo. Veramente questo secondo parallelismo appare meno chiaro, perché Zaccheo non ha chiesto nulla, ma fa niente, saremo noi duri di comprendonio. E anche il centurione non si capisce benissimo cosa c’entri con lo sdoganamento della sodomia, del cosiddetto amore omosessuale e delle coppie omosessuali; lo saprà James Martin; e lo saprà, senza dubbio, Luciano Moia, col suo direttore Marco Tarquinio. L’importante è quel tie’, credevate che padre Martin scandalizzasse la platea con le sue posizioni gay-friendly, e invece chi avete visto, chi avete udito? Un eccellente prete che si mostra sollecito verso i poveri, gli ultimi, i più bisognosi; uno che parla con lingua dritta, che agisce proprio come agiva il nostro Signore Gesù Cristo: avete visto, cattolici tradizionalisti e oscurantisti, omofobi e razzisti? Avete visto che la vostra malizia non vi conduce da nessuna parte, che le vostre armi si spuntano contro la perfetta ortodossia del bravo padre Martin? Lo volete capire, sì o no, che site voi in difetto, che siete voi fuori del vangelo e fuori della chiesa (sempre minuscola), che siete voi a non capire il vero spirito (minuscolo) che soffia sui credenti e che rinnova la loro vita, come dice san Paolo, anche se san Paolo sarebbe meglio non citarlo, perché è proprio quello che, nella Lettera ai Romani, dice che gli invertiti sono quelli che hanno voltato le spalle a Dio per la loro superbia, e che Dio ha abbandonati alle loro passioni vergognose; e ha aggiunto, per buona misura, che i loro peccati sono così infami che meriterebbero la morte. Oh, ma si sa bene che san Paolo, oltre a essere misogino, era anche terribilmente omofobo; non diamogli retta quando parla dei sodomiti, ascoltiamolo solo quando parla dell’uomo vecchio e dell’uomo nuovo, perché quello è il cavallo di Troia di cui si servono i neomodernisti per introdurre Lutero dalla finestra, dopo che la Chiesa, cinque secoli fa, lo ha cacciato con ragione dalla porta. Sì, è pur vero che la Bibbia è d’accordo in tutto e per tutto con le opinioni di san Paolo circa i sodomiti, tanto è che parla dello sdegno di Dio contro i peccatori contro natura, e della distruzione, con il fuoco e lo zolfo, delle loro città. Ma anche quella è una difficoltà superabile; monsignor Galantino, infatti, l’ha superata, saltandola a pie’ pari: ha detto ai giovani, puramente e semplicemente, che Dio non distrusse, ma risparmiò Sodoma e Gomorra, perché la sua misericordia è così grande che perdona qualunque peccato (anche senza pentimento né ravvedimento, a quanto pare). E peccato che pure Gesù Cristo, così volentieri citato da James Martin e dai suoi estimatori nostrani, abbia condannato la sodomia: sissignori, non è vero che non ne parla, perché, al contrario, una volta ha detto che nel giorno del Giudizio, Sodoma e Gomorra saranno trattate meno duramente di altri peccatori, quindi non ha detto che i sodomiti non sono peccatori e non riceveranno alcun castigo, ha detto che ci saranno altri dannati, che verranno puniti in maniera ancor più dura di loro. Dunque, anch’essi verranno puniti.

Ma che importa, tutto questo? L’importante è che James Martin piace molto, negli Stati Uniti; e la Chiesa statunitense, vedi McCarrick, è una chiesa molto, molto progredita, molto liberale, molto aperta, molto tollerante e molto incline a trovare una soddisfacente maniera di convivere con tutte le cose del mondo, peccati compresi. La chiesa statunitense è la perfetta chiesa della modernità, è il modello che dovrebbe ispirare tutte le altre chiese. Che prendano esempio da lei, quegli zoticoni dei cattolici europei, gli italiani specialmente, quelli che fanno resistenza alle riforme del signore argentino. Perché il principale merito di James Martin, per chi ancora non l’avesse capito, è di essere un fulgido esempio di sacerdote bergogliano; sorridente, accogliente, benevolo, misericordioso, pronto ad abbracciare tutti, ad ascoltare tutti… Già; peccato solo che compito del vero sacerdote non dovrebbe essere semplicemente quello di ascoltare: per ascoltare a basta, ci sono gli psicanalisti, ci sino gli psichiatri, ci sono gli amici di questo mondo. Il principale compito del sacerdote è di ascoltare, ma anche e soprattutto di insegnare; di ascoltare, e di correggere; di ascoltare, e di ammonire; di ascoltare e anche, qualche volta, se necessario, di scacciare. Non per amore dell’esclusione, ma per il bene delle anime. Un’anima scacciata oggi dal confessionale, potrà salvarsi domani, se sarà capace di riflettere e di rientrare in se stessa. Il confessore non è un sociologo, il sacerdote non è un operatore dei servizi sociali. Non deve solo ascoltare; e non deve solo medicare, come dice il signore argentino, quando fa la similitudine dell’ospedale da campo: anche perché la malattia di cui si occupa la Chiesa è la malattia dell’anima, e la malattia dell’anima non si cura allo stesso modo in cui si curano le malattie del corpo. La malattia dell’anima ha un bene ben preciso, si chiama peccato, e consiste nell’allontanarsi volontariamente da Dio, nel separarsi consapevolmente dal suo amore: ed è quello che invita a fare lo sciagurato James Martin, così come invitava a farlo le sue vittime, o i suoi sacerdoti consenzienti, lo sciagurato ex cardinale McCarrick, mente li trascinava con sé nel fango della lussuria. Ma a Dio non la si fa. Si possono prendere in giro gli uomini; prendere in giro Dio è un poco più difficile. Gesù sapeva ascoltare, ma non era venuto nel mondo per questo; sapeva medicare le anime ferite, ma non assecondando la loro vita disordinata. Gesù sapeva esser fermo, e, qualche volta, perfino brutale. Come definire il suo comportamento la volta in cui scacciò san Pietro, dicendogli: Via da me, Satana? Lo chiamò Satana: fu un gesto dolce e misericordioso? Fu un gesto molto energico, quasi traumatico: ma fu necessario, e a dettarlo fu l’amore autentico che nutriva per Pietro. Se non lo avesse amato, gli avrebbe permesso di restare nell’errore: perché Pietro, quella volta, lo aveva esortato a proteggere se stesso, a non lasciarsi prendere dai suoi nemici: cioè lo aveva esortato a pensare secondo gli uomini e non secondo la volontà di Dio. Ma questo sì che sarebbe indurre gli uomini in tentazione: lasciarli nei loro peccati, nei loro pensieri carnali. È significativo che proprio quel Bergoglio e quella neochiesa che stanno cercando di legittimare il peccato impuro contro natura, nello stesso tempo vogliano cambiare le parole del Padre Nostro, la più antica preghiera cristiana e la sola insegnataci direttamente da Gesù Cristo, per sollevare Iddio dal sospetto che lo si possa immaginare autore delle nostre tentazioni. Perciò costoro vogliono cambiare le parole e non indirci in tentazione, affinché sia chiaro che Dio non induce in tentazione, sono gli uomini che vi cadono; e intanto quegli stesi signori ci inducono in tentazione, dicendo che il peccato non è più peccato, che non lo è mai stato, che si tratta solo di un grande, lungo e spiacevole malinteso. Per duemila anni, abbiamo capito male: quando la Chiesa ammoniva contro il peccato contro natura, non bisognava prenderla sul serio: erano le parole ingenue, imprudenti, di chi non aveva saputo far discernimento, di chi non aveva sufficientemente a cuore l’inclusione e l’accompagnamento. Già: essi sono ansiosi di affiancarsi agli uomini, di accompagnarli. Ma verso dove? Per l’autentico cristiano, c’è una sola risposta: verso Gesù Cristo, via, verità e la vità. Ma da quando il peccato è la via verso Gesù Cristo?

Fonte dell'immagine in evidenza: RAI

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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